Caso clinico di don Gaspare

Caso clinico di don Gaspare SI ESPLORA VX «OK«0 VHAXO Caso clinico di don Gaspare La cupa follia del conte duca-di Olivares (quellodel Manzoni) • Un grande grido: "Tutto è mio!,, - Odiato in vita e dopo morte - La leggendaria "congiura delle donne,, - Fastosa e triste fine tra gesuiti e poeti Don Gaspare de Guzman.l conte duca di Olivares, quello!del brindisi in casa don Rodri-lgo, l'idolo del podestà, l'arma'segreta del conte zio, il supre-j mo e inconscio persecutore di ; Renzo Tramaglino, giace sotto!la grave mora del giudizio del- \ la storia, che, come tutti sanno, jravvisa in esso uno dei princi pali responsabili dello sfacelo della potenza spagnuola. Pietose industrie di « riabilitatori 1 non potrebbero farci nulla; nè lo spagnuolo Gregorio Maranón che ha scritto questa avvincen- .te biografia dell'onnipossente ministro di Filippo IV i.11 conte ! di Olivares ■ Longanesi), revo-ica tale condanna, che tuttavia non esclude, anzi invoglia, come per ogni grande vinto Iella storia, a una più stretta conoscenza del personaggio. Nl'.l'Olivares, il difetto del genio politico, quello che ebbe il suo grande antagonista Richelieu, è compensato da una cupa, disperata, teatrale grandezza, quale fluttua dalle tele del Velasquez; da una forza che non ingrana, dolente e rientrata, che ancora una volta rimanda a don Chisciotte. Il Maranón, che oltreché scrittore è dottore e docente di medicina all'Università di Madrid tratta il soggetto come uomo e come <caso clinico»; e non sappiamo fino a che punto i lettori crocianamente educati potranno menargli buona questa mistura. Ma di certo don Gaspare fu tale un malato, tale un ossesso del comando (e gli veniva dalli rami, dal padre e dal nonno) da rasentare la follìa; e tutti i dittatori che sono stati, sono e speriamo non sa- ' archetipo. L'Autore parla di cicli, di fluttuazioni psicopatiche; ascrive l'Olivares al gruppo dei piatici (che sarebbero i massicci, con tendenza all'obe sita e alternative di esaltazione Ie depressione) contrapposto a quello degli astenici, freddi, taglienti e uguali come forbici dei quali il Richelieu fu uno; tenta col bisturi e palpa coi guanti di gomma uno di quei gorghi umani che Tacito espio- rà in due battute. Frutto d'un'operosa vigilia, la fortuna di don Gaspare, ch'era stato nominato < gentiluomo di camera » del principe eredita- rio, cominciò nel 1621 con la morte del vecchio re Filip- po III; allora, imbattendosi nel- l'Uceda, che con altri favoriti sarà da lui spazzato via, dal-!l'anima ebbra gli prorompe quel grido — «Tutto è mio!» che pare, rovesciato, quello di un mistico. Del resto, in comu- ne coi mistici della sua terra, questo grande ambizioso ebbe puntuale, sotterraneo, il tedio delia vita; e chi sfoglia il suoicarteggio col re, quel molle Fi- lippo IV che fu cera nelle sue mani, si sente rintoccare i la menti di un suppliziato, il « più- nonposso » dei santi A questi intimi cedimenti il Maranón giustamente attribuisce i suoi ; frequenti propositi di ritiro; |cile dai nemici gli furono in vece messi in conto di furberie. I capisaldi della politica dell'Olivares furono quelli stessi del Richelieu: la unificazione della monarchia e la repressione dei Grandi. Ma come gli stessi mobili in una stanza fan no un vedere e in un'altra unlaltro, quella stessa polìtica, ap plicata fuori tempo e con mezzi, sbagliati, sortì quei disastrosi effetti, in guerra e in economia, che la storia registra. Da cuil'odio, d'una intensità che ha pochi riscontri, che lo perse- guitò in vita, e che ancora lo incalza morto sotto specie di una leggenda che lo tinge tutto di nero. Qui il Maranón, che co- me tutti i biografi tradisce una certa tenerezza per il biogra- fato, trova lavoro; e alla voi- gare immagine d'un conte duca infarinato di stregoneria, car- neflce del Quevedo, mezzano del suo re, e disonesto, crudele e bigotto, contrappone quella più veritiera del ministro probo, dell'uomo austero e pio (ma con una punta di necrofilia, al- la Filippo II), del lavoratore titanico, del bel parlatore e tet-;terat0 e bibliofilo e altro anco- ral salva però sempre l'intima sconnessione, la sorda lima del- l'anormale. Personaggio tragico, interes- sa di lui soprattutto la fine, che fu nobilmente sventurata. An- c'ie qui la leggenda ha rica- mato, attribuendo la rovina del ministro alla famosa < congiu- ra. delle donne », cioè alla spinta concertata della regina Isabel- la, della duchessa di Mantova, della vecchia nutrice di Filip- Po IV Anna de Guevara, e della monaca suor Maria de Agreda, nel tempo che la sollevazionedella Catalogna colmò la misu- rà dei disastri nazionali. Chenell'odio che da tutte le parti to investiva, le donne avesserouna gran parte, è vero; l'Olivares ebbe sempre a noia il sesso gentile, al quale, anticipando su Napoleone, non avreb- be riconosciuto altra utilità che quella del partorire; ma che quattro streghe a congresso lo i potessero cucinare, è fargli tor to. Vero è che sentendosi fiinito, carico d'ombra e di noia, a si consegnò da sè. Per evitare - piazzate, impedito dalla gotta o affondati) in una portantina, la sciò il palazzo per un passag gio segreto; e quella sua fa mosa carrozza, dove tante volte a aveva sbrigato affari di Stato, - andò sola al ludibrio. Ma il re- gli usò i riguardi dovuti n una,Grande, e non gli tolse, col fa-'vore, quella pallida reverenza l che i deboli hanno poi sempree per coloro che li dominarono Aù Loeches, dove prima ebbe resi- lio, il conte duca si circondò dia!gesuiti e di poeti, s'occupò di agricoltura, ebbe la sua corte, i condusse una vita splendida e -; triste. I suoi nemici continua--ivano ad averne paura, e molti-a plicarono i libelli. Per aver vo- luto rispondere alle calunnie j coll'apologia del Nicandro, si ebbe un più rigido e remoto . esilio a Toro. Qui ricevette il colpo di grazia coll'annunzio che sua moglie, la virtuosa don na Ines, che aveva potuto con servare il posto di «cameriera maggiore» della regina, era stata licenziata. Disfatto dalla podagra, tormentato dai medi ci. morì di setticemia a 58 anni a j Apersero quel sro corpaccione, ; ne tolsero il cuore immenso, |gonfio^ di sogni; il fegato in¬ ! sassito, carico delle collere faimose. Poiché al vivo era stato ' vietato di lasciare Toro, il mor!*0 ^u fatto aspettare alcuni giorni, nel fetore. Lo trasportarono poi a Madrid, senza seguito, nel forte d'un rabbioso temporale che servì alle opposte allegorie dei molti nemici e dei pochi benevoli. Leo Pestelli

Luoghi citati: Catalogna, Madrid, Mantova