Mezzo secolo di mode

Mezzo secolo di mode Mezzo secolo di mode Sebbene autorevoli studiosi della moda sostengano che sono speciosi e fallaci i tentativi di spiegarne i mutamenti mettendoli in relazione coi fenomeni della vita politica e del cosidetto « spirito dei tempi », è difficile resistere alla persuasione di simili raccostamene leggendo la storia di mezzo secolo di mode femminili inglesi scritta da C. Willctt Cunnington (English Womeri's Clotbing in the Present Centitry, editore Fabcr and Faber, 1952). E' forse una illusione quella concordanza in tutte le manifestazioni di un periodo, quell'aria di famiglia tra l'architettura e il costume, tra la poesia e la pittura, e perfino tra eli oggetti d'uso comune e i più raffinati, quella costante che una certa distanza di tempo permette di cogliere nella prospettiva? Che non sia un'illusione ve lo può dimostrare qualsiasi antiquario (nel senso specifico e in quello più lato di studioso d'antichità): da che cosa è guidato il suo fiuto, il suo criterio d'attribuzione, se non proprio da quell'aria di famiglia eh: egli sente in grado più spiccato della comune degli uomini? A coloro cne vorrebbero far risalire le mode a invenzioni dei grandi sarti di Parigi e di Londra, si possono opporre argomenti .altrettanto validi di quelli usati da Tolstoj per sostenere che Napoleone anziché un creatore di storia era null'altfo che lo strumento di un disegno il cui significato trascende i singoli. Periodi di pace e di prosperità favoriscono l'ideale femminino giunonico, periodi di crisi e di rivoluzione fanno battere l'accento sulla gioventù, sono ostili alle forme piene e mature. Nessun secolo come il nostro nella sua prima metà ha forse mai offerto dimostrazione più calzante di questa tesi. Leggere la storia della moda del Cunnington è come leggere la storia sociale e politica dal rovescio, da dietro le quinte, dove attori e attrici non recitano più la parte registrata da Clio, la solenne musa della Storia, ma si abbandonano, rilassati, alle ministrazioni di quelli che il Pope chiamava i Numi Cosmetici, divinità marginali, ma tutt'altro che trascurabili. L'epoca di Edoardo VII conobbe una vita prosperosa e felice; e come nel pieno rigoglio delle amenità settecentesche fiorì il rococò, così fiorì allora lo stile che si chiamò proprio floreale, lo stile liberty che non meno del rococò insisteva sulla linea curva, sulla lenta calligrafica ondulazione che dal copricapo a forma di grosso pistillo fino all'orlo della gonna svasata come una corolla faceva delle donne altrettanti fiori: moda artificiale, « orchidacea », vaga di sfumature di pastelli, di merletti che ricadendo dal petto velavano e suggerivano insieme l'anatomia sottostante, e spuntando di tra il frufrù delle sottane, o addirittura ruscellando su tutta la persona nella vestaglia pomeridiana (la tea-gown) costituivano una potente attrazione per l'altro sesso. Epoca di crespe, di scannellature, di volanti, di ricami c passamani, di falpalà e nastri nelle sottovesti, di bluse russe e bolero de torero, epoca in cui il cospicuo agio delle ingioiellate signore era sottolineato dagli esagerati sboffi in fondo alle maniche, che presentavano un problema allorché le belle sedevano a tavola e si servivano dai piatti. L'apice di codesto stile fu toccato nel 1906; e sarà puramente dovuto a un capriccio della moda il mutato orizzonte che ci presenta il periodo 1909-14, il periodo tubulare, che oppone la verticalità pseudo-classica (spesso si insisteva allora sulla nomenclatura «Impero» per molti vestiti) alla curvilineità gotica del principio del secolo? L'epoca della gonna caizone e dell'entrale o impaccio è anche l'epoca del suffragismo, della emancipazione della donna, e l'entrare ha una curiosa ambivalenza: da una parte raccosta la linea del vestito femminile a quella del maschile, conferendole la fisonomia d^lla lettera H, e perciò asserisce l'eguaglianza dei sessi, dall'altra è un simbolo di schiavitù, un impaccio, una pastoia, che obbligava le donne a passettini non esenti da una forzata leziosità, e dichiarava un modo di vivere improduttivo, secondo la legge del cospicuo agio. Era finita l'era del languido incanto curvilineo e del frufrù; ora l'attrazione si concentrò sulla faccia, messa in valore da un enorme cappello, che nel 1909 imitò la sagoma del biplano dei fratelli YV'right; e la truccatura della faccia acquistò particolare importanza: la donna voleva avvertire l'uomo che più che la persona contava la testa, sede dell'intelligenza. Se è facilmente comprensibile che la donna aspirante all'emancipazione volesse somigliare all'uomo anche nel vestito (sebbene la gonna calzone fosse destinata a un clamoroso fiasco), più difficile e complicato è trovare la ragione del modellarsi della sagoma femminile su quella del maschio immaturo, del ragazzo, negli anni subito dopo la prima guerra e cioè dal 1919 al 1924. Dinanzi a questo fenomeno gli studiosi che negano ogni connessione tra la moda e lo « spirito dei tempi », si sentiranno imbarazzati Non è più una mera questione di linee e di tipi di stoffa, ma si tratta d'un fenomeno forse unico nella storia, poiché certo l'appiattimento efebico del corpo non sarebbe diventato legge della mo da femminile senza una profon da rispondenza nella psiche degli uomini d'allora. Sia pure che gli uomini, che tornavano da una guerra che tanti ne aveva decimati, aspirassero a un tipo virginale di donna, ma perchè proprio doveva essere ambiguo questo tipo dal viso a cui la maschera del belletto toglieva l'espressione dei sentimenti, dal corpo insaccato in una corca veste simile a un barilotto, che ssrsvstgyruts«sdfdasatmgsssegs aboliva le curve del seno e della vita, anzi, negava addirittura la vita con una linea diagonale più bassa? Perchè doveva essere considerata posa graziosa in una donna tenersi col bacino in avanti e le ginocchia afflosciate, come un fattorino? Ora un fenomeno psicologico s'intende meglio rivolgendosi alla letteratura d'un'epoca che alle fogge del vestire, inarticolate c quindi spesso enigmatiche. E nella letteratura inglese dell'epoca c'è un autore, uno di quegli autori di secondo piano che sono impregnati del sapore del loro tempo, Ronald Firbank, nei cui romanzi, ora ripubblicati dall'editore Duckworth come ghiotte curiosità (live Noveh, 1949, e Three Noveh, 1950), si respira la stessa aria truccata, che sembra dominare nelle mode femminili di quegli anni. 1 suoi personaggi, di cui non si riesce a ricordare l'appena abbozzata fisonomia, parlano come bambini viziati, saltano di palo in frasca, scoppiettano di riso a giochi di parole e a effetti di curioso contrasto che nei casi migliori fan pensare al nonseme, di Edward Lear. Ecco una donna che cinguetta questo insensato bamhoeggiamento, intraducibile: Did yoti ever scc anything so duchyrottcky, so completely twee! Il maquillage si diffonde come una lebbra. « Sentiamo che l'ultima voga che furoreggia tra le signore è di dorarsi la lingua ». « Il ciclo era così pallido che sembrava incipriato di poudre de riz ». Firbank discende dala brillante tradizione di Laforguc (il Laforgue delle Moralités légendaircs), di Wilde, di Bcardslcy, una maniera tutta impostata su bizzarri raccostamenti, squisita confusione d'aspetti, d'immagini, di sessi, quite quaint and qneer. « Adoro alla follìa i suoi barlctti da scolaretto, dice di una donna un giovanotto che a sua volta ha « un naso da attrice ». E ancora : « Sartorious la trova incolore! — Come? — Pallida. Non so, crede che si trucchi col gesso. — Che idea! — Suppongo che riceveremo inviti per la sua vitrificazione tra non molto ». Dialoghi effervescenti, scuciti e arguti, fatti di nulla, spuma di cioccolato, personaggi inconsistenti come gli oscilla, le fìgurette di cera che i Latini appendevano agli alberi in certe solennità. Sono le « donne dal seno piatto, chimicalizzate, di sesso indefinito, e i giovanotti molliconi, di sesso ancor più indefinito » stigmatizzati da D. H. Lawrence in una sua poesia. Poi, via via che si colmò il vuoto lasciato dalla guerra tra le file degli uomini, l'ideale femminino diventò la scolaretta, non più lo scolaretto; e dal 1925 al 1928 la esposizione della schiena e delle gambe minimizzò le caratteristiche più spiccate della donna (il seno e le anche), e nello stesso tempo proclamò sfida alle convenzioni: quello che le leggi della moda chiamano « cospicuo oltraggio ». Di quel dopoguerra dai costumi promiscui e sfrenati il periodo 1930-39 ereditò solo la predilezione pel nudismo, pei bagni di sole e la tintarella, per le forme svelte e sottili; ma per dimagrare, invece di .sottoporsi a strenui digiuni come nel periodo dell'ideale efebico, le donne si limitarono a seguire un regime. Al tempo stesso, col crescente numero di donne impiegate, si diffuse sempre più il tailleur, il completo con giacca, con accentuazione delle spalle quadrate; e il tailleur, il più grande contributo inglese alla moda femminile moderna, ha fatto sì che questa moda si raccosti all'architettura, come avviene già da un pezzo per la moda maschile, e si allontani dalla pittura, a cui si è invece conservata sempre ligia la moda francese La seconda guerra mondiale. fiiii itiitiiitiiiiiiiiiiifiiniiiiiiiiifttiiiiiiliiiiii colle sue restrizioni particolarmente aspre nell'austera Inghilterra, non ha fatto che accelerate un processo di uniformità nel costume femminile che trova solo eccezione negli abiti da sera. Vale la pena di meditare ciò che scrive in proposito il Cunnington: « Una persistente uniformità d'aspetto tende a produrre uniformità d'atteggiamento mentale, una verità riconosciuta per le uniformi, per quanto ignorata per gli abiti civili. Ne segue che se noi desideriamo una comunità che tenda a pensare e a reagire allo stesso modo, allora si faccia di tutto perchè tutti vestano allo stesso modo, con abiti standardizzati al massimo. Se invece preferiamo che ciascuna donna conservi la sua distinta personalità, allora a ciascuna devono esser forniti mezzi atti ad esprimerla differenziandosi nel vestire; e dovrebbe restaurarsi libertà di scelta, non come un lusso che non ci possiamo più permettere, ma come una salvaguardia che non possiamo permetterci d'abbandonare ». Sì, non c'è solo una storia nei vestiti, ma tutta una filosofia. Mario Praz 1 1 M I 1 : r ■ [ [ 1 m < ! ; 1 < [ ! 1 1 1 r t 1 1 1 r 1 > 1 > ' 1 ^ m 1 - : f t 1 r j r 1 ; 1 r 1 1 r r ; : Un aspro atteggiamento polemico di Anna Pauker 1 i t ( 1 r I 1 : 1 1 [ t 1 [ 1 1 [ 1 1 1 1 1 ! r 1 ! 1 1 ! r J ! 1 1 1 1 : 1 i t 1 1 r 1 1 [ 1 t i [ 1 ! r 1 1 1 > : 1 [ 1 1 1 r r 1 1 1 1 1 I 1 ! r r r 1 t M 1 1 < - 1 1 , 1 , ' 1 1 t 1 1 1 1 1 r r 1 1

Luoghi citati: Inghilterra, Londra, Parigi