Saggezza di Giolitti

Saggezza di Giolitti Saggezza di Giolitti A Giolitti scrittore capitò la stessa sorte dei Goncourt. Il giorno in cui i librai parigini ponevano in vendita il primo libro dei due fratelli, En. 18..., il colpo di Stato di Luigi Napoleone Bonaparte toglieva ogni interesse al loro esordio romanzesco; la gente, aveva ben altro a cui pensare! Nell'ottobre del 1922 l'attenzione degl'italiani essendo rivolta a una situazione politica che precipitava, apparse le Memorie della tuia vita, questo giornale soltanto, gli altri restando distratti o pieni di malvolere, ne riconobbe il valore. E Luigi Ambrosini restò isolato a proclamare che i ricordi di Giolitti erano l'opera dell'ultimo classico della politica e altresì dello stile parlamentare, e ciò mentre, per usire un'espressione shakespeariana, tempi andavano fuor dai cardini. Le recensioni e le traduzioni straniere si mostrarono concordi col cliché italico dell'uomo « superato », e particolarmente ostili furono le accoglienze francesi, dovendo Giolitti scontare il « neutralismo » e l'opposizione a Barrerò. Allorché le vicende degli affari mi condussero, dopo un decennio, a dirigere per pochi mesi la Casa editrice delle Memorie, trovai scarse le vendite, ancor da rendere i conti. Un tentativo di ristampa fu subito ostacolato dal fascismo; più tardi ripetuto in sordina, non migliorò di molto la diffusione dell'opera, mentre il regime forniva a Nello Quilici materiale pel diffamatorio e strombazzato studio sulla Banca Romana. A liberazione avvenuta, ci si accorse che parecchia della gente salita al potere col 25 aprile, teneva ancora Giolitti in non cale: si ricorderà la polemica Croce-Parri sulla « democrazia » giolittiana, e 11 riaffiorare delle tesi salveminiane sul Ministro della mala vita, pervicacemente ribadite ancor ieri. Se nel pollaio <t azionista », dispersosi, entro un lustro appena, entro i più diversi orti politici, taluni che oggi scrvon le destre, favoleggiavano allora del conservatorismo borghese di Giolitti, e rimuginavano di non so qual « dittatura » dell'uomo di Droncro, ci volle il trionfo della Democrazia Cristiana e ciò che ne segui, perchè Palmiro Togliatti e Gaetano Natale riportassero nell'arena la bandiera di un Giolitti « progressista » qual monito contro le corte vedute delle nuove classi dirigenti, affiancandosi cosi agli sforai degli altri pochi fedeli che avevano continuato pazientemente la difesa e l'illustrazione della figura e della politica del grande statista, senza scoraggiarsi delle incomprensioni e delle storture, anzi cercando di rendersene ragione. Noi osservavamo, infatti, che l'età del giudice ha influenza sul verdetto. Leo Valiani, passato in gioventù fra parecchie esperienze di lotta e di partito, mi raccontava appunto come la sua generazione, la quale cominciò a pensare e a studiare quando già erano state recise le radici col mondo del 1914, vivendo sotto l'ossessione della cappa di piombo fascista, e scorgendo nell'illuminismo marxista la fiaccola dell'avvenire, non si trovasse materialmente in grado di spiegarsi il fenomeno giolittiano. Calunniato dai mussoliniani, vituperato dagli orianeschi, vilipeso dai nazionalisti, misconosciuto dai gobettiani andati a scuola da Salvemini, come potevano quei giovani, ignari del dramma dell'intervento del 1915, delle speranze riformatrici del 1919, erranti fra gli schemi teorici della « vera democrazia », penetrare nell'indole di Giolitti, anche se, come era doveroso, fosser ricorsi ai testi, tuttora dispersi e malnoti? Un po' di questo spirito rimane — o per lo meno echeggia — nella minuziosa, diligente, acuta introduzione di un centinaio di pagine, che accompagna i Discorsi extra-parlamentari (Torino,Einaudi ed.) di Giolitti, per la prima volta raccolti e ordinati da Nino Valeri. A costo di entrare a mia volta nel novero dei giolittiani-poeti, categoria dove Prczzolini collocava Luigi Ambrosini, degnamente poi seguito da Filippo Burzio e da Ricordo Bacchelli, rilevo che Valeri, il quale ha doti di storico, mira a una imparzialità talmente scrupolosa, da rasentare in qualche punto l'ingiustizia. Risente, il suo sforzo di assoluta obiettività, del contrasto fra l'apologia dell'età giolittiana, tentata da Croce proprio in sede storica, e la ostinata, acerba, riottosa critica di Salvemini. Queste diatribe meridionali, ci lasciano ormai freddi. Sappiamo benissimo che Giolitti ha commesso degli errori politici, che in alcune occasioni è rimasto staccato dalla realtà ambientale, o si è illuso sulla convenienza o saggezza di determinate procedure e manovre. Lo stesso Ambrosini, che nella crisi del 1922 fu immerso, e purtroppo non ci ha lasciato i suoi ricordi sui negoziati dell'estate e dell'autunno che precedettero la marcia su Roma, ammetteva in amichevoli confidenze che « il Vecchio era stato ingannato ». Ma Valeri che accoglie le disinvolte autodifese sturziane, trascura poi le responsabilità di Vittorio Emanuele III, non mette in risalto che Giolitti non era uomo da prender posizione contro il re. dicendogli, come Cavour dopo Villafranca: 'L re swi mi! E, oltre le colpe della monarchia, quante ne ebbero socialisti e popolari, i conservatori che foraggiavano il fascismo, l'inerzia della Nazione? A rileggere in questi Discorsi extra-parlamentari i programmi esposti a Dronero il 12 ottobre 1919, il 16 marzo 1924. che oggi si potrebbero riprendere tali e quali, compresa l'afférmazione che il « ritorno al collegio uninominale finirà per imporsi perchè più rispondente all'essenza del sistema rappresentativo ed al sentimento del nostro popolo, che desidera scegliere liberamen¬ te e direttamente i suoi rappresentanti », c'è da concludere che siamo andati indietro anziché avanti. Io mi auguro che il volume dei Discorsi (quelli pronunciati in parlamento, saranno raccolti e pubblicati a cura della Camera dei Deputati, e occorre spronar l'iniziativa, e poi, alla fine, redigere uno spicilegio di pensieri e giudizi, e diffonderlo) extra-parlamentari, diventi un manuale di politica ad uso di chi pensa con la propria testa. Certo farà gran bene, getterà semi preziosi, chiarirà molte idee. Sui partiti, le relazioni fra Chiesa e Stato, l'amministrazione governativa, provinciale, comunale, il decentramento, il regionalismo, la magistratura — già si deplorava « la teatralità dei processi penali, convcrtiti ormai in spettacoli da circo » — la politica sociale, le relazioni con l'estero, il libro racchiude una quantità di aforismi limpidamente formulati, frutto di pratica saggezza, di consumata esperienza. Quel che la frequentazione delle Memorie della mia vita consentiva di ammirare, ed i Discorsi cxtra-parlmnentari confermano in pieno, è il vero e proprio genio della semplificazione insito nella natura di Giolitti, la sobrietà del dettato, l'equilibrio del pensiero. Molti altri uomini politici affascinano per lo spirito brillante, l'intelligenza paradossale, la vena oratoria, nessuno — dopo Cavour, che univa la pratica all'estro — ha posseduto in modo così eccezionale e caratteristico, il buonsenso di Giolitti, la sua calma. Questo montanaro e leguleio piemontese, che non sembra si sia mai formato sugli inglesi, era della loro scuola. Alle focose accuse di Crispi e dei suoi emuli contro la scarsa cultura di Giolitti, i Discorsi portano una nuova smentita: vi si cita Orazio, già nel 1888. E Nino Valeri riproduce un commento di Filippo Turati che prova come sia più facile capire gli antagonisti, che sé medesimi: «Nelle sue parole c'è sempre, dominante, la nota del senso comune, e non è questa la vera democrazia? Non si eleva molto sulle ali del pensiero: ha un'arte indiavolata di semplificare le questioni, di scarnificare e scheletrire tutti gli argomenti, riducendoii al due e due fanno quattro. E' proprio un difetto? La bella prova che hanno fatto in Italia i ministri filosofi, letterati e scienziati! ». Turati, il cui strano destino fu di lasciarsi sfuggire tutte le occasioni di afferrar la realtà politica e d'inserirvisi, confessava: «Mi hanno detto: — Voi l'avete sempre nel cuore —. Ed è vero ». Grazie a Giolitti, che fece lui quel che i socialisti non sepper compiere, ci fu in Italia, per pochi anni, quella coincidenza d'interessi fra governanti e governati che è la sola feconda di opere, e che fin dal 1882 Giolitti proclamava a Dronero, dicendo testualmente: « Allorché gli uomini di Stato più eminenti e gli operai sono concordi in un programma, vi ha la certezza clic questi risponde ai veri bisogni del Paese ». Dopo, abbiamo sentito altre musiche. Giolitti, difensore strenuo del Parlamento, insegnava che « senza partiti politici ben delineati, le istituzioni parlamentari non funzionano », ma respingeva — e lo si vide nel 1922 — la partitocrazia. Aveva il torto di sperare che il nostro popolo non si sarebbe adattato a diventare « una ruota ignorata di una immensa macchina », mentre i fatti dimostrano quotidianamente che l'individualismo va spegnendosi. Peggio ancora, opinava che dopo il 1860 nessuno dcglu-wori capitali fosse « dovuto a deliberazioni del Parlamento » dove si « dicono talora degli spropositi, ma non se ne fanno ». Voleva una magistratura davvero indipendente, concepiva i rapporti fra Chiesa e Stato sotto l'aspetto di « libertà per tutti a casa loro » e in caso d'invadenza, essa « sia inesorabilmente respinta con l'applicazione delle leggi ». Fin dal 1899 si scagliava (e lo si constatò sotto il fascismo) contro il vezzo «di invocare il nome del conte di Cavour per sostenere una politica reazionaria », giudicando che ciò costituiva « una delle più audaci falsificazioni della storia ». E quale massima più attuale di quella da lui sostenuta cinquant'anni or sono: «Il mettere insieme uomini politici che partono da concetti discordanti e tendono a fini diversi, può produrre un effetto solo, di ridurli tutti all'immobilità, all'impotenza »? Oppure la concezione di un « governo che sia, e apparisca in tutti i suoi atti il tutore delle classi popolari, il difensore dei loro diritti e dei loro legittimi interessi »? I Discorsi extra-parlamentari recano esempi singolari dell'umorismo giolittiano, e della sua vivacità polemica. « Quanto alla politica estera — diceva proprio a Torino, nel 1911 — voi comprenderete che non è materia la quale si presti a troppe particolareggiate dichiarazioni, poiché molte volte nei suoi svolgimenti deve esser subordinata ad avvenimenti che non dipendono dalla nostra volontà. Io personalmente sono stato più volte accusato di non occuparmene abbastanza: l'accusa aveva origine dal fatto che ho sempre cercato di parlarne il meno possibile, perchè l'esperienza mi aveva insegnato che nessun Ministro degli Affari Esteri si è mai pentito di aver taciuto ». E, pel resto, si vedano le aspre puntate contro i profittatori della guerra del '1 , le bòtte a Cadorna. « sostituito da un comandante veramente degno »; a Salandra, responsabile di aver gettato nel conflitto l'Italia « senza prevedere nulla, senza accordi precisi sulle quistioni politiche e coloniali, senza neanche ricordare l'esistenza di necessità economiche, finanziarie, commerciali, industriali ». II chiodo di Giolitti (che ap¬ parteneva alla generazione che si era fatte le ossa nel periodo in cui, a unità raggiunta, il problema di pareggiare il bilancio fu per decenni capitale) consisteva ne! pretendere sempre di quadrare le entrate con le spese, rivalutando la moneta e dandole garanzie sicure Preoccupazione di tutta la sua vita politica fu quindi anzitutto di trovarsi, come ogni buon amministratore, con i conti in ordine, e con qualche riserva. In ciò, per quanto le sue direttive sociali fossero audaci, egli era inattuale, « reazionario », fuori moda. L'allegra finanza di Magliani, le pittoresche vicende della Banca Romana, dovevano aver lunga fortuna fra noi e ripetersi, mentre l'austerità della gestione, il rispetto dei canoni della economia classica, nuocevano alla sua Segnalo a Nino Valeri lo spunto per un Giolitti non keyncsiano, certo che lo raccoglierà, completando e sviluppando le sue utilissime indagini. Intanto, lo ringrazio di averci messo in mano questo breviario. Arrigo Cajumi ''' 1 " 111 (11 i 1 u111tt! 1 ir 1111p11 ! 111 i 1111 r 1111111r( 1 (

Luoghi citati: Dronero, Italia, Roma, Torino, Villafranca