Si sfrenano le danze barbariche e lussuriose di Riccardo Aragno

Si sfrenano le danze barbariche e lussuriose IL GRAN BALLO A LONDRA DEL MONDO DI COLORE Si sfrenano le danze barbariche e lussuriose Ballerini esotici hanno invaso i palcoscenici inglesi - La negra Pearl Primus dalla raccapricciante spudoratezza - Miti antichissimi, riti religiosi, ossessioni, bagliori di una geografìa primitiva - (Jna nuova Carmen e il turbamento psicologico dei giovani - Tra fragori di tamburi e trombe sfilano popoli razze civiltà, urge la tragedia, e la rivolta, di milioni d'uomini (Dal nostro corrispondente) Londra Hi febbraio. Sui palcoscenici di Londra da qualche tempo in qua ni va verificando un fenomeno molto interessante. Il teatro parlato - dramma, camme- \ dia, e tragedia — va perdendo interesse. Gli si sostituisce un teatro di gesti, dì movimenti, di atteggiamenti, di piedi, di mani, di gambe, di braccia, di dorsi, di teste: un teatro danzato. Tutto ciò avviene, si capisce, lentamente e quasi insensibilmente. il teatro parlato II teatro parlato continua, da un punto di vista puramente statistico, a prevalere, ti repertorio moderno e so prattutto quello classico con Hnuano, naturalmente, a ri chiamare ogni sera nei scs santa o settanta teatri londi ncsi il solit° pubblico, che è composto' di ogni classe sociale, che arriva puntuale da ogni quartiere (e anche, su centinaia e centinaia di autobus noleggiati apposta, dalle città e dai paesi di provincia). Ma tutto sommato dalla sera della prima di Cocktail Party di T. S. Eliot il teatro drammatico non ha trovato niente di particolarmente interessante du raccontarci. Nè ha saputo ritrovare nel repertorio classico o antico o semplicemente vecchio qualche argomento cne "''bi-t »«« particolare ri- | sonanza nella nostra vita di oggi e ci dia qualche sensazione particolare. Christopher Fry, il nuovo poeta drammatico, ci ha offerto tre o qudttrp commedie in versi che hanno ciascuna tratti e battute affascinanti. Ma lasciano — dopo qualche giorno — soltanto la impressione di avere gustata una piccola noce fresca avvolta in un enorme mallo verde. Peter Ustinov, il simpatico giovanotto prodigio che scrive, recita, dirige, interpreta films (Nerone in Quo Vadis?^j inaugura mostre, corre a grande velocità su una immensa Mercedes e cerca di mantenere la linea giovanile in instancabili partite a tennis, ci ha offerto due commedie: L'amore dei quattro colonnelli, una piccola idea annegata in un mare di battute intelligenti e spiritose e una folla di caratteri in caricatura, e uno studio acuto, ma troppo affrettato, sulla tragedia di Pétain. Ma all'infuori di questi due, di autori « interessiti » non ce n'è più. Dall'estero non arriva qui ijran che, salvo un po' di teatro francese che non porta certo aria nuova. Gli ame ricani, forse gli unici che in teatro abbiano qualcosa da dire, sono venuti e ripartiti senza lasciar traccia. Da qualche anno insomma le parole: sembrano svanire senza interesse sui palcoscenici di Londra. E' il crepuscolo della prosa cui corrisponde invece l'alba di un'altra forma di teatro, anche più anttco, ma che sta prendendo una forma nuova: la danza. Le serate più belle, più emozionanti, le impressioni più profonde, da qualche anno in qua a Londra si ricavano dai palcoscenici dove il dramma e la commedia vengono espressi senza parole. Arrivano su questi palcoscenici, per parlare il loro linguaggio silenzioso agli spettatori inglesi le compagnie dal Nord, dal Centro e dal Sud-America, dalla Erancia e dalla Spagna, dalla Jugoslavia, dall'Africa, dall'India, dal Pakistan, ed anche dall'Estremo Oriente. Arrivano una dopo l'altra, a vol- te in folla, dagli studi di prova, per spiegare — con la grazia del gesto e la suggestione della musica — storie di popoli, di razze, di miti, di religioni, di superstizioni, di glorie e di miserie umane. Vicende di oscure tnitologie e piccole epopee popolari, aneddoti delicati come frammenti di poesia antica o riti religiosi superbamente barbari. Una preghiera indù Perchè il balletto classico oramai, su questi palcoscenici, è stato completamente superato da una nuova forma di danza. Ci se ne accorge andando ad assistere agli ultimi resti di quella che fu la superba compagnia originale dei balletti russi. Il colonnello De Basii, cui va il merito di aver ricostruito molti anni fa tra i fuggiaschi della rivoluzione russa una tradizione che a Mosca aveva portato alla perfezione l'antica scuola di ballo italiana, è giunto quest'anno a Londra col balletto puro. I suoi spettacoli avevano la grazia un po' ingenua che hanno i dagherrotipi di fronte alle fotografie moderne. Pochissima profondità di fuoco, una certa velatura nei contorni, un certo sbiadire nella stampa della negativa oramai vecchia. « Il lago dei cigni » è ancora « delizioso ■», così come sono ancora deliziosi i soprammobili vittoriani negli arredamenti moderni. Ma il suo delicato ricordo viene spazzato via dalla memoria non appena compare sullo stesso palcoscenico, qualche giorno dopo, una negra indemoniata, Pearl Primus, che con i suoi danzatori africani spicca salti di un'agilità quasi inverosimile, si abbandona a gesti di una spudoratezza che perde ogni significato « morale » ed appare soltanto animale e trasmette, con violenza del tutto selvaggia, alla platea la sensazione di una vitalità, di una forza di espansione, di liberazione, di affermazioni quasi raccapriccianti. Dinanzi a questa danza furiosa, perfettamente riprodotta e controllata ma ricca della barbarie originale, sembra di veder materializzate in palcoscenico quelle forze politiche, sociali, ideali, nazionali e rivoluzionarie che caratterizzano proprio quest'anno i movimenti africani. La rispondenza fra il mondo esterno e il palcoscenico dello Strana in queste sere c'è ed è prepotentemente chiara. Lo spettacolo è quindi emozionante, proprio perchè desta e chiarisce nel profondo dello spettatore delle impressioni vive e attuali. Su un altro palcoscenico sono apparsi in una indimenticabile interpretazione danzata della Carmen, Robert Petit e la Mariejeane (che ora sono a Hollyvood per lavorare in un film). La loro scenografia aveva il sapore leggermente decadente della raffinata pittura parigina, soprattutto quella pittura mondana che offre inesauribili trovate alla grande pubblicità delle riviste in carta patinata. Ma il loro modo di raccontare la classica storia aveva un mordente sessuale sfacciato e sfrenato che aiutava più di qualsiasi battuta di Sartre o di qualsiasi saggio scritto a capire il profondo turbamento mentale e psicologico, morale e filosofico dell'attuale gioventù del continente. E' comprensibile, quindi, come il pubblico sia sempre più affascinato da questo genere di spettacoli che — senza le limitazioni insite nelle parole — possono raccontare assai più di una storia personale; possono rappresentare intere correnti di pensiero, di religione, di civiltà. Viene in mente ad esempio l'incanto delle danze venute dall'India, Ram Gopal, con la sua compagnia di danzatori indiani, ci ha mostrato storie favolose di inseguimenti di gazzelle, o le semplici gioie di un villaggio in festa o la vicenda mitologica del Dio del Tuono, della Folgore, delle Stelle e delle Nuvole. Dòpo di lui è venuto Mrinalini Sarabhai, col balletto indù che aveva in programma una « preghiera» di una soavità che avremmo creduto riservata ad altre religioni e un combattimento nella foresta, fra un elefante e un serpente, concluso dall'arrivo di un leone affamato che sbrana l'elefante morente (tutti e tre gli animali erano interpretati da un solo danzatore, Chatunni Panickér) di rarissima efficacia tragica. Il segreto del successo Forse però colei che finora ha dato forma più precisa a questo nuovo genere di arte sui palcoscenici inglesi è Katherine Dunham, tornata qui dopo i trionfi di due anni fa con un programma quasi completamente nuovo, con la sua compagnia (negra) di « danzatori cantanti e musicanti ». Questa negra di Chicago, laureata in antropologia in quella Università, è il primo personaggio teatrale a dare un senso preciso e nuovo a questa danza drammatica moderna. Alcuni dei suoi numeri — come il Shango — sono presi di peso dai costumi dei popoli dell'America centrale. Il Shango, ad esempio, è la cerimonia in cui un gallo bianco viene sacrificato al dio Yoruba ed è una esatta riproduzione della cerimonia che viene eseguita nell'isola di Trinidad nel Mare dei Caraibi. Ma ve ne sono altri, come il Batucada o l'Acaraia o il Tango che sono veri e propri capitoli di studio sui costumi, sui pensieri, sulle usanze e sulla natura degli uomini, in determinate regioni: in questo caso la provincia di Bahia e certi quartieri di Buenos Aires. Con l'andare dei mesi, su questi palcoscenici, sfilano cosi dinanzi a migliaia e a migliaia di spettatori, non soltanto dei personaggi, ciascuno con la sua storia o il suo problema, ma addirittura i popoli e le loro civiltà. In un fragore di tamburi e tamburini, di trombe e di nacchere piombano sul palcoscenico dell'Adclphi i danzatori del Sud America di Joaquin Perez Fernande», cui fa eco sul palcoscenico del Covent Garden, la compagnia del balletto americano, con « Rodeo ■», un balletto che ritrae lo spettacolo tradizionale del sabato pomeriggio allestito dai cowboys per far gara di destrezza nel prendere al- laccio puledri, nel saperli sellare montare marcare e lanciare. E' un mosaico che si va formando a poco a poco, quasi per completare un mappamondo illustrato in tutte le sue sfaccettature dalle tradizioni locali dai drammi dagli amori dalle malinconie, dalle aspirazioni di milioni e milioni di personaggi. Lo spettatore, anche se non si preoccupa di enunciarlo, sa che la più grande tragedia, oggi, è il mondo stesso. Se ne accorge aprendo i giornali o la radio, ascoltando il vicino di casa o i dibattiti ai Comuni o i resoconti delle grandi conferenze internazionali. Ne trova conferma quando va al lavoro o quando va in vacanza, quando sta chiuso in casa o quando si mette in viaggio. E proprio qui, soltanto qui, sta il segreto del successo di questa affascinante serie di spettacoli di danza che si alternano sui palcoscenici londinesi in questi anni: nel fatto che, tutti assieme, essi hanno saputo raccontarci con queste colorite compagnie, con squadre di coreografi, di musicisti, di scenografi, di gambe, di braccia, di volti, di piedi di costumi favolosi eppure veri, il soggetto che oggi sta più a cuore a chi siede in platea o in galleria, la tragedia e la commedia del mondo. Riccardo Aragno