Sullo schermo

Sullo schermo Sullo schermo La notte è il mio regno, di G. Lacombe (Astor) — Sotto il cielo di Parigi, di J. Duvivier (Doria). Misteri del noleggio e della distribuzione dei film. La notte è il mio regno ebbe alla Mostra veneziana dell'anno scorso un ottimo successo; al suo protagonista, Jean Gabin, toccò 11 premio per il miglior attore. Un film che nettamente si stacca dalla solita media; e viene presentato ora, a « stagione » finita, quando di solito si sfornano i film di scarto che per contratto devono essere sfornati, nei giorni in cui il desiderio più sentito è quello d'un temporale che non viene. Ma torniamo al film, del quale ampiamente si disse dopo la « prima » veneziana E' il dramma, e il romanzo, d'un cieco. Finsard, un macchinista delle ferrovie, si trova d'un tratto in una situazione terribile. Mentre sta guidando la locomotiva del « suo » treno, colmo di viaggiatori, una incrinatura alla caldaia accleca, con un violento getto di vapore, il fuochista. Pinsard fa per soccorrerlo, è anche lui investito dal vapore, ma resiste, s'impone di fermare il convoglio per evitare un disastro, vi riesce, infine s'accascia come accecato, e non sa di essere cieco per sempre. Il suo dovere l'avrà compiuto a quel prezzo; e 11 film narra come Pinsard, di smarrimento In disperazione, riuscirà a poco a poco a ritrovare una sua vita, grazie a un centro di rieducazione per ciechi, e a una dolce maestrina, cieca anch'essa, che al Centro Insegna a del poveri bimbi, che ne hanno bisogno, l'uso dell'alfabeto Braille. Questo ambiente del Centro è ben visto; e, nello stesso tempo, un po' pesa sul film con toni e scorci da quasi-documentario. Ma questo, e altri pochi, sono nei. Il film è tutto sommesso, commosso; di una misura quasi sempre servita da un gi'stc vigile e pacato. Non per nilln soggetto e sceneggiatura sonoi di Marcel Rivet, e il dialogo, ' piano, essenziale, è di Charles Spaak. La schiva emozione della quale il film è tutto pervaso ha eccellenti interpreti in Jean Gabin e in Simone Valére. Sotto il cielo di Parigi è di Duvivier, di questo regista disuguale, abile e tenace, che ha rasentato l'arte con Poil de carotte, ha avuto due grandissimi successi con Pepe' le Moko e Carnet di ballo, per poi sfornare altri film quasi qualunque. Sotto il cielo di Parigi è un compromesso fra alcune aspirazioni superstiti nel Duvivier, e l'abilità del suo esperto mestiere. Cinque o sei vicende parallele s'intersecano e si dipanano, in ambienti fin troppo tipicamente parigini. Ma lo sono dal di fuori, non sono mai intimamente sentiti. Senza un pretenziosetto commento del Jeanson, sarebbero episodi piuttosto qualsiasi, con alcune pagine interessanti e con parecchie altre qualunque. Quel commento le vuole fondere, vuol dar loro un pedale, una vibrazione; riesce a dar loro una cornicetta, tutt'al più un appiccicato minimo comun denominatore. L'abilissimo Duvivier hi sentito della « poesìa » nelle parole del Jeanson, un'atmosfera tipicamente parigina; e ha creduto che s'irradiasse sulla sua regìa. Che è abilissima, effettistica, ed esteriore. oi ' s n . a e e o i l o o l o o o , o l o . , TORTURA, di O. Wilbur (Vittoria). — Ancora un film d'ambiente carcerario, questo in origine « Inside the walls of Folson prison », il quale offre un quadro dei sistemi carcerari e delle condizioni di vita dei detenuti nel penitenziario caliior"inno Fo!aon State Prison come ■Miir.o p'ima della riforma effettuala nel 1944. Sistemi fondati su una severità spietata e sul concetto che il detenuto sia un animale feroce da trattare sempre colle brutte. Ligio ad essi, con una punta personale di sadismo, è 11 direttore Elckey, che per essere stato preso come ostaggio durante una rivolta, se prima era cattivo, ora diventa pessimo o instaura un regime di terrore, servendosi di delatori che poi abbandona alle vendette dei compagni, per avere sempre nuovi motivi di incrudelire. E' tanto odioso che non si vede l'ora che i reclusi gli facciano la pelle. Rappresentante invece d'una ragionevole clemenza e del principio che il delinquente è un malato che conviene tentare di guarire, è un capitano delle guardie che il film introduce, fresco di nomina e ansioso di riforme, apposta per fare vieppiù imbestialire il feroce direttore. Nell'inevitabile conflitto, il riformatole ha la «peggio e viene messo da parte; ma scoppiata la rivolta, volendola domare coi suoi sistemi, il direttore ci lascia la vita, e allora 11 capitano fa valere i suol, i rivoltosi si arrendono, e poco per volta le cose cambiano, il penitenziario diventa un luogo da poterci espiare in pace i propri delitti, con vitto discreto, trattamento umano, lavoro rimunerato, e persino un'orchestrina. Il film non dice nulla che non sia già stato detto da altri del genere; episodi e figure sono di repertorio: ma è abbastanza teso e monda qualche volta il cuore in gola. Steve Cochran. David Brian e Ted De Cora. j.. vice

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