Delusione alle Hawaii di Giovanni Artieri

Delusione alle Hawaii Delusione alle Hawaii (Dal nostro inviato speciale) Honolulu, novembre. Domani partirò dalle Hawaii; lascerò dietro le spalle Honolulu, Pearl Harbour, la spiaggia di Waikiki, le foreste e le montagne dell'interno, i pounds di Kahana bay e le cascate di Waimes; lascerò dissolversi nel passato di questo viaggio interminabile anche le onde del Pacifico, rotte sui frangenti di corallo e gli arenili della Polinesia. Queste onde, stasera, sto a guardarle seduto in una delle file di poltrone metalliche disposte dall'albergo sulla sabbia educata, pettinata, limitata da marciapiedi di cemento, di Waikiki Il mare: ecco lo spettacolo, gratuito e inimitabile offerto a chi viene alle Hawaii. Il mare. l'Oceano Pacifico con la sua voce, i suoi furori, le sue leggende, e la sua retorica, « messo in scena » dai tecnici del turismo. Dalla sedia di piuma metallica di dove lo guardo stasera, questo Pacifico riservato agli ospiti del più lussuoso e del più costoso albergo del mondo, mi appare', se così di un oceano possa dirsi, persino «arricciato» e pettinato a dovere. Dall'alto delle terrazze, lungo l'immensa spiaggia di Waikiki, lo accarezzano fasci di proiettori. Le grandi luci dritte sfondano il buio sino alla misteriosa, regione dove nascono le onde; e le onde vengono seguite, nel buio, centrate nel fuoco elettrico come, una volta, Cléo de Mcrode nel suo vestito di piume e di perle. Si vedono, così, isolate, rilevate, blandite finché le capigliature, le variabili imbrilla ntatc canizie, non naufragano sull'arenile, quasi ai piedi dello spettatore. Oh, quale attore quest'Oceano Pacifico, visto stasera da una sedia sul parterre del « Royal Hawaiian »; quali commenti gli spettatori e le spettatrici in abiti da sera gli rivolgono e quali vezzi e quali aggettivi! A guardarli, questi ospiti dell'albergo favoloso formano un complesso umano raro da vedersi negli Stati Uniti (e qui siamo già sul territorio degli Stati Uniti). Essi sono ricchi. Chi viene alle Hawaii che sia povero? Il solo povero, in questo albergo e tra questa gente, sono io. Chi, negli Stati Uniti, si permette una vacanza alle Hawaii, èlle non sia ricco davvero? E' terribilmente difficile, sul territorio metropolitano degli Stati Uniti, incontrare in un solo luogo tanta gente milionaria. La ricchezza individuale, in America, comincia a ispirare un certo timore, un certo pudore, un certo complesso. Per mostrarla, chi la possiede, viene alle Hawaii, in quest'albergo. Adesso guardiamo l'Oceano Pacifico sotto i riflettori ed io penso alla mia giornata, trascorsa a girare un'ultima volta per quest'isola di Oahu, in traccia della vergine vita polinesiana. Accade a chi, come me, viaggia per dire a centinaia di migliaia di lettori lontani qual è la temperatura del globo, la febbre e l'inquietudine del mondo, di dimenticare l'imperativo dell'attualità invischiandosi nel « passato », nel « sognato », nel vagheggiato. Così a queste Isole Hawaii sono arrivato dietro il sogno o l'immagine fatta dei racconti polinesiani di Herman Melville, di Stevenson, e di quelli più bonari di Jack London. Quaggiù alle Hawaii, su una spiaggia dell'isola di Kauhaiu, fu ucciso dagli indigeni della costa James Cook, il.principe dei navigatori moderni, che aveva scoperto l'arcipelago dedicandolo al nome del suo ministro della marina, Lord Sandwich. Sì, sì, queste sono le romantiche isole Sandwich dove si svolgono le curiose avventure di Melville marinaio, narrate nel libro «Taipee»; da queste parti l'odio manicheo del capitano Achab avvista per la prima volta la < Balena Bianca » e la inscgue, maledicendo al cielo e a Dio per non averla raggiunta. Oh pagine di « Moby Dick », oh lunghi racconti della « Stella d'argento » di Stevenson, oh ravvicinate ma già remotissime immagini di celluloide dei grandi films del Pacifico, « Ombre Bianche » e « Tabù »; opere di solo trent'anni fa. Inutile, inutile venire a cerca re il colore della Polinesia alle Hawaii. Bisogna scendere anco ra duemila miglia più al sud, andare alle Tuomotu, alle isole della Società a Tahiti, per trovare qualche tribù seminuda Alle Hawaii da gran tempo la « civiltà » polinesiana s'è coper fa con pantaloni e gonnelle < persino le collane di gelsomini e di orchidee profumate che una volta si appendevano al col lo dei « malihini » — i nuovi ar rivati, gli stranieri — oggi, chi le voglia, deve comprarsele vecchi « hawaiiani » venuti, sulla fine del secolo scorso, alle isole per coltivare canne da zucchero e ananas, hanno visto Oahu e le altre sette isole dell'arcipelago decadere lentamente alle condizioni di caserme, di arsenali, d: città militari, ausiliarie dei campi di aviazione, delle basi navali Hanno visto scomparire tribù accampate nei villaggi tra foresta e mare, sotto le tettoie di paglia; hanno detto addio ai panorami di alberature, di vele di scafi e di tetti aguzzi della rada di Pearl Harbour, il rifugio dei balenieri e delle navi in traccia di commerci e di avventure negli arcipelaghi della Micri mesia, della Nuova Zelanda. dell'Australia. Oahu e tutte le Hawaii sono diventate lentamente un Museo di memorie ancorato in mezzo al Pacifico. Bisogna entrare nei molti musei di Oahu per vedere ciò che reddgscdlegddmcnBngnl.luscilgplo«scdalprgdsdmtplmcl'FaMldinnsdefsngthlvndrpgnnDabcpepmscvnsriwppgsaclpdgnsmdGrdl à . e a i e i a e o e o : i a e ai e a o n nia. e nouhe resta, conservato nella naftalina, della vecchia vita polinesiana: dei Re e dei guerrieri dai lunghi nomi pieni di vocaii; ombre scomparse, ombre cui è difficile dar corpo nel modellare, dietro le vetrine e i numeri di catalogo, le immagini di quegli eroi dello Sterminato Marc che ; 1davano in guerra nudi, sotto i meravigliosi mantelli di piume, coperti di elmi di legno, uguali nella forma all'elmo di Achille Bisogna sforzare l'immaginazione per chiarirsi su quel meraviglioso atleta hawaiiano, di cui nel Bishop Museum si conserva l.i pesante tavola sagomata, il lui, che gli serviva a correre sulle onde, in un gioco che ancora si conserva ed è diventato il surfing: lo sport della spiag' già''" di Waikiki. I bianchi non possono e non sanno dire come lo straordinario eroe hawaiiano: « Vado a correre sull'Oceano, solo quando la tempesta ne caccia ogni essere umano ». E certo fa senso, ed anche disappunto, confessare di essere arrivato fin quaggiù, in questa latitudine inconsueta del globo, per recarsi in un musco a vedere come siano fatte le meravigliose barche a bilancia delle diverse popolazioni della Polinesia Sul mare vero non se ne vedono più. Forse, solo a quattromila chilometri più al sud, entro dispersi e remotissimi gruppi di atolli e isolcttc, battono le loro vele. Fa senso imparare sui modellini, come in una illusione cinematografica, la disposizione e l'architettura dei villaggi maòri. Fa senso ritrovare, impagliata e appesa al soffitto del già detto Museo Bishop, nientemeno che la « Balena bianca », il mostro dalla testa quadrata, «Moby Dick» in una parola. E' librata lassù, nella sala grande, e galleggia nell'aria chiusa, nella luce acquosa, nell'odore medicinale. Come rapidamente le forme della vita si avvicendano, come esse si lasciano « lavare » dal fluire rapido degli anni. Stevenson venne alle Hawaii cento anni fa e trovò anche lui « che già tutto era finito » e tramontati i tempi del gran Re Kamehamcha, l'unificatore dell'arcipelago, gli anni della grande avventura dei due marinai britannici che insegnarono al Re l'uso di un cannone di bronzo e fu rono fortunati al punto che, al primo colpo, la palla andò a ta gliare in due il guerriero Kaia na, generalissimo delle truppe nemiche. John Young e Isaac Davis si chiamavano questi due avventurieri britannici; la tomba di uno, Young, si visita oggi come una tappa obbligata nel periplo dell'isola; un ben triste e deludente periplo codcIuso proprio dinnanzi a questo marmo posto dalla gratitudine del successore di Kamehamcha, a ricordo del consigliere saggio e valoroso di suo padre, morto a novantasei anni, dopo quarantasci di fedeltà. Oh, non si offre molto alla curiosità dello straniero in questa isola Oahu, la perla delle Hawaii, così simile ad una Capri più grande e meno bella. Chi si porta dentro, per letture della giovinezza, le avventure e le soste, i terrori e le speranze, le ansie e le ilarità dell'uomo bianco al contatto con l'universo polinesiano, vede a quali miserabili proporzioni turistiche siano ridotte le scoperte, gli stupori e gli incantamenti di quelli che, nell'età della vela (e stavo per scrivere: nell'età felice) arrivavano sin qui a sorprendere l'uomo nella sua innocenza, nella civiltà» della selce appuntita e dell'adorazione dei vulcani. Ancora venticinque anni fa Alain Gerbault, il « navigatore solitario », ricordava questi uomini che adesso vendono ghirlande di orchidee e di gelsomini per le vie di Honolulu, troppo uguali a quelle di Miami e di Hollywood. Essi, scriveva Gerbault nel 925, conservano ancora uno lei privilegi più puri della vergine umanità: non lavorano, passano il tempo a giocare, a fare all'amore e alla guerra Quanti sono, adesso? Pochi, sfuggiti alla mistione delle razze popolatrici venute dal Giappone, dall'immigrazione portoghese, dagli Stati Uniti. Nel viaggio attraverso Oahu. mezzo la giornata, l'autista si fermato sulla via lucida, dritta, pulita. Mi ha chiesto se volessi vedere un gruppo di nativi: dì «veri» hawaiiani. Erano ragazze e ragazzi nudi, confusi nella medesima acqua verde e spumosa di un pond sbianchito da un'alta caduta d'acqua. Messi lì, ma non credo apposta, ripetevano un'immagine consueta e ovvia delle Hawaii, della gente polinesiana, della vita fluviale. Mostravano qualche pudore, ma non tanto da non tradire che, forse, meno di cento anni fa, non l'avrebbero avvertito. Giocavano. A me parve, appunto, di coglierli, di fotografarli come un branco di cefali nell'acqua chiara. Anche sulla spiaggia di Waikiki, dinnanzi a questi alberghi favolosi, ho cercato di scoprire nei giovani milionari americani, vestiti di elastici complicati, il gusto del gioco, dell'innocente gioco, su per le onde della baja, sulle tavole del surfing spinte in cima alla risacca, nella, specchiante velocità delle masse di acqua verde. Ridevano troppo Anche stasera mentre, nel buio, miro laggiù il Pacifico vestito di luci e di lustrini come una canzonettista, queste belle donne vestite di gioielli e di pelle pròfumata, queste donne dagli sguardi carichi, venute fin quaggiù a cercarsi una hawaiian night, una notte hawaiiana, ridono. Ridono falso. Appartengono all'umanità che non sa più giocare. Giovanni Artieri (l