Stendhal maestro d'inglese

Stendhal maestro d'inglese Stendhal maestro d'inglese Stendhal, o piuttosto Henri Beyle, incominciò a studiar l'inglese a diciannove anni, di sua spontanea volontà, portatovi dall'ammirazione entusiastica che sentiva per Shakespeare, e continuò a studiarlo per circa tre anni Glielo insegnava, a Parigi, un francescano irlandese il cui nome oscilla nella penna dell'allievo: ora è Jcky, ora Jcki, ora Ieki. Il giovane Beyle pare gli si fosse affezionato davvero, ma il suo modesto bilancio non gli permetteva di pagarlo troppo regolarmente. Più di trent'anni dopo ritroviamo il nome del maestro, appena un po' modificato, in un racconto che Stendhal non condusse a termine e che si svolge con un'andatura leggera e musicale. Le Rose et le Vcrt. Quanto è passato del francescano irlandese nel breve, sincero, perspicace professor Hicky che appare fuggevolmente nel quinto capitolo del racconto? Chi conosce il processo creativo di Stendhal narratore sa che in molti dei suoi personaggi si riflette la simpatia o l'antipatia per le persone reali da cui li ritrasse in tutto o in parte. Se nel caso particolare il personaggio risponde, come sembra, al modello, anche noi possiamo volere un po' di bene al « bon pere Jeky », come lo chiamava quasi sempre Henri Beyle. L'esperienza insegna che bravi maestri possono avere cattivi allievi, e viceversa. Fu Jcky un bravo maestro? Non ne sappiamo nulla. Fu Stendhal un bravo scolaro? Sappiamo che leggeva l'inglese correntemente: la sua biblioteca era abbastanza ricca di libri inglesi, parecchi dei quali con sue note marginali a penna o a matita che dimostrano un'attenta lettura. Non sappiamo nulla, invece, di come lo parlasse: ma, quanto a scriverlo, quel che ci è pervenuto dei suoi appunti e delle sue lettere ha autorizzato un giudice competente, miss Doris Gunncl, a sentenziare ch'egli non potè mai scrivere una frase inglese senza fare sbagli da scolaretto. Il fatto è che l'allievo diventò a sua volta maestro, almeno occasionalmente. Nel primo capitolo della Vie de Henri Bntlard leggiamo: «Verso il 1819, io ho insegnato in ventisei giorni l'inglese al signor Antonio Clcrichetti, di .Milano, vittima d'un padre avaro ». E Stendhal aggiunge che il trentesimo giorno il bravo Clcrichetti potè vendere a un libraio la traduzione che aveva fatto degli interrogatòri della principessa di Galles, Carolina di Brunswick, durante il famoso processo per adulterio imprudentemente intentatole dal marito Giorgio IV. Come ha fatto osservare il più informato degli stendhaliani viventi, Henri .Martincau, per un lapsus memorine Stendhal ha anticipato d'un anno il suo veloce corso di lezioni al Clcrichctti e la traduzione fatta da questo degl'interrogatòri di Carolina: i processo infatti, incominciato nell'agosto del 1820, fu interrotto ne! successivo novembre, e non mai proseguito, per l'opinione sempre più favorevole all'accusata che si andava affermando tra i giudici della Camera Alta. Stendhal, che s'interessò sempre ai grandi e ai piccoli scandali, quella volta era proprio nel suo elemento. Ma l'allievo non era da meno del maestro, come risulta da un curioso documento di tre anni più tardi. E' una lettera di Prosper Duvergier de Hauranne, il futuro deputato e accademico, allora agi inizi della sua carriera politica e letteraria. Dovendo recarsi in Italia, s'era rivolto a Stendhal per qualche lettera d'introduzione presso la società milanese, e Stendhal l'aveva indirizzato, tra gli altri, al Clcrichctti. Conosceva i suoi polli, evidentemente: sapeva che Duvergicr annoverava sì tra i propri antenati il famoso abate di Saint-Cyran, ma che non ne aveva ereditato l'austerità giansenista: poteva dunque intrattenersi piacevolmente con l'allegro e ciarliero Clerichetti. Fu invece una delusione. « Ho visto tutti i vostri amici, tranne il signor Buzzi che in questo momento è a Varese, — scriveva Duvergier a Stendhal, da .Milano, il 5 ottobre 1823 — e tutti mi han ricevuto nel modo più amabile, rutti mi han colmato di premure e di cortesie. Il signor Clerichetti specialmente, a cui ogni giorno impongo per una o due ore il peso della mia scioperataggine, è stato per me d'una inesauribile compiacenza, e ho trovato in lui, come mi avevate annunziato, una persona molto istruita, ma un po' troppo discreta per quel che riguarda la cronaca scandalosa che, secondo voi, conosce cosi bene ». Questa lettera a Stendhal, fatta conoscere nel 1908 da Jacques Boulcnger, nel 1914 fu opportunamente ripubblicata e commentata da Alessandro Casati per le interessanti notizie che contiene su persone della società milanese. Propose il Casati d'identificare l'amico di Stendhal con un Francesco Clerichetti che durante il regime napoleonico appartenne al Ministero del Tesoro. Ma il nostro Clerichetti, come risulta dal passo citato del Brulard, non si chiamava Francesco, bensì Antonio Come dunque ripescarlo nel gran fiume del tempo, se non c'è riuscito nemmeno un milanese esperto di ricerche erudite quale Alessandro Casati? Il caso ha voluto che m'imbattessi nel suo nome sfogliando lo Zibaldone del Belli, conservato manoscritto nella Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele. Annota il Belli con la sua abituale precisione: « Estratti eseguiti da me GGB a Veroli dal 5 al 15 giugno 1831 sull'opera prestatami dal sig Francesco Mellon), intitolata Ivanhoe di Gualtiero Scott, traduzione sul testo inglese di Antonio Clerichetti, voi. 4 in-i6", Milano, Niccolò Bcttoni, 1829». Messo cosi sull'avviso, ho ritrovato il nome del Clcrichctti nel lungo elenco di traduttori dato da Luigi Fassò nel suo Saggio di ricerche intorno alla fontina di Walter Scott in Italia (Accademia reale delle Scienze di Torino, anno 1905-1906). Quella traduzione deìì'lvanhoe ebbe fortuna', se il Mazzoni ne cita nell'Ottocento un'edizione del 1832: « Altri, Antonio Clcrichctti, nel 1832, si vantava, sul frontespizio AcWIvanhoe, averlo tradotto dal testo; e forse il vanto suo era censura non immeritata ai predecessori ». Non pochi infatti traducevano Walter Scott... dal francese. Ma nella nuova e definitiva edizione AeWOttocento il Mazzoni soppresse la seconda parte del periodo citato; e cosi il nostro povero Antonio risica di esser preo per un millantatore. Grazie a Stendhal, noi possiamo rimovcrc dal suo nome quella sia pur vaga ombra di sospetto. Resterebbe da vedere quel che il Clerichetti valga come traduttore. A me, come la competenza, cosi manca la voglia di far codesta perizia. Mi diverto invece a pensare che quando, più tardi, si incontrarono Stendhal e il Belli, questi non immaginò certamente di trovarsi di fronte al maestro d'inglese del traduttore A'Ivanhoc. Pietro Paolo Trompeo « 11111111T1111 f 11111111111111 ■ 11TI ■ 1111111111 i 111 r 1T111 [ 111

Luoghi citati: Galles, Italia, Milano, Parigi, Torino, Varese, Veroli