Giro del mondo 1952

Giro del mondo 1952 TERRE E POPOLI TRA GUERRA E PACE Giro del mondo 1952 E' un viaggio che può durare molti mesi, non alla cerca di favole e fantasie ma di una realtà che si fa sempre più inquietante e dolorosa - Immagini dell'Africa: negri e negre in traccia di un sorso d'acqua - Visita a Damasco - La città dove camminò- San Paolo e dove dorme sotto la lampada d'oro il Feroce Saladino non è più un paesaggio di E' irta di mitra, circondata da campi di con centra mento, sorvolata dal fragore degli apparecchi da caccia sogno (Dal nòstro inviato speciale) Beirut, febbraio. Adesso son qui, a Beirut. E' la prima tappa del mio giro attorno al mondo. Non so quanto durerà; probabilmente molti mesi. Non so neppure se varrà la pena di spendere tempo e denaro per farlo. Potrei compiere il viaggio in sette giorni e mezzo, un decimo del tempo impiegato dal signor Phileas Phogg. 1 tclippers» della Pan American World Airways permettono di arrischiarsi a un simile gioco. Ma ehi ragionevolmente vorrebbe tentarlo.' C'è caso di rimaner presi nel capogiro d'un carosello lungo cinquantamila e più chilometri, calcolando le deviazioni al nord e al sud. E alla fine non saper più come fermarsi. Forse è per rallentare e impedire questo capogiro che la Pati American non permette ai piloti di compiere l'intero circuito. A quelli che fanno tappe troppo lunghe (come per esempio da New York, sino a Beirut) tocca di ritornare indietro e, questo m è parso come quando bambini per aver giocato a far la trottola in un verso, si rifaceva nell'altro, per recuperar l'equilibrio. Occorre dunque «rallentarsi » ed io dirò subito cheguardando cosi sterminata distanza da percorrere, conforta l'idea di una camera chiusa e l'indugiare nel pensiero di brevi, succosi, limitati viaggetti provinciali e il vagheggiare orizzonti pacifici o, al più, marsuetamcnte maestosi come ctuesto del bel golfo di Beirut, aperto dinanzi a me, mentre scrivo, col mare invernale tranquillo e grigio e verso settentrione la catena dell'anti-Libano col gigantesco Hcrmon, il monte dei cedri e delle nevi, il Libano domestico e favoloso della Bibbia. Si vorrebbe, per pigrizia, immaginare di averlo già compiuto questo grande viaggio sul filo dei paralleli e di starsene qui a rimeditarlo, mentre la risacca suona la i chitarra sotto là finestre. Invece c'è tutto da fare e da vedere, da annotare e da scrivere. Sovrattutto c'è da scegliere ciò che si deve scrivere, perchè ad ogni passo, ad ogni volgere di capo si raccatta il bandolo di incre- .| dibili storie umane. E così ieri l'altro mentre si volava sulla Turchia,, nel gigante- | sco aeroplano ohe m'ha portato qui (e si poteva volare seduti nel salone di riunip ne al primo piano dell'apparecchio, sovra grandi divani a ferro di cavallo, bevendo e muovendosi, mentre ragazzi giocavano sovra il pavimento con le loro aulomobilette meccaniche e altra gente andava e veniva cosi che di volare era distrutta anche la più semplice illusio- ne) un mercante siriano di aomnia arabica mi intratte- \ neva sulle sue esperienze 'tra la gente del Kenia, del \Tanqanìka del Sudan del- nelle foreste, spesso allat- itando un bambino e tenendo- ^ne un altro sul dorso. Mi t raccontò poi una storia, non (so se vera, ma orribile. Mi disse che tutta quella fatica vwne compensata con poco l'Angola: di tutti i luoghi torridi dove va a incettare le sue resine preziose. Una storia orribile Diceva del regime di fame nel quale sono tenute le donne che" raccolgono la gomma, lavorando diciolto ore più che alcuni sorsi d'acqua; poiché essi, negri e negre, dr. cono comprare l'acqua dai padroni e pagarla <fi lire per bidone. Esistono molti mezzi dì imbrogliarli sulla effettiva capacità dei recipienti e sulla loro impermeabilità. Quando non possono lavorare, quegli uomini e quelle donne (non so, ripeto, se del K.nia, dell'Uganda, del Sudan o dell'Angola) non ricevono acqua e debbono anda- „ „ cerar-,, la ner lunahis- re a ceri i.srla per lungMS sa miglia nelle savane spi- uose, dentro antichissimi baobab, scavati dal tempo e resi simili a pozzi o serbatoi naturali della pioggia; opera, appare evidente, della Provvidenza. Ed io confesso che dai mici ricordi del giro del mondo sarà molto difficile cancellare questa riga nera d'uomini e donne in traccia del loro albero dell'acqua. M'accorgo a questo punto di non aver sottolineato abbastanza agli occhi del paziente lettore come il viaggiare, oggi, sia uscito dalla vecchia e un poco irritante natura di esercitazione letteraria. Già nel '92 lo notavc Marcel Proust, a proposito di un libro sull'Asia del signor de Cholet. A una generazione sensibile all'inutile splendore delle cose — egli scriveva — ne succede un'altra preoccupata di restituire alla vita il proprio scopo, il suo significato, all'uomo il senso di aver creato in un certo modo il suo proprio destino. In altri termini trovava che il viaggiare andava considerato nel suo contenuto morale. Costantinopoli di Gautier Né si potrebbero diversa- mente guardare le cose e gli i uomini attorno a sé', oggi che la realtà tende a rattrappirsi in significati e aspetti sempre più diffusamente inquietanti e dolorosi e tutto ciò che viaggiando riusciamo a scoprire è che non esiste più posto per la forcola e la fantasia. Qui vorrei ricordare come trovandomi l'altr'anno a Costantinopoli in quel luogo del Corno d'Oro detto « Acque dolci d'Europa » mi accadde di rileggere in un'antica guida la descrizione che Teofilo Gautier ne dava, quando lui stesso vide quel miracoloso cristallo d'acque rigate dai caicchi dorati, specchianti enormi salici, cespugli di rose selvatiche e gelsomini in cascate dalle musciarabie delle ville sultaniali, e i prati coperti di tappeti persiani disseminati di molli donne velate, circondate di ancelle e di servi, sorveglia- te da pallidi ed enormi eunuchi... Era quello il l\iogo dove meriggiava la nobiltà turca, malgrado il vento del Romanticismo che scuoteva già la buona vecchia Euro- i;1111■ ir111m11sli11111111>i'■ im111<11111m111■ <■ th111n pa assopita nell'equilibrio del Congresso di Vienna. Cosa vedevo io, invece, su quella stessa riva, sotto quegli stessi salici, seduti su quella medesima erba, non più piegata dai preziosi tappeti di Smirne e di Scirazf Vedevo poveri mostrare le proprie piaghe, piccoli pescatori occupati a tirare dalle acque dei magri tonnetti e qualche triglia color corallo, vedevo affannarsi attorno alla Borsa del pesce una legione di facchini disputandosi i carichi, vedevo soldati stracciati e pensosi, poliziotti armati sino ai denti, ed altri strenui spettacoli della strenua e faticata vita dell'uomo povero e disperato di oggi; uguale a se stesso, in ogni luogo della terra; a Londra o a Parigi, a New York o a Roma, a Chicago o a Tokio; l'uomo avvolto in un dramma i cui contorni si affanna a scorgere e a capire, senza riuscirvi. Nè potrò cancellare quest'altro ricordo, che è poi appena di ieri. Ero andato a Damasco; in automobile da Beirut, per quella strada meravigliosa attraverso la montagna così dolce e profumata- di pini, di abeti, di arancéti; la montagna cantata come un'aspirazione remota e irraggiungibile del poeta del Cantico dei Cantici. Mi trovavo, dunque, sulla piazza Meriejeh presso la colonna di ghisa che al tempo di Abdul Hamid tu posta a ricordo del primo collegamento telegrafico con la Mecca e Medina. Pensavo di dirigermi subito alla Moschea degli Omayadi e sostavo, a piedi, un poco stordito dal viaggio in montagna a guardare la folla che tn queste città di Siria e del Libano è solo pallidamente colorita di Oriente. E' una folla vestita all'europea, la gran parte, traversata da tranvai elettrici e dal solito fiume di Iautomobili americane. Mal- grado ciò Damasco mostra i suoi duecentotrenta minareti e, certo, nel cortile della Moschea degli Omayadi, dinnanzi al cenotafio dove si conserva la testa di San Giovanni Battista, o nel silenzioso chiaro cimitero, chiuso in un piccolo giardino e 1111rmim11111111:mi 1111:m111m111111111111 rallegrato dall'acqua, dove dorme nientemeno che il Feroce Saladino sotto una lampada d'oro (è falsa, effettivamente; la vera la portarono via gli inglesi), — una certa suggestione di stile antico si avverte. Ma io, sulla piazza della Meriejeh, fui ad un tratto urtato e quasi travolto da sbrigativi agenti della polizia armati di mitra e pistola; ogni persona che in quel momento traversava la strada fu fermata e messa da parte mentre una velocissima automobile scortata da due jeeps irte di canne minacciose, passava. Era quella una inattesa ma istruttiva comparsa della storia contemporanea fra tutta quella storia che Damasco rappresenta, da San Paolo a Teodosio al Sultano Rosso. Dovetti pure notare con qualche sorpresa il contegno piuttosto riservato e serio della folla, al passaggio di quell'automobile e di quegli uomini armati: come di chi non voglia compromettersi neppure con uno sguardo. E così venni in chiaro che in quell'automobile si trovava il colonnello Adib Scickeckli, capo dello stato maggiore dell'Esercito e autore di un colpo di Stato di carattere militare, con la soppressione del precedente capo del governo e di molti suoi seguaci. Mi venne pure detto che nella Repubblica Siriana, dacché esiste, cioè 5 anni, si sono succeduti 19 governi e nessuno, negli ultimi diciotto mesi è durato più di cento giorni. La storia recente della Siria si riassume in quattro colpi di Stato e grandissimo numero di morti, tra le fazioni politiche. Preziosissimi artigiani Queste notizie, vagamente fluttuanti nella mia coscienza di distrattissimo lettore di giornali, mi colpirono. Io progettavo di parlare di Damasco come se vi fossi entrato nel 1917 al seguito del co-. lonnello T. H. Lawrence, dopo il trionfo della famosa rivolta nel Deserto. Avrei voluto inseguire il lato favoloso, religioso e allegro dell'Oriente arabo, con lo spirito di quei paesaggisti italiani dell'800 che l'Oriente prima ancora di vederlo l'avevano indovinato nella sua un poco retorica ma larga e colorita e facile poesia. Urtavo invece nel duro dramma d'oggi: mitra, dittatori, jeeps cariche di guardie, automobili blindate. Dovevo apprendere anche dell'esistenza di campi di concentramento, attorno a Damasco, dove quarantamila arabi rifugiati dalla Palestina vivono la vita delle baracche e dei recinti di filo spinato, affidati alla carità dello Stato siriano e dell'organizzazione americana di soccorso. Allora m'è parso inutile cercare nei mercati coperti, per i chiari cortili delle moschee gremiti di colombi e di scolaretti, lungo la ViaDritta pestata dai sandali di San Paolo, il senso favolo ■ so e uradevolmente oleoara- ìsu c yiaunvimenie oteogra- l fico di Damasco. Ho visto le sue tessiture di broccato, i I dove operai muti e pazienti lanciano migliaia di volte al <giorno la spola sull'ordito j per creare le inimitabili sto/- Ite di argento e d'oro, ho vi- | sto pure, per lunghe ore, il | lavoro dei maestri dell'in tar- sio In legno, in madreperla e argento: ebanisti e pittori insieme, indifferenti al tem- po e alle ambizioni umane, 111■ 11l11111;i■.irmm11h1111111 1111<m111111111 ; esseri felici chiusi nella cerchia magica del manufatto. Guadagnano quasi niente, mangiano quasi niente, si distaccano solo per un sonno di poche ore dalle loro lime sottili, dai loro martelletti. Su questa gente antica e silenziosa, su quei loro mestieri e sulle cose cosi belle e definite create dalle loro mani si allunga l'ombra dell'ora ambigua e drammatica che il mondo ha deciso di vivere. Nel grande cortile della Moschea degli Omayadi ho visto svolare spauriti i colombi grigi, più numerosi e addensati che sulla piazza IM M111 IMI 111 MIM IMMMMtMIMlHMlM MI IIMIMilf IK San Marco. Il grande spazio arcato, illuminato dal mosaico verde e oro di Teodosio il Grande, dominato dai Gasdue steli 'dei minareti, s'era I sall'improvviso riempito di fragore. Era il suono di quattro aeroplani da caccia dell'Esercito e a me parve di riconoscerlo: effettivamente vecchi caccia delle guerre italiane, venduti alla Siria alcuni mesi fa. Perchè, com'è ovvio, anche la Siria — questo Paese profumato dalla leggenda apostolica — vuole mettersi al passo coi temili. Giovanni Artieri besuassre11sodactaItlf ! I HI M M ti 111 Hill M111111T M11111 ! 111M MIM t M11M honolulu (Atti ^ n\-Ì-ì^to/k.>\l 0a ^los angeles - M ^messico^; CALCUTTA), n.va delhi < Qui è segnato l'anello del viaggio intorno al mondo del nostra inviato Giovatili! /\ru3il