Leone XIII e la morte

Leone XIII e la morte Leone XIII e la morte Leone XIII è ancora cosi vicino a noi, e per quel che ce n'è stato detto siamo così al corrente della sua vita e del suo carattere che di lui possiamo parlare quasi come d'un nonno o d'un prozio. Tutti sappiamo che per raggiungere come pontefice gli anni di Pietro, e come Vincenzo Gioacchino Pccci il suo novantatreesimo genetliaco, gli ci volle una buona dose di quel sangue freddo ( qualcuno lo chiama egoismo) che pare sia il miglior farmaco per vivere a lungo. A questo proposito non ci mancano gli aneddoti, raccolti dalla viva voce di gente che frequentò U Vaticano d'allora. Ma chi non è un po' addentro nella letteratura francese del Seicento può non sapere chi fosse la marchesa di Sablé, egoista anche lei la sua parte e morta anche lei vecchissima. Era una di quelle colte e intelligenti « preziose » che promossero con la loro grazia l'affinamento e l'ingentilimento della società francese in quel secolo e che perciò non vanno confuse con le ridicole eroine della famosa commedia di Molière. Amica di letterati e scrittrice, ci ha lasciato un saggio sull'amicizia e un trattato sull'educazione dei ragazzi. Ma il suo più bel vanto letterario è il suo salotto, dove nel fervido gioco della conversazione nacquero via via le amare e corrosive Massime di La Rochefoucauld (cosi familiari poi al nostro Leopardi) e furon commentate e discusse. E fu proprio lei a scriverne la prima recensione, come oggi diremmo. Tra tante belle qualità élla aveva però una manìa, che condivideva del resto con una sua intima amica, la contessa di Maure: era paurosa dei contagi fino al ridicolo. Affabile, premurosa, piena di cuore, quando i suoi amici si ammalavano la marchesa cessava di vederli ed evitava ogni contatto anche mediato con loro, rifiutando di ricevere chi li avesse avvicinati. Per questa fobìa la motteggiava senza troppi complimenti la più celebre forse delle « preziose », quella Giulia d'Angennes, poi marchesa e duchessa di Montausier, che fu cantata da quasi tutti i poeti della sua generazione, tra i quali anche Corneille. Quando si ammalò di vaiolo una loro comune amica, la duchessa di Longueville sorella del gran Condé, Giulia non ebbe paura d'avvicinarsi al letto della malata, ma volle rassicurare la pavida marchesa annunziandole con una specie di scherzoso cartello una sua prossima visita: «Le condizioni che vi offro son queste! dopo essere stata in casa Condé lascerò passare tre giorni prima di venir da voi, cambierò tutti i vestiti, sceglierò un giorno che abbia gelato, non mi avvicinerò a voi più di quattro passi, non mi moverò dalla mia seggiola. Voi potete anche far accendere un gran fuoco nella vostra camera, far bruciare del ginepro nei quattro angoli, circondarvi di aceto imperiale, di ruta, di assenzio. Se queste proposte vi bastano senza che io debba tagliarmi i capelli, vi giuro che mi ci atterrò religiosissimamente ». Ma la sarcastica Giulia non era la sola persona che scherzasse sulla fobìa della marchesa. Il beniamino delle « preziose », il poeta Voiture, che esse chiamavano spagnoleggiando el Rey chiquito, cosi le scriveva a proposito di qualcuno morto di malattia contagiosa e da lui assistito fino alla fine: «Sappiate che io che vi scrivo, non vi scrivo di mio pugno, e che ho mandato questa lettera a venti leghe di qui per farla ricopiare da una persona che non ho visto mai». L'estremo addio della marchesa di Sablé alla contessa di Maure è così stilizzato dalla più gran linguaccia del tempo, Tallemant des Réaux, in una di quelle sue Storielline che ancora oggi si leggono con molto gusto, ma che più d'uno storico ha avuto il torto di accogliere a occhi chiusi: « Nel 1663, il giorno che mori la contessa di Maure, la marchesa di Sablé, sua vicina e sua buona amica, ma non al punto di assisterla al letto di morte, perchè a nessuno avrebbe potuto dare una tal prova d'affetto, mandò Chalais a prender notizie : — Ma, gli disse, badate bene a non dirmi che è morta. — Chalais arriva proprio al momento che quella esalava l'ultimo sospiro. Al ritorno: — Ebbene, Chalais, è davvero proprio,} agli estremi? Non mangia più? (La marchesa era molto ghiotta). — No, rispose Chalais. — Non parla più? — Neppure. — Non sente più? — Niente affatto. — Ma dunque è morta? — Signora, rispose Cha lais, almeno siete stata voi che l'avete detto, non sono stato io » Ma che cosa ha che fare pap" Pecci con la marchesa e con le 6ue amiche? Ci ha che fare perchè intorno a lui c'è una storiellina che ricorda molta da vicino, per il contenuto e per il tono, quella di Tallemant des Réaux L'ho trovata nei Souvenir* di Charles Benoist (Parigi, Plon yol. I, pp. 338-339)- Leone XIII, ormai molto più che ottantenne, era arrivato « quello strano e soccorrevole egoismo dei vecchi — dice Be noist — per cui quel che resta d'una sensibilità già logora si volge tutto alle sventure dei coeta nei o delle persone più in là negli anni, mentre quelle dei più giovani, se non li lasciano del tutto indifferenti, non li commuo vono in profondità ». Ed ecco che venne a morire, in età ancora relativamente fresca, il cardinal Galimberti. Era uno dei favoriti di Leone, che s'era giovato della sua abile opera diplo matica per riannodare felicemente i rapporti della Santa Sede con la Germania e nell'intimità amava chiamarlo « Don Luigi ». Per dare l'infausto annunzio al vecchio Pontefice si ricorse anche quella volta al suo medico curante, il dottor Lapponi. Questi, come se si trattasse d'una delle visite consuete, misurò la temperatura del suo augusto cliente, ne verificò la pressione, ne ascoltò il cuore, e poi, mentre con una mano gli tastava, il polso e con l'altra teneva l'orologio per contare i secondi: « Beatissimo Padre, — si arrischiò a dire — non vorrei essere apportatore d'una cattiva notizia. Ma non posso nascondere a Vostra Santità che non sono punto soddisfatto dello stato di salute di Sua Eminenza il cardinal Galimberti ». « Ah! — esclamò Leone — è dunque malato gravemente? ». « Sì, beatissimo Padre, molto gravemente ». « Ma è proprio in pericolo? ». « Temo di sì ». Il Papa piantò gli occhi negli occhi del dottore che si turbava, e incalzò: «E' morto? ». Il Lapponi sorvegliava sempre il polso e non riscontrandolo nè debole nè affrettato: «Beatissimo Padre, — confessò — non voglio lusingare Vostra Santità con una falsa speranza : Sua Eminenza il cardinal Galimberti non è più ». Leone parve abbattersi sotto il colpo e poi raccogliersi nei ricordi e nella preghiera. E il Lapponi per rimontarlo: « Quanti membri del Sacro Collegio ha già visto sparire Vostra Santità! Quasi tutte le creature di Pio IX. Molte delle proprie. Ma Vostra Santità sopravvive ai più robusti. Vostra Santità raggiungerà, supererà gli anni di Pietro. Festeggeremo i cent'anni di Vostra Santità». Allora il vegliardo si risollevò rianimato e disse tranquillamente: «Faremo il possibile! ». Ho tradotto quasi letteralmente dal testo di Benoist. C'è da domandarsi se questi, nello stilizzar l'aneddoto, avesse un ricordo più o meno preciso della storiellina di Tallemant des Réaux. Probabilmente no. Ci sono nella vita situazioni simili che hanno in sè il proprio ritmo e che suggeriscono a chi le racconti più o meno la stessa orchestrazione. Pietro Paolo Trompeo ifiimimiiiiitmiiiiiMiiiiiiiiiiiiiifiiiiiiiiiiMiini Studenti canadesi stanno facendo prove di alianti su sterminati campi di neve. itiniiiiHiniiiiniiHtiiMiiiiiimmiiiiiiiiiniMiiiiMiiiHiniHin

Luoghi citati: Germania, Parigi