La gondola e il pesce

La gondola e il pesce L'ULTIMO LIBRO DI HEMINGWAY La gondola e il pesce Quando, due anni or sono, Ernest Hemingway tornò al ro- rrtonzo, con Across the river and tnto the trees, ci furono pro-.teste e rumori, fioccarono seve- ri giudizi. La truculenza e mo- notonia dei dialoghi, infarciti di parolacce, spolverati di scorret- j to italiano, punteggiati di pcs- ! simo francese; la trivialità del- la vicenda — l'ultima passade | di un maturo colonnello statu-! mtcnse con una contessina veneta di primo pelo —, lo spiacevole ambiente, che puzzava ancor di guerra perduta e di esercito d'occupazione, allontanarono molta gente dal libro. Riprendendolo oggi in mano, si scorge come certe acerbità e stonature si risolvano in satira; l'eterno sbevazzare, lo sdolcinato e perpetuo « Ti voglio bene » espresso col sentimentalume di chi, se non del tutto ebbro, è solitamente in cimbàli, si tingono-di lamentosa malinconia. Allora, si andò insinuando e sussurrando, che il protagonista del racconto, il colonnello Richard Cantwell, non foss'altro che un prestanome dell'autore, e Across the river, il suo canto del cigno. Eppure, riletta a distanza, e a sangue freddo, questa lunga novella meglio che romanzo, mostra sempre l'unghia del leone. Oltre la vena tragica che serpeggia di pagina in pagina nella figura di chi sente di dover morire presto, e rievoca il suo passato, mentre gode febbrilmente gli ultimi piaceri, vi è una pantomima improvvisata che inventa El Ordine Militar Nobile y Espirituoso de los Caballeros de Brusadelli, si vale dell'on. Pacciardi, « ministro della Difesa di un paese indifendibile », del ricordo di' un D'Annunzio « monocolo, l'occhio perduto coperto da una benda, bianco in volto come la pancia di una sogliola », della caricatura del maresciallo Montgomery, « ghiacciato come un' Martini », e avvezzo a <t quindici contro uno », della botta al generale Eisenhower « eccellente politico, generale politico » ed al suo collèga Bradley « mastro e' scola », e cosi via. A questo scenario da commedia dell'arte restiamo estranei solo noi piemontesi, gente « gelida » e di frontiera, però produttrice di ottimo vermouth. Molti dei clamori che accolsero Across the river, sarebbero caduti, se ci si fosse ricordati che il libro continuava la «maniera » di Hemingway in Fiesta, Morte nel pomeriggio, e soprattutto nelle Verdi colline d'Affrica: note di viaggio autobiografiche o quasi, con appena un filo romanzesco, dialoghi a più non posso, paesaggi, frequente turpiloquio. Stavolta, era Venezia a farne le spese, a servir di «fondo, una Venezia chiusa fra un bar alla moda « un grande albergo, con una gondola adoperata per letto, una laguna gelata, divenuta luogo di caccia alle anitre. La galanteria volgeva a tutto vantaggio della contessuta, disinteressata e morbida, contro le americane avide e legnose; Hemingway, che aveva militato con noi durante la guerra 19151918 e v'era rimasto ferito (Addio alle anni) reduce dalla Trieste 1945 nel personaggio del colonnello Cantwell, mescolava il ricordo dei vecchi, ai nuovi bagordi. E immaginando la fine del suo eroe, attraverso il fiume e sotto gli alberi — che tale è il titolo del suo libro — per un colpo apoplettico, chiudeva l'esperienza italiana in bellezza, e con rimpianto. Aggredito dai critici, accolto fiaccamente dal pubblico stanco della sua maniera, Across the river è ora seguito da uno strano racconto. The old man and the sea (Londra, ed. Cape, 1952) che fin qui non sembra più fortunato. E' molto probabile che i recensori inglesi abbiano te nuto presente nel verdetto Moby Dick, ben noto anche fra noi grazie alla traduzione di Cesare Pavese; e certo il poema mari no di Melville è come l'Odissea al confronto di un en marge alla Jules Lemaitre. Ma anche // vegliardo e il mare, non mi induce a giudicare Hemingway uno scrittore « finito ». Nelle sue 127 pagine, ce ne sono cinquan ta di troppo; però sappiamo che in Hemingway, l'avvio del la narrazione è lento, faticoso, divagante. Il vecchio pescatore sfortunato, il ragazzino che lo ammira e lo rincuora, potevano—è vero — esser disegnati in pochi tratti; però le descrizioni, i dialoghi, lo squallore dell'età, l'incertezza del giornaliero sfamarsi, sono elementi del quadro. Uscendo al largo da so- lo, deciso a romper la mala sorte, il vecchio pescatore si vede -sfuggir ogni preda per ore ed ore, sinché sente che qualcuno ha abboccato, qualcuno di grosso, ch'egli cerca d'indovinare, temendo per la barca. Comincia così la lotta per governar la bestia catturata: l'uomo ' vecchio, ha crampi alle mani, è sprovvisto di cibarie, uno strattone, una fuga, capovolgerebbero l'imbarcazione Finalmente il gran pesce uncinato viene a galla, e !a sua presenza sbalordisce e sgomenta il vegliardo: sono due avversari, degni uno dell'altro. Nel monologo del pescato re, entran ricordi, imprecazioni, preghiere, mentre il cetaceo sprofonda di nuovo, e la barca vaga pel mare che si fa grosso Bisogna, per poter dargli il colpo di grazia, che il gran pesce risalga, si accosti. Ma prima, ecco affiorare un delfino, colpito, tratto a bordo, scannato, divora to a brandelli, caldo e sangui nante, dà la forza ti pescatore per la maggior prova. Eccolo: un colpo d'arpione, e la magnifica preda è fatta, saldamente legata al turione. Esausto, 11 ye- gliardo ricade sul fondo della barca, tra il fetor dei resti del delfino, sangue rappreso, v'omito, nausea, e mormora: «Ho ucciso il Pesce, ch'è mio fra tello ». E qui c'è un colpo di scena. Dal mare arrossato ac corrono altri squali, e assalgono il gigantesco cadavere a rimor chio, lo sbranano, lo spolpano, Invano il pescatore cerca di al lontanarli sino a rimetterci l'ar- pione e a spezzare il coltello. Mentre la barca procede lentamente e con difficoltà verso la riva che si profila all'orizzonte, scossa dalle onde tumultuose, il cetaceo va in pezzi, le taglienti mascelle degli squali gli divorano il ventre argenteo, alleggeriscono il carico. Sicché, entrando in porto, non rimane al vecchio pescatore che una gigantesca lisca, nulla da vendere, e gli arnesi del mestiere perduti. E' notte, e nessuno si accorge della barca che approda. Ma il mattino dopo il ragazzino apprende dalla gente che contempla il curioso spettacolo dei resti appesi alla barca, il ritorno del suo grande amico, e corre da lui. Lo trova insanguinato, sporco, Tonfante sul misero giaciglio, lo sveglia, lo conforta, gli dice: — Dorinavanti, verrò con te. — E il vegliardo si riaddormenta sognando la sua giovinezza^ le coste dell'Affrica dalle quali aveva veduto giocare e azzuffarsi i leoni. Pochi più di me ammirano Moby Dick, il cui protagonista è ossesso dall'incontro con la balena, e biblicamente la combatte fra simboli ed allucinazioni. The old vian and the sea indubbiamente deriva dalla stessa vena puritana dell'uomo alle prese con la natura e con la propria coscienza, e se si avrà cura di rileggere i primi capitoli delle Verdi colline d'Affrica, vi si troveranno discorsi letterari di Hemingway atti a sostanziare l'interpretazione autobiografica da noi accennata. Lo scrittore crede di giganteggiare sui suoi emuli, li tratta come un leone - considera i cagnuoli che intorno gli abbaiano; d'altra parte sente come, dopo Per chi suona la campana, comincino a sfuggirgli pubblico e successo. Di questo stato d'animo però la ispirazione si avvale: traduce ire e delusioni, sfoghi e rancori in simboli, riprende i temi del"amore e della morte che ha familiari e li porta in nuovi ambienti, li orchestra diversamente. Fra tante volgarità, una ventata improvvisa risana l'atmosfera, e proprio dove lo si attende al varco dell'indecenza, rieccolo casto. L'amplesso di Across the river è in queste righe: «Nè la donna nè lui parlavano, e quando il grande uccello volò fuor della chiusa vetrata della gondola, e dileguò, nessuno dei due ruppe il silenzio"». E la morale del Gran Maestro .dell'Ordine è semplice: «L'amore è amore; l'allegria, allegria. Il pesce dorato muore in pace ». Si è parlato troppo di un « ritmo » che dominerebbe i racconti di Hemingway e costituirebbe la sua originalità. Gusto inutile di complicar le cose. L'arte dello scrittore è nel suo temperamento, e se proprio vogliamo trovargli un modello, egli stesso, nelle Verdi colline ■■■iiiiiiiiiiiiiiiiiifiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii d'Affrica ci ha fornito la chiave : « Innanzi tutto, talento, del tipo di quello che ebbe Kipling; poi disciplina, una disciplina alla Flaubert». Se le nuove generazioni avessero letto Kipling, come facemmo noi, si stupirebbero assai meno della maniera di Hemingway, lo metterebbero in graduatoria anziché crederlo unico. Cosi com'è, con i suoi vizi e le sue manie, pacchiano e potente, melodrammatico e sottile, sgangherato e disordinato, stilista efficace e scrittore deplorevole, Ernest Hemingway rimane un bel fenomeno letterario, un campione che di libro in libro ingaggia una partita col pubblico, cerca di conquistarne gli applausi. E l'arbitro non ha ancora suonato il gong finale, nè gettato la spugna. Arrigo Cajumi IITIIIMIIIIIIIIllIlIIMItlMIIIMMIllllIIIIIIIIIlllMflI

Luoghi citati: El Ordine, Londra, Trieste, Venezia