La signora Roosevelt mi scrive una lettera di Giovanni Artieri

La signora Roosevelt mi scrive una lettera GIRO DEL MONDO TRA GUERRA E PACE La signora Roosevelt mi scrive una lettera Una macchina da scrivere e una dama infastidita - La rappresentante della Democrazia alle prese con i mussulmani Caffè turco, narghilè, e conquiste ideali • Un'intervista scritta - "S'è fatto qualche passo verso la pace,, dice Eleonora L'eventuale Presidente repubblicano e il "pericolo immediato,, di guerra - "Dipende molto da chi sarà eletto,, (Dal nostro inviato speciale) Nuova Delhi, aprile. . In questo giro intorno alla Tetra, c'è una persona, una compagna di viaggio, con la quale andiamo di conserva, come due nottambuli stigli opposti marciapiedi. Questa mia compagna di viaggio è la signora Eleonora Franklin Delano Roosevelt. Il li di febbraio la signora Eleonora arrivò a Beyruth, nel Libano, e scese all'ulbergo Saint George. Alla stessa ora, al medesimo Saint George, arrivai anch'io. La signora Roosevelt viaggiava in incogntto e per quanto ospite del Governo della Repubblica libariese, quando accostammo al banco della reception del Saint George è a ine che portiere, impiegati e proprietari fecero mille feste. Il tacco ripicchiò... Venivo dall' incendio del Cairo e i giornali del Libano avevano riportato, traendone il testo da La Stampa, gran parte della mia narrazione di quella calda avventura. Ero partito dal Saint George per l'Egitto con tutti i miei bagagli e mi vedevano arrivare con una valigia solitaria, piuttosto sprovvisto e c rimediato >. Furono allegrie, felicitazioni, manate sulle spalle, quel giorno del mio arrivo; e, certo, nella piccola folla che s'era formata, quella signora altissima, piuttosto in età, circondata e ossequiata da funzionari e segretari, che attendeva la chiave del suo appartamento, dovette chiedersi quale celebre personaggio fossi io. Tra quelle effusioni e la stanchezza del fortunoso viaggio dal Cairo a Beyruth, non posi mente al volto paziente e serio della signora longilinea. Pensai distrattamente di averlo visto altrove. Mi dettero una camera, il n. S'f5, e subito, poiché avevo da spedire un articolo al giornale, mi misi a lavorare. Terminai sul tardi, avrei ricopiato e spedito prima della mezzanotte. Uscendo per recarmi a pranzo, notai due paia di lunghe scarpe femminili a punta, dinnanzi alla iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiitiiiiii porta accanto. Rientrai più tardi e ripresi a battere a macchina. Come accade, tra correzioni, pentimenti, limature e aggiunte, rifeci l'articolo senza guardar l'orologio, tutti sanno come infastidisca il battito d'una macchina da scrivere durante la notte. Ad un tratto un picchio, netto e sonoro, venne dalla camera accanto. Indubbiamente il tacco d'una scarpa femminile, lina pausa e poi subito il tacco ripicchiò, scrivendo nella parete il segnale Morse: S.O.S. Io conosco l'alfabeto Morse; posso decifrare a orecchio il poetico e solitario gracidìo dei vecchi telegrafi nelle stazioni ferroviarie di secondaria importanza. Mi chiesi, dunque, come mai quella signora sconosciuta, proprietaria delle lunghe e aguzze scarpe della camera accanto, conoscesse la telegrafia abbastanza per mandarmi quell'ironico messaggio. Tacqui. Il tacco, forse incuriosito dal mio silenzio, picchiettò ancora (in punti e linee): < Please, go to hell with your typewriting > (<Vi prego di andare all'inferno con la vostra scrittura a macchina y). Ero gelato. Non seppi rispondere altro (in punti e linee) che: < Sorry>(<. Scusate >). Su questo dialogo da carcerati cadde il silenzio della notte. Quel tacco apparteneva alla signora Roosevelt; era lei. Le mandai l'indomani mattina un fascio di mimose, un biglietto di scuse e la richiesta di un'intervista. Ma la signora Eleonora alle sei era all'impiedi e alle sette già in automobile, in giro per il Medio Oriente. Alla cerca di consensi Non è il caso di rammentare minutamente le traversie di quei viaggi. Come, per esempio, la signora Roosevelt sfuggisse di misura alla indignazione dei rifugiati arabi dalla Palestina, messi a marcire nei campi di concentramento attorno a Beyruth. Ella si recò a visitarli, fidando nella cattiva memoria di quella gente che l'aveva, invece, buonissima e con molto baccano le fece carico di aver parteggiato per Israele durante la guerra del 1947. Nè furono più calde e simpatiche le accoglienze degli ebrei di Gerusalemme che avevano da addebitarle la sua amicizia per il compianto e assassinato conte Berna/dotte; nè sto a ridire le arti che ella dovette impiegare per ingraziarsi gli arabi della Transgiordania e della Siria: bevendo a Damasco un caffè turno (da lei particolarmente detestato) e fumando, ad Amman, nel tubo di un narghilè. Io non la vidi più in albergo. Mi contentavo di seguirne le mosse, rabbrividendo al leggere i vertiginosi programmi delle sue visite e incontri, il numero dei suoi discorsi e conferenze e banchetti e ricevimenti e balli. A poco a poco mi si chiariva il senso dei suoi viaggi nell'inquieto Medio Oriente. Era la Democrazia venuta a far la pace con le riluttanti popolazioni del mondo mussulmano. Era lei, la signora Eleonora, che l'America mandava al posto della statua della Libertà, da queste parti. Era la nipote, cugina e moglie dei due Roosevelt a dover pescare consensi nelle aree più difficili e chiuse agli ideali occidentali. Aspettavo la coincidenza per Karachi, in quella settimana; quando partii la signora Roosevelt si trovava a Gerusalemme e a Tel Aviv. Mi portavo in tasca la bozza di una lettera e d'un questionario da lasciarle a Karachi, dove la signora Eleonora sarebbe venuta. Sapevo pure ch'Ella, nella capitale del Pakistan, avrebbe alloggiato aiZ'hòtel Mótropole, dove sarei andato e contavo, stavolta, di profittare meglio chi al Libano, del tetto comune. La signora Roosevelt arrivò al Pakistan ma non alloggiò all'albergo. Fu ospite nella casa del Primo Ministro, Nazimuddin; fu sequestrata dalla vedova del « Creatore > della Repubblica pakistana, signora Aliqquat Ali Khan, contesa dalla sorella del c Fondatore > della medesima repubblica, signora Jinnah, assediata e monopolizzata dalla vivacissima e aggressiva Associazione delle Donne del Pakistan. E naturalmen- te la signora Eleonora ebbe anche qui a traversare momenti difficili. Noìi le chiesero, forse, durante un banchetto di duemila coperti al < Métropole > mentre in piedi, il bicchiere levato, pronunciava un'appassionata apologia della fratellanza umana: < Ci parli degli eccidi nel Kashemiryt Quella voce inopportuna non fu zittita, e la povera signora Eleonora vacillò, come se i morti del Kashemir e i guai tra India e Pakistan fossero opera sua. Appuntamento a New York Trascrissi e consegnai al portiere del < Métropole >, perchè la mandasse alla casa del Primo Ministro, la letterina e il questionario preparato al Libano. Chiedevo alla Signora se in questi primi tre mesi del 195S il mondo, a parer suo, avesse progredito più verso la guerra o verso la pace; se il potere della Russia in Europa fosse aumentato o diminuito; se gli amcrtcajii si fossero resi conto della loro responsabilità (o di quella del marito della signora Eleonora) nell'occupazione russa di metà dell'Europa; se gli Stati Uniti fossero ancora convinti della amicizia del loro < alleato > solletico; se avesse idea di chi sarebbe eletto Presidente degli Stati Uniti nel '5S; se un democratico o un repubblicano; se, in caso di vittoria repubblicana, il pericolo di una guerra mondiale n. S si sarebbe avvicinato; se, in fine, la Signora che aveva già presieduto la Commissione delle Nazioni Unite per la Carta dei Diritti dell'Uomo, potesse, con tanta specifica competenza, definire le malattie dell'Umanità contemporanea. Spedita questa lettera, presi l'aeroplano per Bombay, mentre la signora Roosevelt viaggiava vorticosamente per il Pakistan. A Bombay lei mi seguì, ma io ripartivo per New Delhi. L'itinerario la portava, inoltre, ad Allahbad, a Mysore, a Madras (dove non andò, perchè Madras è città comunista e si temevano disordini). Infine l'altra mattina l'Ambasciata d'Italia mi ha recapitato una lettera respinta da Karachi. Era la gentile, incrollabile, infaticabile signora Eleonora che rispondeva alle mie domande. E diceva: 1) di ritenere che nel 1052 il mondo ha fatto qualche passo avanti verso la pace, stabilendo una conferenza per il disarmo e un'atmosfera un poco più favorevole (helpful) alla sistemazione delle tensioni (tense problems) nelle aree pericolose; S) che pur non potendo giudicare della influenza russa in Europa, se un equilibrio di potenza si stabilisse sul continente, questa influenza diminuirebbe; 3) che la responsabilità per l'occupazione sovietica di metà dell'Europa non può addebitarsi alla politica estera degli Stati Uniti durante la guerra e il dopoguerra, tanto più che gli Stati Uniti non possono chiamarsi responsabilt delle azioni russe; 4) che sin da quando la Russia era un alleato in guerra dell'America gli Stati Uniti ritenevano la Russia alleata soltanto per conseguire i propri fini; nè gli Stati Uniti nutrirono mai speranze in un cambiamento; 7) che non sapeva e non sa se il nuovo Presidente degli Stati Uniti sarà un democratico, e 8) quanto al pericolo immediato della terza guerra mondiale, in caso di una vittoria del Partito repubblicano: < Io spererei di no, ma dipende molto da chi sarà eletto Presidente*; 9) che. infine, l'Umanità ha sempre sofferto per la propria cupidigia ed egoismo e continuerà per qualche tempo a soffrire, ma vi sono segni molto notevoli di un nascente senso di coscienza sociale tra le Nazioni. Quest'era il sugo della lettera e a me parve doveroso di ringraziare subito la premurosa signora Eleonora. Chiesi al telefono la Casa del Primo Ministro (in India, si può fare). La signora Eleonora era li e mi rispóndeva. < La ringrazio — le dissi — sono qui a New Delhi e vorrei poterla vedere per chiederle scusa di quella notte a Beyruth. Vorrei anche pregarla di dirmi dove ha imparato l'alfabeto Morse >. Dall'altra parte del filo la signora Roosevelt rispondeva: < Venga a vedermi a Manila, nelle Filippine, e glielo dirò. Ma se non potremo incontrarci, vediamoci a New York. Lei fa il giro del mondo e verrà sicuramente a New York. Ha un pezzo di carta e un lapisf Si segni l'indirizzo: Park Hotel Sheraton, al numero SOS della 5S» strada, West. Ha scritto f Bene. Arrivederci ». Rimasi con la matita in mano, un istante. Mi possedeva il vago 3enso di aver parlato con una statua, un'allegoria, un'idea astratta. Con la Democrazia, insomma. Giovanni Artieri