Romanzo e dramma di Mario Gromo

Romanzo e dramma Romanzo e dramma E' nuda, la sua maschera, senza un trucco apparente. Le guance flosce, i bianchi capelli lanosi, il collo intozzito, le rughe taglienti, gli occhi infossati, sono il suo volto di ogni giorno, che senza il minimo aiuto o lenocinlo ha voluto che fosse il suo strumento per querta difficilissima prova, da lui magistralmente risolta con una quasi inavvertibile complessità di inflessioni, soprattutto affidate allo sguardo. Dopo questo acme di dolorosa umanità, di commossa emozione, la svolta improvvisa. Calvero, data un'ultima occhiata a Teresa sempre immota, si adagia su di un misero divano, s'addormenta; e sogna di fare uno dei suoi < numeri > per un pubblico entusiasta e plaudente. Questo suo < numero » da lui abbandonato per l'incomprensione di troppi piccoli impresari, e per essersi lui dato all'alcool, è la gemma comica del film. Si intitola II domatore di belve. Stivaloni sfasciati, marsina sfondata, passi a sghimbescio; tra le mani una frusta che fa schioccare in scudisciate tonanti, Calvero-domatore viene alla ribalta cantando una sua saporita canzoncina, e poi, fra altre tremende frustate, si appresta a presentare, In libertà, Phillis e Bob, le sue terribili belve: due pulci ammaestrate, che non vogliono saperne, di prodursi. Calvero le incita, le atterrisce e le costringe, come se avesse a che fare con un cocciuto leone e una riottosa leonessa; e finalmente le due invisibili pulci si inducono a fare fi loro dovere. Le loro evoluzioni, dall'una all'altra mano del domatore, noi le vediamo soltanto per quegli incitamenti, e soprattutto per le raggianti pupille di Calvero, che le seguono in quei doppi, tripli e quadrupli salti mortali. Un « pezzo » irresistibile, forse paragonabile alla danza dei panini ne La febbre dell'oro; con variazioni e imprevisti che non danno tregua, fino al tornare delle due belve nella loro gabbia, nel loro scatolina di cartone. Calvero ne è fiero e felice, lo applaudono, il successo è di nuovo suo; ma d'un tratto il teatro si fa silente, poi deserto; e Calvero si sveglia, di nuovo alle prese con la sua povera vita, con nell'altra camera una povera ragazza da lui strappata alla morte. La perfetta ohiusura di questa parentesi, la comicità travolgente del < numero » in sè, e l'immediato ritorno alla commozione di prima; i ritmi contrastanti e alterni di questi due primi capitoli; hanno scatenato un convinto applauso, scaricando le due opposte tensioni che si erano andate accumulando negli animi di' questi spettatori non certo facili. Mi sono indugiato su questa prima mezz'ora del film perchè sommamente significativa; e quasi esemplificatrice degli ulteriori episodi. D'ora in poi i due elementi si alterneranno. Un capitolo della vicenda di Calvero e di Teresa, e un <numeroy o un balletto. Il secondo inumerò » segue da vicino, è un altro sogno di Calvero, che sogna di interpretare con Teresa « E' arrivata la primavera », un grottesco un po' facile. Debole è il terzo, < La canzone delle sardine », che Calvero interpreta in un piecolo music-hall, dopo aver ottenuto una misera scrittura, ma il pubblico non vuole saperne, per il povero vecchio sarà di nuovo la miseria. Intanto, grazie a lui, Teresa arriverà ad interpretare il balletto « La morte di Colombina », dove Calvero, per pietà, sarà ammesso a una particina di clown. Il balletto non è gran che, la partiCina di Calvero-Chaplin è assai qualunque, soltanto due o tre efficacissimi passaggi ) quasi tecnici animano il trop- | po ampio episodio coreografi' co. Trionfo di Teresa, men- tre di Calvero si dice che < il pagliaccio non va »; un giovane musicista è riapparso a Teresa, questa ancora gli resiste, vorrebbe tutta dedicarsi al suo infelice protettore, che di lei avrebbe ora tanto bisogno; e riesce a combinare una serata in suo onore, e a suo beneficio. Qui il film raggiunge il suo secondo diapason comico, con < Il concerto », im pareggia burnente animato da Chaplin violinista e da Blister Keaton pianista. E al vertice comico subito si sostituisce quello drammatico. La caduta in orchestra di Calvero, su di una grancrnsa, dovrebbe essere l'ultimo e culminante effetto del < numero »; ma il vecchio ne morirà mentre Teresa (lo spettacolo deve continuare) come una farfalla volteggerà alle luci della ribalta, che di lei hanno visto e vedranno i trionfi. Come vedete, la tessitura del film, nettamente alterna < numeri > e balletti a quelli che sono gli incastrati capitoli del romanzo; non sempre, purtroppo, questi dicono quanto dovrebbero dire. E' la più vera riserva da farsi. Forse Chaplin ha troppo indugiato sulla sceneggiatura, ha creduto di tonificarla troppo semplificandola, senza accorgersi che la impoveriva con una quasi monotonia di toni, di trapassi e di situazioni. Lui, un tempo acerrimo nemico del film sonoro, parla molto, moltissimo. Stati d'animo, derivazioni e incastri, per lo più si affidano a battute e battute, quasi sempre fra due personaggi, e con l'alternarsi di primi piani di diretta funzione delle singole battute. Si direbbe, talvolta, teatro filmato. E arrivasse, Calvero, allo sfogo, ma giunge anche alla moralità o alla sommessa invettiva, con chiose vnrie, sul pubblico teatrale, sulla vita, sull'amore. Chaplin ha voluto darci il romanzo di Calvero; e parecchie volte lo ha ridotto a dialogo. Quel dialogo gli deve essere apparso dramma; ma i suoi veri istanti drammatici, quando ci sono, sono nel suo indimenticabile volto, non in molte delle sue parole, anche se dette stupendamente. Il successo Questo non può essere taciuto, sia pure con tutta la reverenza possibile. Se un meno egocentrico Chaplin avesse voluto ascoltare, nei confronti del suo copione, la impressione di qualche valente sceneggiatore, non sarebbe caduto in queste evidenti pecche di struttura. Ha voluto affermarsi con un volto inedito, di attore drammatico, ed è splendidamente riuscito; ma le sue ambizioni di scrittore non hanno altrettanto servito quelle dell'interprete. In ogni modo il film costituisce un grosso avvenimento, appartiene fin d'ora alla storia del cinema. Piacerà certo molto al pubblico anglosassone; ma, tiierttabilmente doppiato, potrebbe, se non snellito, lasciare un po' interdetto un pubblico latino. Di gran lunga superiore n Monsieur Verdoux, non ha i saporiti squilibri de Il dittatore, e nemmeno l'estro di Tempi moderni. L'attore strapperà molte risate e parecchie lacrime; ma questo suo film può tanto essere un importantissimo prologo a un nuovo Chaplin, quanto il patetico epilogo del Chaplin che amiamo. La visione ha suscitalo cinque applausi a schermo acceso e uno assai prolungato alla fine. Claire Bloom è apparsa una rivelazione, è certo la migliore attrice che abbia finora recitato con Chaplin; e tutti gli altri personaggi sono esattamente calibrati, tranne quello del musicista, interpretato dal giovane e insufficiente Sidney Chaplin. Gradevoli le musiche; talvolta stupenda, e persino un po' preziosa, la fotografia di Karl Struss. Mario Gromo