La Begum che uccise la bambina di Giovanni Artieri

La Begum che uccise la bambina GIRO D£L MOUDO, TRA GUERRA «2 PACE La Begum che uccise la bambina Munawwar ba cinquantanni, occhi verdi, bocca sottile e imperiosa, è molto grassa: incominciò a odiare la servetta... Spaventosa crudeltà e un'incredibile giustificazione: diritto di vita e di morte come ai tempi del feudalesimo - E così costumi assurdi, barbarici, si scontrano con l'opera di civiltà, lenta e pigra, che si vorrebbe compiere in Oriente (Dal nostro inviato speciale) Karachi, marzo. Due delitti avvenuti in questi ultimi tempi hanno fatto chiasso e anche il secondo, riguardante la bimba Banu uccisa dalla Begum di Junagadh, ha avuto una certa fama in Europa. Mette conto, tuttavia, di ritornarvi perchè, curioso caso, delitti come questi danno in qualche modo la chiave di ciò che succede nel continente indiano, dopo le dichiarazioni di Indipendenza. L'uccisione di Uaqquat AU Khan, primo ministro dello Stato e « fondatore » della repubblica, come si sa, commosse mezzo mondo. L'altro delitto riguarda una bambina di tredici anni, di nome Banu, nativa della provincia di Whariawal, una terra quasi sconosciuta del Pakistan. Banu scomparve di casa un paio di anni fa e i due fratelli che facevano i c coolies » a Karachi non ne seppero più nulla. La scomparsa di una bambina non commuove molto in questi paesi. La pensarono — come era — occupata in qualche lavoro. Banu, infatti, era entrata a far parte del servizio di una principessa, la Begum Munawwar Jehan, prima moglie del Nawab dello Stato dell'Junagadh. Nawab è equivalente della parola < nababbo » e si immagini, dunque, la ricchezza della Begum e il suo splendore. Per quanto lo Junagadh sia grande all'incirca quanto la Lombardia, con una popolazione metà di quella della città di Roma, il Nababbo e sua moglie potevano contare su circa milleduecento servi; la Begum disponeva di cinquecento cameriere. Le nozze canine Le vicende politiche del picoolo Stato influirono indirettamente sul delitto, poiché al tempo della spartizione dell'India, una volta che il Nababbo e la Begum, mussulmani, aderirono al Pakistan e scapparono a Karachi, lo Stato rimase senza padroni e fu allora che il direttore di un piccolo giornale di Bombay, il signor Samaldas Gandhi, con X[ualche decina di persone armate sommariamente, effettuò una marcia su Junagadh e si impadroni dello Stato. Un <referendum> tl i 111 ttl 1111 r 11 ■ 111111 i 11111111 f I ■ 11 ■ 111111111 i 11111 ! 1111 allestito più tardi dette la maggioranza all'India, ma intanto la Begum e suo marito s'erano ridotti a Karachi in una condizione piuttosto diversa da quella abbandonata nel loro piccolo e favoloso regno. La Begum abitava un bungalow dell'epoca vittoriana, il Dilawar Manzil, in una strada signorile di Karachi che si chiama via delle Ossa; per quanto non avesse perduta la sua antica predilezione per un serraglio di cameriste e serve, stavolta non poteva disporne che di una decina. Anche il Nawab, suo marito, aveva dovuto mettere qualche limitazione ai suoi gusti; rinunciando, per esempio, alla sua collezione di cani, popolata di almeno mille bestie, famosa in tutta l'India. A Junagadh la cinofilia del principe era diffusa tra la popolazione, anche per le prodigioso somme speso in certe feste, bandite pubblicamente per celebrare le nozze delle coppie canine più rare e pregiate. In quelle feste venivano spesi alcuni < lek > di rupie, una misura equivalente a decine di milioni di lire. Le stranezze del Nababbo • della Begum, nel clima morale piuttosto rigoroso del Pakistan mussulmano e repubblicano non erano protette che dalla prudenza di cui venivano circondate. Non si sa come la piccola cameriera Banu cadesse sotto gli occhi verdi e lunghi della principessa Munawwar, che è donna di una cinquantina d'anni: molto grassa, di pelle chiara, bocca sottile e imperiosa. La Begum cominciò a odiare la bambina e l'odio presto si trasformò in operante crudeltà. Tra la sovrana e la servetta avveniva, forse, qualcosa di simile a quel che racconta Hermann Melville nella famosa novella del bel marinaio Billy Budd e del Quartiermastro. La domenica £8 gennaio scorso la Begum Munawwar ricevette nel suo « bun«;a/oio > di via delle Ossa la visita di due signori. Credeva fossero degli amici, perchè quella domenica, appunto, festeggiava nel suo salotto coperto di tappeti preziosi e di broccati d'oro, la nascita di una nuova cucciolata. I due signori le porsero un mandato di arresto per complicità in assassinio e occultamento di 111111 ! 11 [ 11M M11 1 ■ 11111111111111 M1111 ■ 111111 ■ i i cadavere. Tre giorni prima* su indicazione di certi uomini accampati presso al cimitero di Karachi a Mewa Shah, la polizia aveva disotterrato il corpo della bambina Banu, trovandovi le tracce più evidenti delle cause che l'avevano uccisa. La Begum s'era servita di catene, corde, staffili e altro. Quando Banu le morì tra le mani pensò di farla sotterrare dalla serva Allah Rakhi e da un'altra ragazza, la undicenne Pialo; ne denunciò l'età in quarant'anni e quanto alla causa disse la più plausibile in questi paesi: la tubercolosi. Alla vista del mandato d'arresto la Begum usci in una crisi violenta. Stracciò la carta e gridò agli ispettori di uscire via. Nel suo palazzo di Junagadh, disse, aveva già disposto della vita di cinquecento cameriere senza subire i fastidi che la morte di una piccola miserabile le procurava adesso. Prigionia di lusso Poi cadde lunga distesa comprimendosi il cuore; subito amiche e cameriere corsero ai telefoni per chiamare medici. Tuttavia i medici non ebbero tempo di arrivare che la Begum, cambiato parere, si dispose a seguire gli agenti. Ordinò un grosso bagaglio: vestiti, tappeti, profumi, suppellettili a lei particolarmente care e lo mandò avanti con un autocarro; con ■ i due silenziosi funzionari, poi, entrò nella sua grande <Mercury » azzurra, targata con numero HO del «suo > Stato dello Junagadh. Venti minuti dopo era nella prigione di Karachi. Io ho visitato questa immensa cittadella, alla periferia della città, oltre i luoghi delle moschee e i canili di concentramento dei profughi dall'India. E' una periferia che annega nell'immensa calura del deserto, coperta della rossiccia sabbia e della polvere levata da novecentomila persone accatastate nella giungla di una selvaggia miseria preistorica. La industria del posto consiste nella raccolta degli sterchi per impastarli in mattoni da costruzione. Enormi aree di questa periferia senza età e quasi priva di configurazione umana, sono occupate da quei < mattoni » messi ad asciugare. Le infinite dirit- ■ 1111T11111111 11 ) 111111111M1111111111111111111111111 f 11 ture della muraglia carceraria si stendono come la cinta di un'antica città e sulla porta, sormontata da uno stemma con due grandi chiavi incrociate, si legge una breve iscrizione latina che fissa la data di nascita dello stabilimento, 1903. E' una prigione inglese, all'interno, ma la Begum Munawwar abita tre camere, addobbate apposta e servite da cinque donne. I tappeti più belli del suo palazzo di Junagadh sono entrati anch'essi in prigione e anche i t sari » più lussuosi del suo guardaroba e anche l'utensileria di argento e d'oro della sua toeletta. Io non ho potuto parlare con Munawwar Jehan, perchè le autarita non hanno voluto violare la legge protettiva della personalità femminile, di fronte all'uomo straniero. Ma, passando dinnanzi alla sua stanza, l'ho vista seduta su un divano: molle, pesante, bianchiccia, in un vestito di seta, agitare il ventaglio e chiedere qualcosa a una serva. La libertà provvisoria le è stata negata due volte, benché i suoi avvocati sostengano l'incapacità dello stato pakistano a giudicarla, in quanto sovrana straniera esercitante diritti di vita e di morte su una sua suddita e nell'interno del suo palazzo. E' una elegante questione giuridica che appassiona milioni e milioni di lettori di giornali di lirgua inglese in tutta l'India. La pena giusta per la Begum sarebbe l'impiccagione, ma nessuno pensa a simili eccessi; sebbene lo stato del Pakistan voglia dimostrare al popolo di non badare più a titoli e diritti storici ereditari dei principi e signori di una volta. Due mondi estranei Sui giornali e negli atti di giustizia la Begum Munawwar Jehan viene indicata col rango di Altezza Reale e il suo stato attuale è quello di c prigioniera della categoria A » con i privilegi accordati dalla legge a chi potrebbe essere assolto da ogni colpa. E non sto nemmeno ad accennare, qui, al meraviglio so ricamo di cavilli e argo- men'azioni, alle acute e perforanti selve di obiezioni, suggerimenti e suggestioni politiche degli avvocati della Begum. Lo Junagadh è territorio indiano, entrato a far parte delta provincia del Saurashtra, mosaico di Stati e staterelli con i loro nababbi, ragià e maragià, spossessati e adesso in rivolta contro le autorità di Nuova Delhi, Il Pakistan, come per il Kascemir e altri territori di frontiera, vuol considerare lo Junagadh come uno * Stato adottivo », contestando l'esito del « referendum » del X9$7; la Begum Munawwar e suo marito possono esercitare una larga influenza nei loro antichi domina e, in questo modo concorrere all'interesse politico del Pakistan che è quello di tenere in agitazione la provincia del Saurashtra (significa: ti cento regni n) mettendo spilli nella sedia degli indiani. In questo, la morte della povera bambina Banu, della servetta Banu, assume un importante valore di scambio tra la libertà della Begum e gli indiscernibili interessi della politica. La Begum, in ogni modo, non sani impiccata e si continuerà cosi a parlare del suo vaso, su per i giornali indicandola col suo titolo di sovrana e permettendole nella sterminata prigione di Karachi una parte del lusso del suo «falò. All'istesso modo si : continuerà a parlare dell'in] chiesta per l'assassinio di ! Z-Z'aZì^'L, -hi „„„ i "Menti, benché tutu sap ! P,an° {""° 6 nvila ■*« Piu chiarire. Avviene cosi quando antir i ch* costumi, secolari aggre: S">ti sociali, politici, la com- Ltaqquat Ali Khan, delle origini, delle cause e degli ' patta sostanza di favolosi \ privilegi si scontrano con la marciante, ma lenta e pigra, occidentalizzazione dell'Oriente. Si assiste con non so quale inerte maraviglia alla combinazione di due mondi estranei e inassimitabili, alla confusione di epoche e leggi le più distanti e opposte e, a dir la verità, la meraviglia si muta in sgomento al pensiero degli anni necessari a che un modulo civile regoli e trasformi popoli e condizioni umane così arretrate e diverse. A meno di non pensare, dinnanzi a questi enormi mondi in sfacelo, al fatale impulso e alla sintesi sbrigativa della rivoluzione. Giovanni Artieri