Colore di Copenaghen di Corrado Alvaro

Colore di Copenaghen Colore di Copenaghen A bordo del vapore che. attraversa il Sund riportandoci in Danimarca, rivedevamo il tipo della donna danese che fuma il sigaro. Un tipo simile non fa soltanto lo stupore di noi meridionali, ma delle stesse donne svedesi le quali lo trovano eccessivamente mascolinizzato. Se mai, noi vi aggiungiamo un significato più esotico; ricordiamo certe figurine di indigene su vecchi pacchetti di generi coloniali, come se il tabacco fosse stato scoperto ora, e fosse adoperato nel• la sua forma primitiva e naturale. Insomma, questo segno d'un vizio prevalentemente virile, acquista la buffa grazia del mondo romanzesco dell'infanzia, o il prestigio di un'estrema saggezza quale è in certe vecchie indios in cui il sigaro e la pipa sono una specie di ritorno a un sesso indistinto, viriloide, il segno di una rinunzia o di una riacquistata libertà dalle passioni. Ma per una nordica deve avere tutt'altro significato: c'è dietro l'evocazione di una lunga lotta di emancipazione, piena di drammi e di drammi teatrali, e infine di una solitudine raggiunta ma tuttavia non rassegnata e piena di spirito polemico. Questa che avevamo di fronte era sulla quarantina, in abito nero a giacca, un cappello nero di feltro a larghe tese con una falda calata da una parte ma non senza grazia, le gambe incrociate, uno sguardo di rancore e di sfida che era tuttavia un vo ler riattaccare un discorso sia pure pieno di risentimenti, e il sigaro in bocca. Vi sono sigaretti piccoli, un po' gonfi, come siga ri toscani in miniatura; ma costei fumava un sigaro senza attenuan ti, sola davanti al suo bicchiere di birra. Il ferry-boat tra Malmo ed Elsinora (Helsingors) è una specie di palazzo viaggiante, con grandi sale da pranzo e salotti da caffè; i tabacchi vi sono in franchigia, l'alcool è di libero uso. In Svezia, l'alcool è invece oggetto delle più rigorose restrizioni: vi è vietato somministrare bevande alcoolichc, sia pure col venti per cento di acqua, se non a chi consuma un pasto, e non prima delle ore dodici, in poca quantità fino alle quindici, in maggiore quantità dopo le quindici. I vini, di importazione e costosi, sono con sentiti anche con pasti leggeri, ma sempre dopo le dodici. La quantità è regolata secondo il sesso del consumatore. Speciali magazzini vendono bevande alcooliche in dettaglio, secondo le razioni assegnate e iscritte su una tessera. * * Elsinora. Virtù dei poeti: Shakespeare si servi del nome di questo luogo pel dramma di Amleto, come si servi di tanti nomi di luoghi d'Italia che non aveva mai conosciuto, e a volte con ingenui errori di situazione geo grafica. E questo è il castello di Amleto soltanto perchè egli vi collocò il suo dramma. Dopo avere covato con gli occhi questo edificio solitario dai tetti verdi sulla riva del mare, a mano a mano che ci si avvicinava alla costa, ci trovammo parecchi viag giatori di ogni parte di Europa a visitarlo. Ci andavamo come a un appuntamento, come se soltanto per ognuno di noi risuonassero le parole del famoso monologo. Ognuno fece la sua ricerca da sala a sala, aspettando quel segno, quel ricordo, quella rivelazione. Ci saremmo contentati di un qualunque falso, di una tomba presunta, di un appartamento che si potesse immaginare l'appartamento della regina. Si chiese al custode, dopo un lungo giro impaziente come in un teatro vuoto alla ricerca di un grande attore, dove fossero i ricordi di Amleto, dove la tomba; la risposta fu: «Qui Amleto non ci è mai stato, come non ci è mai stato Shakespeare. Forse qualche autentico ricordo di Amleto si può averlo nel Jutland ». Tuttavia, ogni anno nel cortile del castello una compagnia drammatica di qualche parte del mondo, in una qualunque lingua, vi recita Amleto per la stagione dei viaggi. Senza solennità, una modesta statua di Shakespeare, in un calco di gesso, senza piedistallo, è collocata in un androne al pianterreno. Non c'è neppure il tentativo di una tomba falsa, che costerebbe cosi poco agli archeologi e farebbe tanto piacere ai turisti. Credemmo di lanciarci alla scoperta di una memoria qualsiasi, seguendo un gruppo di ragazze con la loro insegnante, ma esse andavano a visitare le casematte lungo il fossato del castello. Il palazzo è adibito a museo delle memorie danesi, dai Vikinghi alla conquista dell'Inghilterra meridionale, alla espansione in Scandinavia, alle colonie asiatiche, alla navigazione a vapore e alla fortuna dell'industria della pesca. V'è una bella raccolta di polene di vecchi velieri, come ne avevamo ammirate anche in Svezia, a Goteborg, tra le più belle cose popolari che si possano vedere: figure di donne dal viso popolare, alcune con un bambino al petto, e tutte nell'atteggiamento di fendere il mare e il vento sulla prua delle navi avventurose, piene di speranza, in genere brune; la donna del marinaio di ogni mare; guardano il cielo, le acque lontane, i continenti che si profilano all'orizzoiiDe. Cercare Amleto in un castello de! Duecento ricostruito nel Quattrocento al tempo della fortuna della industria delle aringhe, cercare quell'ombra, un ricordo, nei corridoi e nei ponti sospesi tra sala e sala, nelle sale nude e spiranti una vita primitiva, abitu¬ sbfspatlbcdcglnbrcudsttdLmdscczutncvaqdcmp(goSsgstadrlufdcnttdcvtaE«et n o l , e i a a dini rudi, con lontani ricordi d'Italia nei quadri di pittori danesi che conobbero il Rinascimento e il manierismo, pieni di favole mitologiche e di nudi in atteggiamenti d'un significato più ardito che nella stessa pittura italiana, immaginare l'appartamento della regina, il tenebroso passaggio per l'ombra, l'arrivo dei comici in una immensa sala in vista del mare e della costa svedese: e appurare che tutto questo è una fantasia, che non si tratta d'altro che d'un nome caduto là sulla pagina d'un grande poeta che l'aveva trascritto dalle Storie d'un cronista danese, come aveva trascritto Verona da un novelliere italiano per il dramma di Giulietta, non delude affatto; alla fine, si guardano ancora le acque del Sund immaginando Ofelia annegata tra i fiori. * * Le tradizioni nel Nord sono dure a morire. Noi latini, troppo più vecchi, non vediamo l'ora di disfarcene. Così avessimo premura di rinnovare la organizzazione della nostra vita. A Copenaghen, i postini indossano ancora 1: giacca rosso arancione dei vec chi postiglioni, e dello stesso co lore sono i furgoni della posta. Sulla città delle cinquantamila biciclette, questo è il vecchio co lore d'un sigillo di ceralacca. Ed evoca il ricordo di città un tem po di legno, il continuo richiamo della sirena dei pompieri. In una giornata ne ho contati quattro. Un'altra tradizione che sembra contrastare con una familiare monarchia socialista, è quella del cambio della guardia a Palazzo Reale. Per noi italiani, è una particolare impressione passare dai canali in cui le barche caricano i cesti di uova e le aringhe c i salmoni, il ricco odore dei fondi marini dai pesci grassi, a qualcosa che ricorda le nostre città, Torino o Roma col loro barocco, la loro pietra, l'aridità architettonica della vita urbana, civile, lontana dalla natura. E' il Palazzo, e la cupola della chiesa, in un'altra disposizione, come se li avessero spostati di su un piano ideale, da una vecchia stampa. Facciamo i turisti, e ci concediamo un'ora ingenua. Vogliamo essere europei, e vedere la bandiera di un'altra patria in cui vivono, sperano, soffrono e lavorano uomini, ci fa battere il cuore come a bambini. Ignoro chi abbia adottato per primo gli alti colbacchi pelosi del reggimento della Guardia, se i danesi o gl'inglesi. La fantasia torna bambina notando che uno di questi colbacchi è un po' calvo in alto, in corrispondenza dell'occipite. E' come se avessimo cavato fuori un giocattolo dell'infanzia e lo trovassimo tarmato in un punto. La scena è pressappoco quella che si svolge in tutti i cambi della guardia, coi due reparti che si salutano, le fanfare che a un certo punto fanno cerchio, e con le trombe d'argento che suonano la marcia al campo, e ricordano gli arrivi nei villaggi, tappa delle lunghe marce, quando improvvisamente le piazze si svegliano all'eterna ebrezza delle truppe che passano come a una giovinezza fuggitiva e infedele. Ma c'è una parte della scena che è di un rituale diverso dal solito. L'alfiere appare tenendo la bandiera come una lancia; la fanfara intona un inno largo e sostenuto, e detta all'alfiere un passo quasi di danza. Egli viene avanti mettendo giù il piede in tre tempi, sollevandolo, facendolo oscillare come preso da un brivido, posandolo di striscio. E così di seguito per una ventina di passi. C'è sempre attorno una certa folla, ci sono sempre ragazzi nuovi che vi assistono per la prima volta, e i turisti come noi. E l'emozione è sicura. Fa bene, fa piacere, sembra di capire tante cose e di poterne abbracciare altrettante. E perchè no la unità europea? « Siamo troppo diversi » mi diceva uno. « Ma se siamo tanto simili » diceva un altro: «Gli usi, i gusti, l'architettura, l'idea che ci facciamo della vita. I meridionali che si ri¬ ■ 111hu11111111111m1111m 11111111 1' 11111! Ii11 11111111 trovano col filosofare del Nord; i nordici che cercano chiarezza al Sud ». Ma uno disse una cosa conturbante, e forse la più degna di attenzione: «Ma non avete capito che l'impedimento è la cultura? ». La cultura ci unisce, parliamo Io stesso linguaggio per essa, ce la scambiamo, la arricchiamo scambiandocela. E poi ci divide creando ideali diversi, consolidando la lingua nazionale, un modo di pensare nazionale, una gerarchia di valori; quel tanto di intimo, incomunicabile, intraducibile. Ci comprendiamo per Dante, Goethe, Tolstoi, Pascal; ma per essi abbiamo i nostri limiti, le nostre intolleranze. Ci inchiniamo ad essi. Contendiamo sulle loro parole e le loro idee. E così è l'Europa. E' uno dei rompicapo più assurdi che si possano proporre. Pressappoco come l'Europa stessa di oggi. Meglio dunque barbari, sprovvisti di cultura, distruttori del passato? E allora non esisterebbe più il problema, come non esisterebbe più il nostro continente. Corrado Alvaro llllllllllllllllllllllllllllllllllllll illuni La bella attrice egiziana Marldha Yoursi è arrivata all'aeroporto di C'iampino per girare a Roma il film « La lupa » hi ninni: ni iiiiiiiiiiiiliiliiinii i i 11 mi iliiililllllliiiiiiiilililllllig

Persone citate: Goethe, Shakespeare