Terrificanti episodi narrati dai testi d'accusa

Terrificanti episodi narrati dai testi d'accusa IL. PROCESSO PEE IìA STRAGE M SCHIO Terrificanti episodi narrati dai testi d'accusa (Dal nostro inviato speciale) Milano, i ottobre. E' un processo triste, in cui le testimonianze si susseguono fitte e monotone ripetendo lo stesso racconto di crudeltà. Non c'è un filo di misericordia, non una pagina di generosità, di cavalleria, di comprensione. Come spiegare tanta ferocia? Le rivoluzioni si somigliano tutte: hanno il tragico potere di ricacciare l'uomo nelle nebbi della sua preistoria ferina. L'episodio di Schio sarebbe, però, inesplicabile se non lo si collocasse nella sua giusta prospettiva storica. Un clima di violenza avvelenava gli animi, non da un mese o da un anno, ma dal tempo della calata dei tedeschi all'8 settembre; e prinv- — se vogliamo essere precisi — quei giovani che poi spararono nell'eccidio erano stati educati all'odio e alla prepotenza. Così la notte del 6 luglio '45 l'arida ventata della vendetta spalancò le porte di un carcere. I « giustizieri > non guardarono in faccia alle loro vittime. Caddero, tra gli altri, una vecchia di 68 anni, imprigionata per una bega con i vicini, il primario dell'ospedale, poveri diavoli che tenevano un posto direttivo allo stabilimento. Questa strage ha qualche aspetto della faida antica e ricorda le sanguinose sommosse dei girondini a Lione nel 1793, quando il maresciallo Marmont, che ne fu testimone, annotava: « Sono i giorni in cui ciascuno cerca di uccidere il suo creditore ». La sfilata dei testi d'accusa è continuata stamane alle Assise di Milano. Davanti alla Corte, Alessandro Federle ha raccontato che una notte del 1944 fu svegliato da sconosciuti che pretendevano aprisse la porta. Rispose gettando una bomba a mano. Ciò costò al Federle, che era un fascista di antica data, l'arresto nell'estate del 1945. Nelle carceri di Schio il salvò dalla sparatoria buttandosi subito a terra e nascondei 'osi sotto i cadaveri. Nello stesso modo si salvarono anche Augusto Cecchini, sergente della milizia, Caterina Sartori, arrestata in luogo del marito, Emilio Ghezzo, che pure era stato squadrista, ma pare avesse poi prestato qualche aiuto ai partigiani. Ghezzo ha raccontato un episodio che la parte civile interpreta come prova della premeditazione nel massacro del 6 luglio. Qualche settimana prima di essere trasferito alle carceri mandamentali, il Ghezzo si trovò prigioniero in una caserma di Schio, e qui arrivarono una notte tre partigiani che per due ore — afferma il teste —r spararono a casaccio in uno stanzone gremito di detenuti, senza però colpire nessuno. «A casa — afferma il Ghezzo — ho ancora la gavetta forata dalle pallottole ». Silvio Magnabosco ebbe uc-\ elsa nella strage la figlia diciassettenne, che aveva prestato servizio in un ospedaletto tedesco. I mandati di cattura erano compilati spesso in modo sommario: soltanto il cognome e la paternità, ad esempio, erano scritti sul foglio che decise l'incarcerazione di Alfredo Perazzolo, una delle vittime. Con lui, fu imprigionato anche il padre, Umberto: nella sparatoria mori il giovane, si salvò invece il padre, che ora è venuto a testimoniare. « Dissi agli sconosciuti che ero innocente, e mi presero a schiaffi », racconta. Più a lungo e più caldo di rancori non sopiti, il racconto dell'ing. Carlo Gentilini, che fu tratto in carcere da un suo ex-dipendente licenziato: il teste uscì vivo da sotto una « trincea di morti » quando già stava per soffocare. All'ospedale alcuni medici si sarebbero persino rifiutati di curare i ferini. Pare che nelle corsie, 1 letti dei degenti partigiani fossero contraddistinti da un fiocchetto rosso per garantire un trattamento preferenziale. L'irosa testimonianza si conclude con una ennesima chiamata In causa del rag. Pietro Bolognesi, presidente del Comitato di epurazione, che molti scampati hanno già indicato come l'insabbiatore del mandat. di scarcerazione. Per far luce su questa re sponsabilità il presidente dispone che il Gentilini rimanga a disposizione della Corte anche nell'udienza che vedrà salire alla pedana il teste rag. Bolognesi, il personaggio più enigmatico di questo processo. Dopo la testimonianza di al¬ cuni congiunti di vittime, avanza nell'emiciclo il maestro Li no Tadiello, che fu l'ultimo se gretario del partito fascista re pubblichino di Schio: « Se vo levano del sangue, dovevano uccidere me », egli dice con voce rotta dall'emozione. Il Tadiello rimase ferito ed ha ancora una pallottola infitta nella schiena. Sotto il grandinare dei colpi vide cadere suo fìllio Carlo, non fece a tempo a rac coglierne le ultime parole. Ri pe' ! anche lui che all'ospedale il trattamento fu negligente e astioso: per le corsie si aggiravano gruppi di armati. Fri ma di abbandonare l'aula ri volge lo sguardo verso la gab già: «Dagli occhi mi sembra lui il capo della spedizione », esclama fissando Ruggero Mal tauro, sempre silenzioso e qua si assente. Il processo riprenderà martedì mattina. g- Se¬ I-II r 111111111F11 ! M11111111 i 1111111 ! 1111111111 ! H1111 ! M11

Luoghi citati: Lione, Milano, Schio