Bidone e non Bidone seicento e novecento

Bidone e non Bidone seicento e novecento MAGGIO MUSICALE FIOBESITIMO Bidone e non Bidone seicento e novecento (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 23 giugno. Non vorrei che un lettore de La Stampa, o presente alla rappresentazione della Didone del Cavalli, o ascoltatore delle registrazioni della Radio, mi stimasse contafrottole. Se gli accenni alla favola e ad alcuni personaggi, qui pubblicati venerdì, non hanno avuto con ferma dall'udizione e dallo spettacolo, la colpa non è mia. Parlavo, e dovevo parlare, della Didone autentica. Nel trarre dall'obblio melodrammi antichi è avvenuta ancora una volta una deviazione del proposito culturale, che inizialmente muove siffatte rievocazioni. Nel corso dell'attuazione solitamente sorgono dubbi: piacerà al pubblico l'opera, quale realmente fu, nella so¬ IMIIMIll1MllfllllllIllll!llll Mll!llM11IMlllUll stanza artistica e nell'apparenza scenica? Non gioverebbe forse purgarla delle parti meno belle e atteggiarla con « novecentesca sensibilità >? Queste preoccupazioni s'accrescono nelle menti dei più impegnati, del musicista elaboratore e del regista, diventano incubi, e suggeriscono varianti via via numerose e radicali. E' appunto il caso della Didone. Scelta fra le opere del Cavalli, perchè più organica e ricca di appropriati pezzi, parve peraltro non immune da lentezze, superfluità, debolezze. Il maestro Riccardo Nielsen, incaricato di apprestare pel Maggio l'opera, volle renderne rapida la dinamica e accrescerne l'interesse musicale, insomma ricostituirla. E avendo davanti il manoscritto serbato lIf!MlllfllllIIIIII!l!Tlllll1IMIIll!IIMMIIIIIMir[III nella Marciana, cominciò col sopprimere personaggi, Sinon greco, Ilioneo, Giove, Nettuno, Fortuna, Giunone, Eolo, Le Ninfe marine, le due Damigelle e le tre Dame; continuò con l'espungere dialoghi e monologhi degli interlocutori superstiti, e tra l'altro l'episodio della pazzia di Jarba (quello, curiosissimo, che testualmente riferii), e con più audacia sostituì al lieto fine, cioè le nozze di Didone con Jarba, la morte della Regina. Compiute le amputazioni e trasformazioni, e mirando alla varietà del componimento e alle necessità tecniche dei mutamenti sceni ci, lavorò, inversamente, d'innesti e di farciture. Da altre opere dello stesso Cavalli, l'Ercole amante, YEgisto, l'Arte mista, stralciò molti frammenti orchestrali e anche corali, quelli, su parole anodine, la cui musicale genericità s'adat ta a diverse situazioni, e meglio coincide con qualcuna; e proprio dall'Artemisia tolse l'aria che in bocca a Didone conclude, in questa «versione del Maggio », l'opera. Tali espedienti di « far parere bello il brutto » sono, come altre volte dimostrai, anti culturali, (il pubblico, non avvertito, acquisisce idee false) ed inutili, (il pubblico snob si annoia, e in ogni caso applaude). Ma una più severa osservazione merita lo stroncamento del finale. Il < lieto fine » oltre ad essere tipico nelle opere del Sei e Settecento, conferisce all'intiero dramma un accento diverso dalla « catastrofe ». Del maestro Nielsen bisogna d'altra parte lodare la correttezza nella strumentazione e nell'armonizzazione. Attento ai pochi dati della primitiva partitura, e riferendosi alle maniere del primo Seicento, ha combinato sonorità, che opportunamente accompagnano le modulazioni del canto vocale Un appunto può essere fatto alla insistente, e perciò dannosa, sostituzione dell'orchestra al clavicembalo. L'altro responsabile è, lo di cemmo, il regista. Il quale per lo più si preoccupa soltanto di inventare di aggiornare, in somma di cancellare il fatto storico. All'abolizione della sce nografia secentesca, il signor Gustaf Griindgens era pertanto indotto dalle condizioni del luogo. Non una piccola sala, quella del San Cassiano, quattro anni dopo l'istituzione dei teatri popolari, ma il cortile di Palazzo Pitti, con il palcoscenico addossato a Boboli e frontalmente lungo niente meno trentasei metri. Il tentativo di superare tale difficoltà è risultato infelicissimo; sia per l'udizione, stando il coro, invisibile, (pensate al Seicento, tutto spettacoloso!), in alto, sul giardino, e.vociante negli amplificatori; sia per la vista, poiché il « maraviglioso », (incendio di Troia, apparizione celeste di Mercurio, partenza della flotta, uccisione di Creusa, eccetera), è stato sacrificato al giuoco dei proiettori, a ovvi balletti, a sparsi elementi decorativi, (portati in iscena e tolti da squadre di operai in uniforme), per esempio una colonna mozza, un capitello, il rudere d'una porta, una barca, la testa d'un gigantesco cignale, et similia. Chi sa poi perchè qualche personaggio muoveva serpentinamente le braccia. Le incongruenze, notammo, non furono alla moda solamente nel teatro del Seicento. In tale sfavorevole stato delle cose il maestro Giulini ha salvato l'esecuzione sonora, insegnando ai cantanti, tutti probabilmente inesperti del primo Seicento, i rudimenti del recitar cantando, sicché la dizione non troppo melodizzava e talvolta riusciva all'enfasi storicamente barocca; e concertando impeccabilmente voci e strumenti. Ma il suo zelo nulla poteva contro la dispersione dei suoni, la lontananza del coro e la pienezza strumentale, che* impedisce la snellezza del recitare. Per aver accomunato le loro sollecitudini a quella del maestro Giulini meritano largo riconoscimento le signore Petrella, protagonista, Broggini, Radev e Gardino, i signori Ziliani, Tajo e Orlandini. Malgrado tutto, il proposito del Maggio è da accogliere con gratitudine. Mai finora s'erano ascoltate pagine teatrali di Cavalli nella loro quasi realtà, e tali da dare un'impressione, se non della vera drammaturgia di lui, della franchezza e immediatezza di espressioni robuste, veementi, umane e liriche insieme, senza fronzoli o ricercatezze, e perfino rozze, e in ciò dissimili da quelle mirabilmente schiette e nobili di Monteverdi, del quale spesso risuonano echi, e non soltanto formali. Un'altra volta sarà bene lasciare l'aperto pel chiuso, e onorare la verità. Non preoccuparsi del pubblico, che, sia la rappresentazione dell'antico più o meno fedele, accorre, e, com'è successo anche sabato sera, applaude, salvo poi a sbadigliare, lisciandosi simbolicamente la barba. All'andazzo delle contaminazioni bisogna pur opporre qualche ostacolo, affinchè il gusto non s'inabissi. Non dimenticherò mai il parere d'una ingemmatissima oca all'uscita dal Tristano e Isotta, ridotto a balletto dal De Cuevas, sconciato nella partitura, e repugnantemente sceneggiato dal Dalì: — Meglio questo, quello di Wagner è troppo statico. A. Della Corte

Luoghi citati: Firenze, Marciana, San Cassiano