Un porto di mare in prosa e poesia di Giulio Caprin

Un porto di mare in prosa e poesia SONO RITORNA TI 1 "QUATTRO 31 ORI,, Un porto di mare in prosa e poesia Livorno vecchia e nuova - La pineta del Tombolo, dai tronchi bassotti e storti - Industrie, commerci, cultura - Figurine nel gusto dei "macchiatoli,, - La Rotonda di Pancaldi e i romanzi dell'Ottocento - Centenario di Giovanni Marradi - / suoi livornesi gli vogliono ancora bene mimmimmmiiiiiMmimiiimimimimiiim(Dal nostro inviato speciale) Livorno, giugno. Chi, fuori di Livorno, si raìntnenta più del Tombolot Forse una cinematografia troppo ncovcrista, una tetra orgia bianco-negra, girata in una brutta boscaglia. E poi, se anche fosse stata, esagerandosi, vera, i Livornesi — che alla pulizia della loro città, giustamente, tengono — vi diranno che il già malfamato Tombolo non è nemmeno nella loro provincia. Infatti comincia passato il canale del Calambronc, dove è provincia di Pisa. La zona fra il Calambrone e la foce dell'Arno, dov'è la pineta del Tombolo, e anche quella di Tirrenia, i locali la chiamano, contaminando i due nomi: Pisorno. E poi, tra la città portuale e quella pineta c'è, a settentrione del porto, tutta la zona industriale, estesissima, perchè, unica fra le città di mare italiane, Livorno ha il comedo di avere dietro, non stretture di monti, ma vastità di pianura: la valle, pianissima, dove sfociano l'Arno e il Serchio. Morta la marinara Repubblica di Pisa e interrato il suo porto, Cosimo I de Medici scavò e fortificò il nuovo porto, da servire a tutto il Granducato di Toscana, nel punto dove la pianura, mobile, si ferma nelle prime scogliere: qui a Livorno. Fatto il porto, artificiale ma sicuro, l'altro Granduca, Ferdinando I, promulgò la « Livornina », legge liberale e liberista dando porto franco a quanti venissero, di qualunque gente c religione, a tentarvi la fortuna mercantile. Porto franco, prima di Trieste, Livorno prosperò, come Trieste, nel Sette-Ottocento. Tutti un po' *arrisicatori » quei Livornesi. Toscani alquanto diversi dagli altri Toscani, d'indole forse meno sottile, ma più calda e risentita: proprio facinorosa, no. In politica, città a modo suo, romantica Un romantico fu quel popolano Bartelloni che, quando nel 18J/9, vide arrivare gli Austriaci, si disse: Io noti ce la faccio più. E andò, solo, a un corpo di guardia a cercarli, li ingiuriò, lì sputacchiò, e si fece fucilare. Probabilmente anche l'attua¬ le -prevalenza rossa, che comunisteggia a Livorno, è da spiegarsi su quel fondamento di psicologia popolare. Socialcomunistcggiano anche dei borghesi, ma più che per calcolo perchè il Livornese, in polittca, ha sempre la tentazione di ciò che è, o pare, più a sinistra. E tuttavia non faziosi: un Livornese che, all'avvento del fascismo, era designato a esser soppresso — ma per i tetti, scampò la vita- — mi dice che gli stessi fascisti, i sicari avevano dovuto farti venire di fuori. Bagni di scoglio Veramente, la pineta del Tombolo non è delle più belle che orlano queste spiagge fin sotto le Apuane: San Rossore, Viareggio, il Forte e via dicendo. E' di tronchi vetusti, ma bassotti e storti, chiome scarmigliate, sottobosco sterposo. Lo stradale che la taglia ha sulla sinistra qualche bagno: ma l'arenile non è uguale: ogni tanto a rialzi e sbalzi, proprio da tombolo, cioè duna di sabbia alzata dal contrasto del mare: stilla destra, pare, i cottages degli Americani e i capannoni, che non si vedono. Ma i bagni, a Livorno, non si fanno di spiaggia, ma di scoglio, da tutt'altra parte, dove la città si allunga alberata, sotto il poggio di Montenero, fino all'Ardenza: da tutte le parli Livorno ha la comodità di stendersi in largo e m lungo, aprendosi viali e giardini. Finisce che al nucleo vecchio della città, stretto fra il porto, le rosse, perchè son di mattoni, fortezze medicee e i canali, che una volta si dicevano di Venezia, non ci si bada più tanto. Fu, coti qualche po' di pittoresco un po' sordido, una città ottocentesca di stile portuale e granducale, non senza carattere. Senza piacere i Livornesi vecchi vedono risorgere la loro cara, diroccata, Via Grande, sempre strettirla, fra cubi bianchi, scatoloni di abitazioni funzionali. In fondo a Via Grande-sono ritornati a posto i < Quattro Mori », gran bella scultura in bronzo del Tacca, davanti l'entrata al porto: chiuso, come sempre del resto, per ragioni dogaiiimimimiimmiiiimiiiiiiiiimmiimmiiiimi nati, a chi non ci va per lavorare. Spunta alto un < tre albcri>, che da solo suggerisce la immagine del porto settecentesco: è l'< Amerigo Vcspucci », la nave dove imparano la vela — fondamento classico di ogni buon navigante — gli allievi dell'Accademia Navale. Noti ci deve essere gran movimento, ma ce n'è, se non di passeggeri, di mercanzia grossa. Se la < Rose Mary » fosse riuscita a passare il canale sempre inglese di Suez, il suo primo carico di petrolio grezzo persiano per la Svizzera lo avrebbe scaricato probabilmente a Livorno. Per fare qualche rosa come un Antitombolo, cioè per ricordare a sè e agli altri che Livorno non solo è una città rispettabile, ma rhn ha, fra le città toscani', una sua tradizione di alta e gentile cultura, i Livornesi ri chiedono un momento di dimenticare, oltre che il Tombolo, il porto, le industrie e gli uffici di navigazione e commercio. Può chiedervelo uno che ha il suo ufficio di affari. Ma questo livornese, senza trascinare le sue faccende, è anche un narratore di buon nome (cercatelo nella Balena — che viceversa è una diligenza —- di Giona, romanzo di fantasia, ma di limpidezza toscana, di Riccardo Marchi). SI, sappiamo quanti poeti e pittori sono immedesimati, per tutto l'Ottocento e oltre, nella vita, che non vuol essere tutta in prosa, di Livorno. Questa bella tradizione la vogliono rinverdita e riprescntata in eleganza. La biblioteca Labronica, per esempio, la hanno trasportata in una villa quasi Primo Impero, in mezzo a un giardino pubblico ma composto come un parco signorile. Dentro vi si studia come studierèbbe un erudito, oltre che vero, signore, in salotti chiari, tra mobili di mogano che rammentano la signorilità inglese del Chippendale. In uno di codesti mobili è il tesoro della Labronica, quasi tutte le carte di Ugo Foscolo (e restaurato dopo che, nel loro nascondiglio di guerra, patirono di un'inondazione). Ricordate i bozzetti di tanti macchiaioli che dipinsero vita di mare, tra la rotonda di Pancaldi e le cale di Castiglioncellot Eccolo ancora, ringiovanito, Pancaldi, scenario d'obbligo ai ritrovi mondani e sentimentali di certi romanzi del secondo Ottocento. Denudati, naturalmente, oggi i personaggi di scena, che allora avrebbero passeggiato sulla Rotonda, i signori coi colletto duro, e le signore, strette di vita e larghe di sottana, coi cappelli piumati e, fino all'ultimo, la veletta. Ma forse anche a un macchiatolo ottocentesco le figurine di Pancaldi e dell'Ardenza sarebbero piaciute anche così, tocchi di bianco e di rosa sul mare turchino come allora. « Terra dell'avvenire » Queste e molte altre cose graziose riappaiono con l'occasione che Livorno celebra il centenario della nascita del suo poeta, tutto livornese, vita e verso, Giovanni Marradi. Tutti i poeti di scuota carducciana sono rimasti fatalmente schiacciati dal maestro schiacciante. Per salvarsi ci voleva l'originalità tutta nuova e diversa dello scolaro eretico che fu il Pascoli Eppure a Livorno, il leonino maestro anziano e il sommesso — in apparenza — professorino si trovavano insieme, tra il 1890 e il 1897, a ispirarsi < nel rubino frizzante del bicchiere toscano ». Cosi dice un'iscrizione, fra i due ritratti, nella retrobottega di una fiaschetteria, che, ai tempi loro, era di Piladc. Ma anche il Marradi nel carduccismo aveva da mettere qualche cosa di suo: quella certa onda canora, che piaceva anche a Ferdinando Martini. E anche ti professor Giovanni Marradi — molti ancora lo rammentano quando morì trent'anni fa, Provveditore agli Studi sempre a Livorno, immelanconito — in soglio, cantando sempre in 1 pura me/odia italiana, anda- va lontano. (Ma quando quando potrò vederla io quest'America - meravigliosa dove tutto è immenso... - Terra dell'avvenire, io ti saluto.'). L'avvenire è avvenuto. E dal famedio livornese, dove riposa, tra il Guerrazzi e la lapide di Mascagni, sarebbe ■contento di poter dire ancora: < E rivedrò la mia città nativa, la mia bella città rumoreggiante ». che è un epiteto felice. Dolcezza di memorie Gli vogliono ancora bene i suoi Livornesi. Alla commemorazione pubblica, dopo i fiori sulla tomba, i discorsi evocativi e la lettura dei versi, c'è stata folla e commozione di popolo. Nel nome del Marradi, ci fanno sapere che anche itomi?ii di lavoro e di affari, intendono le belle cose e credono nella poesia. Tanto che, sempre nel nome del Marradi, hanno istituito, per quest'anno, un premio di poesia, da assegnarsi, quando anche a Livorno la stagione dei bagni sarà in pienezza. In una città di mare, che chi non la conosce può supporre tutta in prosa, c'è anche disinteressato amore di poesia. Perchè, agli effetti del richiamo balneare, io, prosaicamente, mi ostino a credere che più dei certami letterari servirebbero ancora i concorsi di belle ragazze, da incoronarsi reginette, o prosidentine della spiaggia: dopo di rhe anche le non premiate trovino da ballare. Ma sulla Rotonda di Pancaldi, che da più di cento anni è rotonda, c'è passata tanta vita, in festa e in dolcezza, che un po' di poesia ci deve essere, con la memoria, rimasta. Giulio Caprin iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii