Si rappresenta al Maggio la «Didone » di Francesco Cavalli

Si rappresenta al Maggio la «Didone » di Francesco Cavalli UN'OPERA CHE HA TRECENTODIECI ANNI Si rappresenta al Maggio la «Didone » di Francesco Cavalli (Dal nostro inviato speciale) Firenze, giugno. Siamo tornati a Firenze (il plurale, non pontificio nè notarile, assomma le tante simpatie che il Maggio musicale raccoglie qui da ogni parte del mondo) per il più importante fra gli avvenimenti culturali della stagione. Non si menoma, cosi dicendo, la grandezza di Rossini, che s'è voluto specialmente onorare e, in alcuni casi, rivelare. Certo è che di lui eran già note al pubblico le opere maggiori, mentre del celebre Francesco Cavalli e della Didone, che ha trecentodieci anni, poco è conosciuto dagli stessi professionisti della storiografia, e quel poco fu studiato soprattutto da -stranieri inclini alle ricerche formalistiche e tipologiche, alle quali il melodramma italiano, e in particolar modo il veneziano, li invi IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII I IIIIIMIIIIIIIIIII tava. Ma tali ricerche, dellaimstesura ricalcante il teatro spa- rgnolo, delle ripetute formole bdella composizione monodica, tdell'obbedienza al gusto del se-j Pcolo, statisticamente utili, non|psoddisfano il maggior deside- (frio, quello del singolare giudi-jozio sul valore di questa o quel- cl'opera, dell'uno e dell'altro ar-(ctista. Il barocco, il Seicento, il|]maraviglioso, i contrasti, la ' cvanita dei cantanti, la povertà Sstrumentale e corale, i trave- Qstimenti, la fastosità delle sco- sne, eccetera, son genericità ine fra molti personaggi mentre importa specificare se un personaggio sia creatura d'arte, viva la sua fantastica esistenza, canti la sua passione, il suo dramma. Poiché artisti quali Monteverdi e Carissimi potentemente, splendidamente risposero, nei modi propri del secolo, ai massimi problemi, alle perenni esigenze della melodrammaturgia, è lecito e doveroso misurare le degradanti stature degli altri, anzi le degradanti coscienze di coloro che, seguaci della moda e avidi di successo, avvilivano il loro talento e l'acquisita maestria. Vedete se Monteverdi musicò mai un libretto come questo del Busenello, lo stesso < poeta » delVIticoronazionc di Poppea, e con le medesime intenzioni del Cavalli, che esordiva quand'egli terminava la lunga attività. Vedete, fra l'altro, come, accettata l'inclusione delia solita «parte comica» o « ridicola » e diremmo, digressiva o esornativa, altamente poetizzò le moine del Valletto e della Damigella, e fortemente tratteggiò Irò, il goffo parassita, e, in più, coerentemente organò tutto l'Orfeo e tutta l'Incoronazione. Cavalli, invece, fecondo e dotto, eccellente talvolta nella veemenza della espressione, nell'impeto scultoreo dei sentimenti, non si travagliava, scriveva a decine, arie e recitativi, e li imbroccava o non li imbroccava. Se riuscisse così a formar caratteri sto è da accertare Nessuno rimprovererà il Busenello o il Cavalli d'aver cangiato il corso della favola di Sidone e d'Enea protetti o avversati dagli Dei, introdotto il re Jarba, di cui Didone prima respinge poi accoglie l'amorosa offerta nuziale, ripetuto le usatissime scene paurose delle «ombre», (quelle di Creusa, la moglie di Enea, uccisa dai Greci, e di Sicheo, il defunto marito di Didone), spartita l'aziocirca dpdbilrbdpgcpladssGgCmrq—tdgcta tessere un dramma, que- : g (venticinque, e d'aver compia jciuto la vista degli spettatori nel teatro San Cassiano a Ve nezia con sorprendenti macchine volanti e con balli. Non si chiede dunque all'artista la osservanza di leggende o di Istorie, nè gli si limitano gli cle! menti e i mezzi utili. Ma sarà giusto deplorare l'ostinato ricorso ai < capricci bizzarri », cioè a quelle stranezze e be srpntd. stialità, alla cui divulgatissima 1 usanza qualcuno avrebbe po- 'uto, senza troppo eroismo, rea- gl!r?' . * u, ii v Era infatti consuetudine, ha- rocchisslma!, che uno dei per- sonaggi, angosciato per unajdisavventura in amore/- am mattisse In una tragedia, ope-ì ra d'aite, un tal evento dovreb-j be esser svolto costumatameli-1 te, e magari muovere a pietà.) Psichiatria da parte, quella I persona. sia normalmente af-j fettiva, sia vaneggiente, è in; ogni caso persona fantastica, che l'artista liricamente concreta. La pazzia era invece, nel-i ]e convenzioni melodramma»-1 che più gradite al pubblico del Seicento, un pretesto di spasso, Questo rude Jarba, che, rattri stato, offeso del rifiuto di Didone, piange, si convelle, impreca, accusa di perfidia le donne e, ancora avvinto, celebra ie bellezze della regina, dà improvvisamente di volta: « Mangiar le stelle in insalata - E '1 Zodiaco haver arrosto, — Cosi la complession ben si mantiene, — Nè si può dubitar di mal di rene... — Sa-i pete pur ch'io spando — Lagrime per le nari e per li orec-i chi, - E l'ombelico mio non! può lavarsi — Nell'onda del-' l'oblio... ». Sceso dal cielo, Mercurio, gli' annuncia che Didone, abban-| donata da Enea, ha deciso di sposarlo; ed egli di colpo rin-i savisce. Un altro «buffo» è Sinon! Greco, il quale alla fine di un grave dialogo di Ecuba con Cassandra motteggia cosi: «Messer Paride volle — Piantar le guglie in testa a un innocente. — Povero Menelao, mal avveduto, — Non era coronato, ma cornuto... — Da quanti s'usa — Vestir di seta — E a man profusa — Sparger moneta! — Ma vengon quei danari e quelle spoglie — Dal traficar della scaltrita moglie ». Per fortuna c'è dell'altro in quest'opera, che, se non piove, udremo e vedremo nel cortile di Palazzo Pitti. A chi obbiettasse che tale specie d'anticaglia non merita d'esser dissepolta si risponderà: che ogni cosa dev'esser conosciuta intiera e direttamente, quindi : giudicata, e un Maggio, un fe- stivai, servono proprio alla cultura, e che è assai istruttivo rilevare in tutt'i tempi l'incapacità del volgo alla distinzione e alla scelta, l'applaudito accoglimento di stramberie come novità geniali, il pigro adattamento alla mediocrità, alla moda, l'indulgenza sintetizzata nel detto: « oggi si fa così ». Non sono forse oggi applau- ; diti nei teatri di tutto il mon- j do taluni episodi scenici, non! meno assurdi e inartistici, murati» mutandis. di quelli che tanto piacquero nel Seicento?; A. Della Corte

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