Carlsen, l'eroe dell'Oceano di Filippo Sacchi

Carlsen, l'eroe dell'Oceano Carlsen, l'eroe dell'Oceano Se dal modo come ci si I ssveglia al mattino si puòjscongetturare come andrà la giornata, prendiamo a buon auspicio per l'anno nuovo questo, che nella prima settimana del 1952 il fatto più vivo e affascinante, l'avvenimento che ha tenuto stabilmente la prima pagina dai giornali ed al quale subito correva ogni mattina l'occhio del lettore, sia stato il dramma marinaro del Flying Enterprise. Per una volta tanto, dunque, non si comincia con un delitto, un processo, un divorzio o una battaglia, ma con uno stupendo episodio del dovere e del coraggio umano. Facciamoci le nostre reciproche congratulazioni. Il capitano Carlsen, lo sappiamo benissimo, non è il primo uomo al mondo che abbia obbedito eroicamente a una consegna, tenendo testa alle forze cieche e soverchianti della Natura. Non è nemmeno il primo capitano che abbia rifiutato di lasciare la nave. Ogni giorno, sul mare, sui monti, nel deserto, nel labirinto delle foreste, nel grembo nero della Terra, c'è almeno un altro che come lui lotta disperatamente con la distruzione e con la morte (a tacere dei soldati in guerra, alle prese coi flagelli che l'uomo, non pago di quelli già pronti, si fabbrica da sè). E tuttavia, poiché è lui che vediamo, e per una speeie di ardita invenzione teatrale del destino, l'oceano divenne per lui palcosceni co, sul quale fu possibile al mondo intero seguire per tutta una settimana, si può dire d'ora in ora, la sua disperata avventura, è naturale, anzi è giusto, che egli sia per noi in questo momento l'eroe di turno, colui che incarna il senso dell'eterna sfida alle potenze distruggitrici dell'uomo: in <:erto senso così rivendicando anche la gloria di quelli «he oscuramente combatterono e caddero. Tutto è straordinario in questo racconto. Intanto lo scenario dell'Atlantico, quest'oceano forsennato, aizzato dalla più tremenda burrasca che si ricordi da cinquantanni, con ondate alte come case, sulle quali le settemila tonnellate del Flying Enterprise vanno come una barchetta di carta va sulle rapide e i gorghi di un torrente. Poi le peripezie della nave: il vento che la disalbera e sfonda le sovrastrutture, la tempesta che la trascina a nord, il tentativo di riportarla sulle rotte del traffico per trovare aiuti; e subito il nuovo tremendo ciclone, una ondata che sfonda il boccaporto 3, la nave che si inclina e non è più manovrabile. Finché, il 27 sera, essendo raggiunta da altri vapori, Carlsen ordina ai dieci passeggeri e quaranta uomini di equipaggio di lasciare la nave. Così il capitano resta solo, in mezzo al mare in tempesta, sul suo bastimento che non è più che una povera chiglia che galleggia inclinata a 60, a 65 gradi: fino a sbandare paurosamente a 80 quando un'ondata più forte delle altre la piglia di rovescia. Tutti gli lanciano messaggi perchè venga via: sua moglie, i colleghi del cacciatorpediniere americano che dopo sforzi disperati lo accosta, persino i suoi armatori. Carlsen rimane. Vuole salvare il carico. Nelle conversazioni che ha per radio col co mandante del caccia spiega con molta calma perchè. « Noi comandanti — dice — abbiamo un mandato di fiducia per le vite e i valori che trasportiamo, e non possiamo rinunciare a questa responsabilità. Capirete, io ho un carico di 5 tonnellate di posta e 500 tonnellate di caffè: bisogna che faccia di tutto per salvarlo ». Sì, ci sono molti altri uomini di fegato, molti altri capitani che non abbandonano la nave, ma pochi capitani coraggiosi, di mare o di terra, hanno saputo parlare con i'ammirabile serenità e semplicità di questo modesto marinaio danese. Quando lo compiangono dice: « Be', dopo 23 anni di navigazione qualche guaio me lo aspettavo ». Non ha per nutrirsi altro che poco tè e pochi biscotti secchi. Dal « caccia » fanno di tutto per mandargli viveri, caffè e anche qualche rivista da leggere ( « Comincio a sentirmi un po' solo » aveva detto a un certo punto), ma, vista la difficoltà, lui stesso sconsiglia di ritentare: «Aspettiamo che migliori il tempo. Dopo tutto posso vivere anche senza, Voialtri ballate e finite per eoffrire più di me ». Si scusa di avere interrotto il lo ro viaggio, di tenerli lì a ballare sull'oceano. Parla con entusiasmo del la condotta dei passeggeri e dei suoi uomini prima del cogppsqdficnnmmsaclCntsgcmmugstdvFrccdvssrlnrpdsnpdtspnvTaAavngDl3mhrurnscmmdstznrèlnats salvataggio. Nessun ìsterl-1 smo, nessun segno di pani- co, un'assoluta disciplina e obbedienza. Solo un passeggero pianse una volta, non per paura, ma per dolore, perchè, sbattendo a terra, si era rotto un braccio. E qui Carlsen ha una frase deliziosa : « Everything was fine and dandy ». Pare la cronaca di una distinta riunione mondana. Tutti furono educati e dandy. Segniamo questo dandysmo in mezzo all'oceano in tempesta, col vento che soffia a cento chilometri all'ora come la frase memorabile del capitano coraggioso Carlsen. Ed ecco da ieri il capitano non è più solo. Un altr'uomo, un fratello è presso di lui. Fendendo montagne liquide, lottando con la corrente e coi venti, un rimorchiatore inglese, il Turmoil, si è portato sotto, ed un giovanotto dell'equipaggio, Kenneth Dancy, a rischio della sua vita, è saltato sulla nave. Un altro dandy ? Finalmente un cavo è agganciato alla nave. Forse il capitano Carlsen riuscirà a salvare le trecentomila sterline del carico, e gli armatori non perderanno la loro nave, che è valutata mezzo milione di sterline, e, non- perdendosi la nave, gli assicuratori del Lloyd risparmieranno le quattrocentomila sterline (quasi 700 milioni di klire) che avrebbero dovuto pagare in caso di affondamento. Qualcuno arriccia il naso davanti a queste combinazioni finanziarie che si profilano dietro all'epopea del Flying Enterprise. Certo, se arriva in porto, Carlsen avrà alla fine un bel premio. E anche il giovanotto che è salito sulla nave. E anche il capitano del Turmoil, e anche la ciurma avrà da bere. E con questo ? Anche Achille si prendeva armi, e schiave, e cavalli, e vasi preziosi. Epnure continuiamo ad insegnare ai ragazzini che era un eroe. Dunque non cigliamo dall'alto il capitano Carlsen. cmcdndc3lllllllllllllllllllllllll!llllllllllllllllllllllllllllllll che di sicuro si prenderà molto meno. Bello dunque tutto. E contemplando questo episodio meraviglioso, e sommando gli infiniti atti di generosità, di sangue freddo, d: fraternità, di eroismo che da capo a fine lo compongono, non si può a menò di concludere auanto meglio andrebbe il mondo, e quanto meno miseria e dolore albergherebbe, se gli uomini sapessero mettere nelle piccole cose e nelle modeste occasioni d'ogni giorno un centesimo, che dico? un millesimo dell'energia, del coraggio e della carità che riescono a mettere nelle grandi. Ma tant'è, è più facile purtroppo essere eroi in mezzo all'oceano, che essere giusti e umani a casa propria; è più facile mettere a repentaglio la vita per salvare uno sconosciuto in pericolo, che compatire il vicino e trattare con amore il dipendente. E' più facile essere grandi che buoni. E' apposta per questo, mi pare, che a un certo momento è venuto Cristo. Filippo Sacchi rm