Reggimento al campo

Reggimento al campo Reggimento al campo La vita di reggimento cinquant'anni fa. Sembra, anch'essa, un sogno a noi che andammo sotto le armi prima del '900. Le monture, l'equipaggiamento, le istruzioni di compagnia e di battaglione in Piazza d'Armi col finale dello sfilamento in parata, le marce con le misure di sicurezza, le tattiche di Presidio con le avanzate in ordine sparso, le scariche a salve, l'assalto alla baionetta delle posizioni nemiche: tutto ha, nel ricordo, il fascino dell'inverosimile che pur fu realtà. L'andata sotto le armi era stata per me un'immersione felice nella vita vegetativa. La disciplina — prima, nel plotone allievi ufficiali; poi, da sergente, in compagnia — aveva la leggerezza della piuma a paragone di quella familiare. D'altra parte, con l'abitudine all'esercizio fisico fino alla manìa, le fatiche militari mi sembravano spassi. Perfino lo zaino — « la pecora », la strapiombante pecora — che gravava a guisa d'un giogo e costringeva a andare col capo e le spalle curvi verso la terra, era da me accettato, non so più se istintivamente o coscientemente, come un ricurvamento benefico verso la terra dopo tanto spaziare nei cieli della lirica e nell'empìreo della metafisica. E veramente da questa riacquistata terrestrità tutto prendeva, d'intorno, aspetto di solidità e di salute. Appena, poi, nelle marce, s'era un poco distanti dalla città, nei luoghi degli antichi incanti — Vincigliata, Tcrzollina, l'Incontro — un saluto sereno e vigoroso di gioie s'effondeva dalle cose, e dava all'anima oblìo in cui anche l'affaticamento corporeo profondava in una dolcezza quasi voluttuosa. Lo 'stesso sudore: che cos'era, nelle lunghe marce estive, sotto il farsetto a maglia e il cappotto di panno e il chepì: come tanti spilli, da prima, che trafiggevano la carne, e poi da ogni puntura U:i rivolino caldo, e a poco a poco i rivolini confluivano: un bagno; inondato tutto di sudore da capo a piedi, grondante. .Ma io ho sempre sentito il sudore come una disintossicazione. E anche ai ritorni, nel polverone della via maestra, sotto la sferza canicolare, mentre nelle file tutti morivan di sete, io abituato da mio padre a guardare sdegnoso, lungo gli estenuanti cammini, ogni fonte, ho sempre ignorato la sete divenuta martirio. E ora il reggimento andava ai tiri; e ai tiri si sarebbero innestate le manovre di divisione. Il campo, l'accantonamento, le tende, l'addiaccio: grandi eccitanti al mio fondo romantico; avuta sempre nel desiderio e nel sangue la manìa del viandante insaziabile, l'amore pei poggi e pei monti, il godimento dello spaziare dall'alto ai più lontani orizzonti. Tutto ciò avrebbe avuto il. suo appagamento. E come se non bastasse, dove l'appagamento sarebbe avvenuto: in Casentino. Solamente l'idea del Casentino — Poppi, Romena, i conti Guidi, Dante, Campaldino, l'Archian rubesto, Buonconte, Maestro Adamo: « i ruscelletti che dai verdi colli.. ». Nessuna avventura più seducente, nessun viaggio più allettatore; la favola, il mito che stavano per presentarsi ai miei occhi nei luoghi della realtà. Ma quando, nella torrida notte di luglio, appena usciti dalla caserma San Giorgio, ci schierammo lungo la Costa Scarpuccia per salutar la bandiera, sentii tutt'a un tratto insostenibile il peso che portavo, e profittando che come sergente stavo dietro al plotone in serrafile, cercai, addossandomi al muro della scarpata a bozze, d'alleggerire il peso almeno dello zaino, appoggiandone il fondo sull'orlo sporgente d'una bozza. Strapiombava lo stesso: col « salame » delle cartucce, due paia di scarpe chiodate, la tenuta di panno, i viveri di riserva, il corredo completo, la biancheria fuori d'ordinanza, il telo da tenda, la coperta da campo. Aggiungete il fucile, il tascapane che strabuzzava, la borraccia piena, le giberne sulla bocca dello stomaco: a pensare che s'aveva a far tutt'unj tirata fino a Diacceto, sulla via della Consuma: «Chi ce la fa? — dissi tra me — Pallino! ». La parte di città che attraversammo era ancora sveglia: noi la si svegliò più che mai. Poi, passata la barriera Aretina, le vie deserte, le case chiuse, l'oscurità dormente. Non c'era luna; e il reggimento marciava a passo di strada con accese le lanterne in dotazione a ogni compagnia: quelle lanterne alla veneziana che sapevano di rificolone e ricordavan l'infanzia. Io non ho avuto mai disposizione per le marce notturne: a una cert'ora il sonno è più forte di qualunque cosa. Finché ero stato al plotone, ogni volta che c'era marcia notturna, mi raccomandavo al compagno di sinistra o di destra: «Fammi il piacere, sorvegliami! »; e appena a passo di strada m'abbandonavo al sonno: un sonno di sonnambulo. Ma ora, in compagnia, graduato, proprio con l'incarico di mantenere la regolarità della marcia...: quella formazione, di qua e di là, ai margini della strada, di bisce parallele che si contraggono per poi rallentarsi, allungarsi: e allora: «Sotto, la coda! Sotto! »: un riserrare di corsa, con rinsaccamento di zaini e sferragliar di fucili. E quello zaino addosso, affardellato da campo. Ma pure passavano i luoghi più che io passassi dai luoghi: la Bellariva, Rovczzano, Quìntole, con l'aspetto fantastico che davan loro la notte il mio dormiveglia; passavano sempre più irreali, avvolti in mobili ombre —• a ora a ora, una luce dietro la rosta d'una bottega chiusa, un lumicino nei campi, l'impressione, in sogno, d'un pagliaio o d'un campanile. Il risveglio della coscienza fu sulla piazza di Pontassieve. « Zaino a terra!»: ed era l'alba. Meravigliosa. Non mai così dolci i co¬ lori, così vivificante l'alito fresco dell'alba. E ristoratore il caffè fatto dai cucinieri in mezzo alla piazza, e bevuto con d»c dita di fondata nella tazza di latta sàpida d'anice e di vino. Lo zaino giù in terra come se un altro l'avesse portato fin lì. E una leggerezza alle spalle scusse, come se ne stessero per spuntare le ali. Ma al « zaino in spalla! » i venti e più chili ripesarono tutti in una volta; e la salita, al raggio di già dorato del sole che s'avvertiva sollecitator di cicale, troncò l'illusione. L'ultimo chilometro prima di Diacceto. C'era già chi non aveva resistito; io, mi ricordo, provavo la sensazione che da un momento all'altro mi scoppiasse il cuore. Richiamai, in aiuto, le immagini del Casentino. Non garantisco però che fosse proprio l'ebbrezza della visione poetica a farmi quasi perder la coscienza nella salita dell'ultima erta che portava a dove ci dovevamo accampa re. Poche e abborracciate erano state, prima di partire, le istruzioni del rizzare le tende, e i soldati pareva che non avessero capito nulla. Si sarebbe detto che non sarebbero stati buoni di spiegare un telo o di piantare un picchetto. S'era invece arrivati e dopo neanche dicci minuti sulla spianata irta soltanto di stoppie erano sorte d'incanto centinaia di tende allineate, perfette; non solo: ma ognuna col suo bravo solco intorno per lo scolo dell'acqua. E coloro stessi che poco prima parevan spiranti avevan fiutato la vicinanza d'un bosco e eran corsi e tornati, a somiglianza di nidificatoti, con rami e con frasche. II bisogno, italiano, della bellezza. Più difficile era stato formar te corvè obbligatorie per la paglia e la provvista dell'acqua; ma si finisce sempre oer trovare i docili e i sorridenti infaticabili. Un'ora non era trascorsa e l'accampamento era come se stabile da tanto tempo, con le cucine e le « meric ». Festa, la sera, a Diacceto. E così poi in ogni paese, in ogni borgata presso cui facevamo lungo o breve soggiorno. Questo gran fiotto di vita giovane, esuberante, maschia, e la risorsa per il commercio locale; il ringalluzzimcnto delle ragazze in gale e in fiocchi, la sera, al passeggio, in file di otto o dicci a braccetto; l'animazione, le bandierine e i festoni dall'una all'altra parte della strada, i canti nelle osterie, la banda del reggimento col suo concerto in piazza. Così a Stia, a Pratovecchio e noi a Dicnmano, a Vicchio: paesi rimasti nel ricordo con l'impressione festosa d'allora. Estasi alla levata del sole goduta dal valico della Consuma: il brivido, pur sotto il cappotto e il farsetto a maglia, del giorno nuovo che nasce. Dolce commozione alla veduta, vera, del Casentino e dei suoi castelli La Faltcrona, La Verna. Uno struggimento, un'eccitazione di febbre; non sentir più nè zaino nò i piedi dolenti. Ci accantonammo a Stia. Tiri collcttivi, su per i fianchi della Faltcrona: Bocca pecorina, monte Castellari, monte Castelonchio... Bersagli mobili: azzurre sagome fantastiche. Crepitare, per ore, di fucileria. Meraviglia dei cardi metallici visti per la prima volta, tagliati con la baionetta e portati in mazzo a lato dello zaino. Da Stia a Pratovecchio. Il campo mobile: l'inizio delle manovre. I richiamati: l'impressione che fossero dei vecchi: ed erano appena maggiori di cinque o sei anni. Rapido idillio d'amore in una villa lì presso: caro intravedere lontano, a mezzo di una manovra, d'una figura bianca, d'un ombrellino bianco: romanticismo dell 800, /gentil compagno consolatore della giovinezza nostra. Da Pontevecchio a Dicomano, attraverso i monti: dal dolce Casentino all'aspro Mugello: tutt'una marcia forzata. A Londa et fu, mi ricordo, a un sci chilometri dall'arrivo, la distribuzione del vino. Chi era preposto all'incetta, s'era lasciato mettere in mezzo: il vino aveva, come si dice in Toscana, « il fòco ». E anche perchè il vino a stomaco languido porta via tutte le forze, quei sei chilometri di strada maestra su cui picchiava un sole che arroventiva le pietre e intontiva, sotto i chepìfornace, i cervelli, segnarono uno 11 spicinìo ». I soldati cascavano come fulminati. Mi ricordo che il luogo destinato al campo era dietro a un'albereta lungo la Sie ve. La vista del refrigerio salvò quelli ch'eran rimasti ritti. Ma che cosa non fu lo sforzo, arrivati posto, del « prescntat'arm! » prima di far zaino a terra, a passaggio della bandiera davanti al reggimento in linea. E io ero della dodicesima. Vedevo i sol dati che barcollavano; e via via che la bandiera passava, era come quando va giù tutta una filata di carte. Eppure, anche codesta volta, mezz'ora dopo, l'attendamento, per incanto, era sorto Perfetto. Soltanto qualche soldato, sul greto della Sieve, all'ora bra, seduto, immersi i piedi gonfi nell'acqua corrente via gelida lasciava quasi svenirsi in codesta voluttà mortale: e un filolino di sangue spicciava a rigare la ruscellantc limpidità. Manovre: bianchi contro az zurri: quelli avevano la foderi na bianca ai chepì, ai còlbak; bersaglieri ai cappelli. Epoca pri mitiva: cannoni da 9 e da 7; se gnalazioni con gli specchietti, quasi giochi infantili. Le amba lanze erano ancora quelle che si vedono nei quadri delle battaglie del Risorgimento. Le trup pe agivano — è naturale — senza rendersi con-^ .ài nulla; noi intellettuali, sl transazio¬ ne di movii •hettflaati, tal¬ volta addirittura^ JSSgici. E forse troppo spesso facevamo torto agli alti comandi, nell'impossibi¬ lità in cui eravamo di renderci conto non solo delle lince general) della manovra ma anche dei particolari sviluppi e delle singole azioni Uno spettacolo però c'era, sempre impressionante: L'assalto finale alla baionetta. Anche gli sfiniti, gli zoppi, i fiacconi scattavano galvanizzati: « Savoia! ». E una folata eroica pareva sospingere, tra lampeggiamenti, le masse. E se i reparti in urto erano fanteria contro bersaglieri, doveva esser sonato l'« alt » a tempo che non succedessero guai. Ritorno trionfale: facevamo parte — e chi se n'era accorto? — del partito vincente: la via di Firenze era libera. Sbucati dalla chiusa di Polcanto, fra la Calvana e .Monte Senario, come un giorno le milizie del Valentino, di cima all'Olmo, ecco a città conquistata. Bella! E pei la via Faentina le donne con le brocche e i secchi dell'acqua a tutte le porte, e le ragazze che bersagliate da dichiarazioni d'amore fuggivano per riapparire, ridendo, coi visi di bragia. E i soldati, polverosi, cantavano. Bruno Cicognanì 11111111111111111111111m immillili miim

Persone citate: Bocca, Bruno Cicognanì, Castellari, Costa Scarpuccia, Maestro Adamo, Perfetto, Sieve, Verna