L'accusa di uxoricidio contro l'Amiotti ribadita nella requisitoria del P. G.

L'accusa di uxoricidio contro l'Amiotti ribadita nella requisitoria del P. G. QUESTA SERA LA SENTENZA NEL PROCESSO PER 11 DRAMMA DI VARALLO L'accusa di uxoricidio contro l'Amiotti ribadita nella requisitoria del P. G. Richiesta la condanna per omicidio - Alle argomentazioni del rappresentante l'accusa, l'imputata abbandona singhiozzando Vaula - La difesa dell'avv. De Marchi L'opinione generale che, con l'eliminazione dell'appello della pubblica accusa, 11 processo contro Giuseppina Amlotti si sarebbe quasi certamente svolto entro i limiti dei motivi di ricorso della- difesa, ha avuto nelle due udienze di ieri un'altra smentita. Nelle arringhe defensionali e di parte civile e nella violenta requisitoria del P. G. l'appassionante e drammatico dilemma — uxoricidio o suicidio — è infatti nuovamente apparso come il tema essenziale della delicata e complessa causa. Ma ciò non ha costituito del tutto "una sorpresa: il P. G. non si era rassegnato alla sconfitta subita e aveva fatto rilevare che all'imputata poteva ancora essere mutato il titolo di reato pur non essendo consentito per legge che le fosse aumentata la pena già inflittale nel primo processo. E la Corte nell'interrogare l'Amiotti aveva appunto seguito questa linea. « Mamma, torna a casa! » Si è dunque ricreata ieri la drammatica atmosfera in cui si era svolto, il giorno precedente, l'interrogatorio dell'imputata. Ed essa ha rivissuto, come già a Vercelli il tormento intenso dell'alternarsi or di speranze — accese nel suo animo dalle parole suadenti dei difensori — ed or di sconforto in. cui la precipitavano le dure, crude accuse. Alle 9 in punto Giuseppina Amiotti è entrata nella gabbia; il suo volto era come di consueto assorto e melanconico. Fra il pubblico, numerosissimo (erano presenti anche amiche dell'imputata venute appositamente da Varallo) si è levato un sussurro e su quello distinta si è udita la voce del vec chio genitore: « Coraggio, Pi nuccia >. Un altro vecchio, se duto su una panca lontana dal la gabbia, ha rivolto alla donna un fuggevole sguardo e poi sospirando ha chinato la fronte: era il padre del Buscagli a Pochi minuti dopo è entrata la Corte ed il Presidente ha subito dato la parola all'avv. Ar mando De Marchi. Egli ha allineato sul banco una piccola biblioteca (testi di medicina legale e trattati giuridici).'Quindi ha esordito dichiarando che avrebbe discusso sul la questione del famoso quinto colpo di pistola che costituisce 11 punto principale su cui vien fondata l'accusa di omicidio. Tuttavia, prima di passare a trattare questo argomento il difensore ha voluto tratteggia re la figura morale dell'impu tata; e, per creare forti contrasti onde maggiormente spiccasse la rettitudine della sua cliente, le ha contrapposto al tre figure di donne che in passato sedettero in quella gabbia. Ha accennato a Linda Murri ed a Rosa Vercesi ed ai loro foschi drammi ed amori peccaminosi. Mentre l'imputata piangeva commossa, ricordandole quelle parole il tempo felice ormai lontano, l'avv. De Marchi ha proseguito affermando che essa stessa aveva dimostrato il giorno prima, nell'interrogatorio, che il marito si era suicidato: certi dettagli non si po tevano inventare. Quanto al foro alla tempia del morto, il difensore ha sostenuto — con il conforto di casi analoghi citati nei testi di medicina legale — che aveva le caratteristiche della ferita suicidiaria. Esaurita la parte tecnica egli ha poi dichiarato che il Buscaglia era in quei giorni tendenzialmente portato al suicidio e per le preoccupazioni finanziarie e per l'ossessione di un amore morboso inappagato nutrito per quella donna da lui definita «fuori serie >. Ed in fatti egli, che era stato sempre un buon padre, era così sconvolto che la sera prima della tragedia picchiò selvaggiamente il figlio Gian Mario e giunse a minacciare di gettarlo giù dal ponte della Gura. Avviandosi alla conclusione l'avv. De Marchi ha detto che l'Amiotti aveva ieri mattina ri cevuto una lettera: era della sua piccola Angelisa, che ora conta sei anni. « Anch'io prego Gesù Bambino perchè mi mandi a casa la mia mammina .—• scriveva la piccola —. Adesso basta stare senza te. Quando vedo le mamme delle altre bambine mi arrabbio e doman do ai nonni quando è il giorno giusto che torni. Ti aspetto a braccia aperte; bacetti tanti dalla tua Angelisa >. Essa non sa che la madre è in carcere e le scrive — quasi tutti i giorni— a questo indirizzo: «Villapensione di corso Vittorio 127 » Critiche allr sentenza La lettura dello scritto è stata accompagnata dai singhiozzi dell'Amiotti e seguita da tutti con grande emozione. « Una bimba attende la madre — ha concluso pateticamente il difensore — e questa pare anche a noi l'ora giusta per restituirgliela ». Ma questa atmosfera è mutata di colpo quando ha preso la parola l'avv. Germano di parte civile. « Non desideriamo una più grave condanna — ha esordito — ma vogliamo dimostrare che la realtà è un'altra: Aldo Buscaglia non si è suicidato, ma è stato ucciso ». Ed ha proseguito affermando che tutti e cinque i colpi di pistola furono sparati dall'Amiotti con intenzione omicida. Era sconvolta dalla gelosia e tutto, purtroppo, concorse ad esasperarla: nel negozio vide la fibbia appartenente alla supposta amante del marito; il sorriso sprezzante di questi fu da lei ritenuto la prova del tradimento. Ed allora la piena del sentimenti ebbe il sopravvento: •parò al 'impazzata contro di Jui. Delitto passionale dunque. L'Amiotti a questo punto si è alzata In piedi e piangendo e mormorando «Non posso continuare ad ascoltare» ha chiesto di uscire. L'avv. Ger¬ mcpifBvBcngnf mano ha ripreso con molta calma l'elencazione dei motivi per cui era da respingere la ipotesi del suicidio.- Proprio il fatto che quel giorno stesso il Buscaglia preparasse un convegno galante, dimostrava la Bua volontà di vivere. Le sue condizioni finanziarie non erano poi cosi disastrose da spingerlo ad un atto insano. Infine sulle perizie non si poteva fondare l'ipotesi del suicidio poiché incerti gli elementi-sul quali si basavano. Nel pomeriggio ha preso la parola il P. G. dott. Ottello. Fin dall'inizio si è compreso che era animato da spirito assai battagliero. < Purtroppo il nostro compito è ridotto — ha asserito — a causa dell'incidente che eliminò l'appello del P. G. Tuttavia vogliamo — e ciò è ancora possibile — che sulla tomba del Buscaglia non sia scritto che s'è tolta la vita e che sul cartellino penale di questa donna sia segnato il vero titolo del suo reato: omicidio. Questo, se non altro agli effetti morali ». Quindi si è immerso con foga nella critica della sentenza di Vercelli « aberrante perchè priva di senso logico ». Può sussistere — si è domandato — il « repugnante assurdo » che il Buscaglia, dopo essersi difeso dall'aggressione della moglie le abbia poi strappato l'arma per uccidersi? Ma la stessa sincrona successione dei colpi indica che fu lei a spararli senza interruzione. E c'era una ragione per farlo? No, e Bara dimostrato. La realtà è diversa e non bisogna sottacere la responsabilità dei genitori dell'Amiotti; sono molto vicini al delitto; il loro comportamento appare quasi una istigazione... Un breve incidente Con un grido l'Amiotti è balzata in piedi e, stravolta, si è abbrancata alle sbarre della gabbia. P. G. — Se vuol fare la commedia la faccia subito e sia così finita una volta per sempre. Imp. (singhiozzando forte) — Signor Presidente, non posso ascoltare cose simili! Non è vero! Sulla momentanea confusione nata dall'incidente si sono levate le voci dei difensori i quali indignati, hanno protestato per le < insinuazioni e le affermazioni gratuite ». P. G. — L'imputata non de ve provocare interruzioni. De Marchi — Ma da quando in qua è proibito piangere? Pres. — Non agitatevi in tal modo; dovete pensare che come i vostri difensori fanno il loro dovere così il P. G. fa il proprio. Se non vi sentite, per la vostra sensibilità, di ascoltare, potete ritirarvi. Scossa dai singhiozzi l'Amiotti è stata accompagnata in camera di sicurezza e lì è rimasta fino al termine della udienza. Il P. G. ha proseguito la sua requisitoria che non è stata diversa da quella che avrebbe .potuto essere se 11 suo appello fosse alato accettato. Nessuno del fatti acquisiti è tale — ha affermato — da giustificare il suicidio: non certo il timore di perdere l'affetto della moglie; non l'amore per la donna < fuori serie » (vi era solo simpatia e non v'è alcuna prova di una relazione); non il dissesto finanziario perchè non esisteva. A] massimo vi era una momentanea difficoltà dovuta al ritardo nei pagamenti dei creditori del Buscaglia. La situazione, invece, era buona e lo dicono — ha proseguito il P. G. — queste cifre rilevate nell'inventario nel negozio della vittima eseguito due mesi dopo la sua morte: 16 milioni di attivo (in cui non è compreso 11 valore di avviamento) contro 8 di passivo. Il movente: la gelosia Ed allora? Si è chiesto il P. G. La verità è questa. Il padre dell'Amiotti covava un feroce rancore contro il genero che il giorno prima,dell'omicidio aveva schiaffeggiato e dal quale, per reazione, era stato minacciato con la pistola. Il dissidio aveva le sue radici nel pettegolezzo dei genitori dell'imputata 1 quali accusavano a destra e a manca il Buscaglia di corteggiare la Barbavara. Gli avevano perfino aizzato contro la moglie ed egli aveva allora rotto 1 ponti con quella famiglia e s'era ripreso In casa il figlio Gian Mario. Il giorno 17 agosto la Amiotti andò dal marito, lo minacciò («E se ti ammazzas si io? » disse) con la pistola trovata sul tavolino a fianco del letto, e poi se ne andò portandosi via il figliastro. Il giorno 18 l'Amiotti padre noleggiò un'automobile ed andò a Saliceto, dove la figlia villeggiava, e la informò che suo marito stava per tradirla. Ingelosita essa si fece consegnare la pistola che aveva affidata al cugino e volle che questi la caricasse e introdu¬ cesse un proiettile In canna. Sull'auto salirono l'Imputata ed i genitori e durante il tragitto lei pensava alla vendetta. Giunti a Varallo lei entrò nel negozio; sua madre rimase presso la vetrina a spiare ed il padre si allontanò di poco. Dopo la tragedia egli ebbe il coraggio di domandare a due fra le molte persone accorse nel negozio, che cosa era successo. < Si è ucciso » gli fu risposto; ed egli commentò: «Ha fatto bene; se non si fosse ammazzato lui lo avrebbe ammazzato qualcun altro ». « E la dolce Giuseppina che cosa fece? » si è domandato poi il P. G.; sorretta dalla madre è uscita sulla piazza ad inscenare la commedia del suicidio. E' scaltra e le era bastato un attimo per creare questo falso che per una serie di circostanze si è tramutato in breve in una leggenda a cui tutti in un primo tempo han creduto. E perfino il perito poiché crede nell'Amiotti, giunge in buona fede a dare interpretazioni illogiche di quanto invece è chiaro e semplice. Un buon argomento per sostenere la tesi del suicidio vi sarebbe: l'esistenza sulla mano destra del morto di tracce di materia cerebrale. Ma come si può fare una affermazione simile in base ad un semplice sguardo, senza neppure un esame? Il P. G. ha quindi respinto anche questo argomento e, affermato che il foro alla tempia non aveva, per la sua posizione, le caratteristiche della ferita suicidiaria, ha bruscamente concluso la sua veemente requisitoria chiedendo che l'imputata fosse riconosciuta colpevole di omicidio volontario senza aggravanti e con tutte le attenuanti. Stamane saranno pronunciate le ultime arringhe di difesa e di Parte civile e nel tardo pomeriggio la Corte emetterà la sentenza. n. p. Un'istantanea dell'Amiotti ihé iti li ltil

Luoghi citati: Linda, Saliceto, Varallo, Vercelli