La tragedia della servetta di Busto presentata alla Corte di Assise di Antonio Antonucci

La tragedia della servetta di Busto presentata alla Corte di Assise La tragedia della servetta di Busto presentata alla Corte di Assise 1 cinque capi d'accusa che gravano sull'imputato Carlo Candiani - Sette confessioni e molte ritrattazioni . Il mistero della scomparsa del socio (Dal nostro inviato speciale) Busto Arsizio, 14 novembre. Carlo Candiani fu Antonio, nato a. Busto Arsizio il 6 maggio 1881, va in Corte d'Assise con cinque capi d'accusa graissimi. La sentenza di rinvio a giudizio, stesa dal dottor G. B. Bonclli, gli fa carico: 1) di avere il 7 settembre 1951, in Busto Arsizio, sottratto con violenza e successivamente ritenuta a fine di libidine, per periodo di tempo ImpreclBato e sino alla morte, Silvia Da Pont, agendo con crudeltà, chiudendola in una cassa ed avvalendosi di mezzi tali da procurarle l'incapacità di ntcndere e di volere; 2) di avere portato la Silvia Da Pont alla suddetta incapacità d'intendere e di volere, propinandole sostanze stupefacenti (etere, papaverina) ; 3) di avere insistito nel medesimo criminoso disegno, dal 7 settembre fino a data lmprecisata, e comunque fino al 28 settembre; 4) di avere, nell'attuazione del medesimo criminoso disegno, provocata la morte dì Silvia Da Pont; 5) di avere occultato 11 cadavere della sua vittima dal 20 al 28 ottobre. La scoperta Come è noto la Silvia Da Pont era domestica presso la famiglia Nimmo, alla quale il Candiani aveva dato in affitto una parte della sua villa, in via Galilei 3, esattamente il primo plano, riservandosi l'uso di tre vani della soffitta. Il 7 settembre, improvvisamente, la Silvia scompare. Da un attento esame della sua roba, risulta che ella se ne sarebbe andata indossando un grembiule nero da lavoro in cattivo stato d'uso e un paio di ciabatte Per ogni buon caso, 1 Nimmo denunciano il fatto ai carabinieri che iniziano subito la ricerca della do mestica. Qualcuno dice di averla vista alla stazione, sia pure alle spalle. Una Zamperi Paolina che ne domanda al Candiani, si sente rispondere: < Piacente com'è, sarà andata con qualche giovanotto e tornerà quando si sarà ben divertita», una ipotesi non del tutto inverosimile, se non ci fossero di mezzo quelle ciabatte ed il vecchio grembiule, assolutamente inadatti ad andarsene «con qualche giovanotto», tanto più che quel giorno stesso, la Silvia, per recarsi a prendere il latte aveva Indossato un vestitino a fiorami. Intanto, il 13 settembre, la famiglia Nimmo lascia l'abitazione per trasferirsi a Roma, riservandosi di venire a ritirare il mobilio in un secondo tempo. Il Candiani sbarra all'interno l'accesso al plano affittato, con in più un grosso lucchetto. E' per proteggere 11 mobilio, dice. Ai Nimmo, ha decto: «Qualche giorno prima di ritornare, avvertitemi! ». I Nimmo ritornano 11 29 settembre senza avere avvertito il Candiani. Le operazioni di sgombero e 1 preparativi per la partenza definitiva sono un po' lenti e si arriva così al 20 ottobre, nel cui pomeriggio i Nimmo scendono in cantina con due delle loro figliole per bruciare vecchie carte nella caldaia del termosifone. L'interruttore della luce elettrica non funziona, ma ci si vede abbastanza. La signora Nimmo nota alcune casse che, prima, non vi erano. Ne sposta una con un piede, vede due gambe nude e scappa terrorizzata con tutta la famiglia. Andata alla ricerca del Candiani, gli racconta della sua scoperta. Egli la riaccompagna in cantina, fa funzionare facilmente con una pinza l'interruttore della luce e lo spettacolo si presenta in tutto il suo orrido. La Silvia Da Pont, spaventosamente dimagrita, giace cadavere in un mucchio di sudiciume, con un grumo sottile di sangue all'angolo sinistro della bocca. Accanto a lei, una forma in metallo per dol oi di proprietà del Candiani e contenente feci, nonché una delle due ciabatte (una sola) La copre parzialmente un vecchio albero di Natale. e Intervengono 1 carabinieri. Il Carlo Candiani gode fama di persona piuttosto bizzarra, ma assolutamente onesta, incapace di nuocere a chicchessia. Non è sospettabile. Ma infine bisogna sospettare anche di lui. Alle ore 23 del 9 novembre il Candiani si decide alla iiiiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiililllllliiiiiiiiiiiMiiiii» l o e i o ) r n l a e l o l o o i l e l prima delle sue sette confessioni, una delle quali in presenza del Procuratore della Repubblica di Busto Arsizio. Egli racconta che, al mattino del 7 settembre, « scorta la giovane Da Pont che curiosava sull'uscio della sua soffitta, con repentina decisione, imbevuto un batuffolo d'ovatta nell'etere, si avvicinò silenziosamente alla ragazza afferrandola con una mano ed accostandole con l'altra il batuffolo d'ovatta alle narici >. Motivo: egli sentiva per lei < una no'.cvolc attrazione>. Sorpresa o spaventata dall'aggressione, se non le due cose insieme, la ragazza « ebbe un forte sussulto », aspirando cosi più etere di quanto fosse augurabile, sicché non rimase soltanto un po' stordita ma lo fu del tutto, sino a cadere esanime. D'incanto, la < notevole attrazione » si tramutò in paura, e il Candiani, depositata la giovane sul pavimento polveroso, fece del suo meglio per rianimarla, senza però riuscirci. Nè la cosa andò meglio nel giorni successivi, malgrado vino vecchio, latte caldo, fino a che 11 22 o 23 settembre, il Candiani temendo che, da un momento all'altro ritornassero 1 Nimmo, colloca la Silvia in una cassa e, con l'aiuto del suo socio in affari Tosi Vittorio, la porta in cantina. LI, l'adagia sopra una sedia a sdraio, con un piccolo lenzuolo e una coperta di lana. Nel pomeriggio del 20 ottobre (quasi un mese dopo!) la « Silvia spalancò gli occhi e spirò». Nelle sette confessioni, il Candiani nega recisamente di aver compiuto il benché mìnimo atto immorale. Lacune e contraddizioni Un simile racconto è materiato più di lacune che di fatti ma si sperava che il Candiani adagio adagio le colmasse. Invece, non appena messo a disposizione dell'autorità giudiziaria, egli ritira tutto ciò che ha detto e firmato. Egli non sa nulla, egli è innocente. Dice: < Non so spiegarmi come mai ho tirato fuori tutto quel pastìccio». Dice: «Lo feci in seguito alle insistenze del capitano del carabinieri ». E anche: «Ero incretinito e temevo che il capitano mi sgridasse... ». Ma contemporaneamente esclude che abbiano minacciato di usare contro di lui « mezzi coercitivi > anzi dichiara di essere atato trattato < nella forma più gentile e più corretta ». Gli è contro un interrogatorio del socio in affari, il quale, prima che 11 Candiani confessasse, ha pur raccontato del trasporto di quella cassa in cantina. Il Candiani se la cava con un'alzata di spalle: «Il Tosi è un chiacchierone ». Sul pavimento polveroso della soffitta, il corpo della Silvia lasciò un'impronta. A chi sarebbe attribuibile, se non a lei? A una certa cassa trascinata dal Candiani stesso, un'altra cassa, e il Candiani precisa quale. Sopraluogo: quella tale cassa è tuttora legata alla parete da tele di ragno nerissiine, cioè di più antica data Allora il Candiani tira fuori la storia di un sacco. Infine una cassa di tali dimensioni da contenere la ragazza, non poteva scendere in cantina per via delle scale troppo strette. Si fa una prova: la discesa non soltanto è possibile ma le pareti denotano chiaramente segni di «urti recenti». Quanto all'interruttore della luce elettrica, il Candiani afferma che lo aveva rotto la stessa Da Pont, qualche mese prima, ma c'è un Brazzelli il quale dichiara di essersi recato in quella cantina per certi lavori in settembre, e l'interruttore funzionava. E poi, mentre alla scoperta del cadavere, non c'era che una ciabatta, quando vennero 1 carabinieri rinvenlrono anche l'altra. Chi era stato a portarla lì? E la «forma in metallo per dolci » appartenente al Candiani? Egli dirà: « Era vecchia, l'avevo buttata via ». Sulla ciabatta, la solita alzata dì spalle. Si poteva guardar meglio. E' opinione del Candiani che la Silvia da Pont si fosse chiusa da sola nella cantina che, sappiamo, è anche carbonaia, a scopo suicida. Ma 1 tecnici hanno escluso che la morte della povera ragazza sia dovuta ad ossido di carbonio. Allora, sarà stata condotta lì già cadavere da altre persone. Già, ma ci sarebbero da attraversare ben tre cancelli, dove nessuna effrazione è stata riscontrata e che, anche di notte, nessuno si azzarderebbe di scavalcare con un cadavere. Infine, quando 11 capitano del carabinieri domandò al Candiani quali sostanze chimiche avesse usato per ridurre la Da Pont alla più completa supina acquiescenza e, non contento della risposta, disse che avrebbe perquisito la sua abi¬ tavc« pzfarpddgsccsmrinmaCpsblDdsIdccmnfrmdsusbppdgsmvnrcfaenlrvhtIcr tazione, egli rispose: «Non trovate più niente ». Come spiega ciò il Candiani? Lo sappiamo: « Ero rincretinito ». Le 77-pagine dell'accusa riportano serratamente la situazione alla verlsìmlglianza dei fatti confessati con, in più, il rigetto di ogni negativa in rapporto agli atti di libidine che debbono, invece, essere considerati alla stregua di « una degenerazione sessuale talmente spinta da confinare con la necrofilia ». Se quel Tosi Vittorio, 11 socio d'affari, non fosse scomparso (e c'è chi parla di suicidio!) molta luce, probabilmente, sarebbe già fatta sul brutto e intricato groviglio. Per l'ultima parola, bisognerà invece attendere il responso della Corte d'Assise che se ne occuperà, sembra, in questa stessa sessione, in gennaio o febbraio. Antonio Antonucci liliiililillilllllilliiiiillililllliliilillillliiliiiiiiii ■fi L'Imputato: Carlo Candiani niiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiillliiiiiuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii La vittima: Silvia Da Pont

Luoghi citati: Busto Arsizio, Roma