Sentenza della Corte di Appello sulle miniere d'oro di Val Anzasca
Sentenza della Corte di Appello sulle miniere d'oro di Val Anzasca Una causa di risarcimento contro il Ministero dell'Industria Sentenza della Corte di Appello sulle miniere d'oro di Val Anzasca Gli ex-proprietari delle concessioni per lo sfruttamento del materiale aurifero sostengono di esser stati costretti dal fascismo a vendere gli impianti che La Corte d'Appello di Torino (Sez. I, Presidente Dematteis, relatore Prato) ha dovuto occuparsi, in recentissima sentenza, di fatti di grande risalto e che si collegano alle vicende economiche durante il ventennio del fascismo. Fin dal 1902 il gruppo familiare dei signori Ceretti di Villadossola, che si condensa ora nella società per azioni Pietro Maria Ceretti, ^possedeva in Valle Anzasca sette concessioni perpetue pur la estrazione di materiale aurifero, ed in più un notevole impianto per il trattamento di detto materiale. Come è risaputo la località piemontese è una delle poche, per non dire l'unica in Italia che dia un apporto discreto di oro, e quindi quando il governo fascista si orientò verso la politica autarchica vide nella minuscola risorsa aurifera una sorgente di ricchezza che non doveva sfuggire al suo controllo. I Ceretti sostengono (e questa tesi è stata sviluppata tanto davanti al Tribunale quanto davanti alla Corte d'Appello) che la dittai ura volle dare saggio del suo strapotere anche verso di loro, imponendo alla loro società di rinunciare alle concessioni. I Ceretti spiegano di esser stati pure privati di una successiva concessione temporanea solo perin un periodo di tempo assurdamente breve si pretendevano da loro installazioni nuove e di grandissima mole. In seguito vennero multati per cifre cospicue per pretese infrazioni alla iiiiiii»! iììi ìsiii iiiiriiiiiiiii iìiiiiii^ ìiiiiiiiiu esportazione dell'oro; e per ultimo furono proposti per il confino, e tale pena di polizia ebbe esecuzione nel 1939. Di fronte a queste manovre 1 Ceretti rinunziarono alla lotta e cedettero per l'esigua somma di E milioni e mezzo tutto il complesso industriale e minerario alla AMMI di Roma (Azienda Minerali Metallici Italiani) : avvenuta la cessione — essi fanno rilevare — cessarono come per incanto le persecuzioni, non solo, ma poterono persino ritornare dal confino e si videro condonare tutte le multe. Caduto il fascismo, gli ex-proprietari iniziarono causa nel 1946 ! contro la AMMI e nel 1949 contro il Ministero dell'Industria davanti al Tribunale di Verbania, chiedendo l'annullamento della vendita. Il Tribunale però non accoglie1 la tesi del Ceretti, i quali intendevano dimostrare che nei vari successivi episodi esisteva una concatenazione di mezzi illeciti tutti rivolti ad ottenere la cessione dell'azienda a una società che non fosse sgradita al gover- ■1111! 1111119 ! 111111 ! 11111111M111111111111 ! 1111 ^ 11111 no fascista. Ora la Corte d'Ap pello, con recente sentenza, ha confermato la decisione dei pri mi giudizi, non ritenendo sufficientemente dimostrata la tesi dei Ceretti sulla costrizione alla ces sione. Gli ex-proprietari hanno vista respinta la loro domanda < sono stati condannati alle spese
Persone citate: Ceretti, Dematteis, Pietro Maria Ceretti
Luoghi citati: Italia, Prato, Roma, Torino, Verbania, Villadossola
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