La crisi del film francese di Enrico Emanuelli

La crisi del film francese CHE COSA VUOLE IL PUBBLICO? La crisi del film francese Le possibili cause e i vari pareri - Distruggiamo lo schermo attuale - dice un giovane -; gettiamoci nel caos per creare un mondo mai visto - Ma i produttori parlano di cifre - Quest'anno essi avrebbero perso un miliardo, e lo Stato, con le tasse, ne avrebbe incassati cinque-Il prezzo dei divi rasenta la megalomania - E intanto il numero degli spettatori diminuisce (Dal nostro inviato speciale) PARIGI, dico.ubre. Da qualche tempo si sente dire che la cinemaLoyrafia francese è agli sgoccioli e che l'industria cinematografica sta per chiudere bottega. E' persino avvenuto un fatto straordinario: all'ultima riunione della commissione per la censura nessuno ha presentato copioni in esame. Su questi brutti argomenti tutti hanno già detto ti loro parere; e per non essere da meno degli altri ha cercato di dirlo anche un giovane, che mi ha l'aria di essere soltanto un arrivista. Questo giovane si chiama Maurice Lemaitre e la settimana scorsa, ospite di un cine-club di avanguardia nel Quartiere Latino, sono andato a vedere un suo film. Confesso che mi sono divertito senza capirci nulla; ami, mi sembra di poter dire che non c'era nulla da capire. Il titolo era: « Il film è già cominciato », e sembrava di assistere ad un lungo sogno, sullo schermo compariva soltanto un intricato scorrere di immagini e di colori e di segni geometrici come se veramente si sognasse a occhi aperti. Era una specie di caos, pieno di bravure tecniche e di trucchi fotografici, ma risultava cosi difficile afferrarne il significato che alla fine lo stesso autore tentò di spiegare quello che aveva voluto realizzare. Cominciò con parole confuse ad esprimere idee altrettanto confuse. Secondo lui si trattava di distruggere lo schermo nella sua forma attuale e di mettersi alla ricerca di uno schermo nuovo. Diceva anche che era necessario ricorrere ai suoni inarticolati e all'abbandono di ogni trama per raggiungere la creazione di un mondo mai visto. Poi aggiunse che avrebbe spiegato i motivi della crisi in cui è caduto il cinema francese d'oggi. Ma a questo punto capitò il finimondo. Molti si alzarono chiedendo la parola, anzi, senz'altro se la coiicessero e così cinquanta persone si misero a gridare per sopraffarsi a vicenda. Ci fu un primo alterco e coloro che cercarono, di mettere pace ne suscitarono altri. Allora comparvero due guardie, alzarono il bastoncino bianco ed ordinarono di sgombrare la sala. Mi meravigliai come quei giovani, tanto accesi nel difendere la sorte del cinema francese, obbedissero alla svelta, in ordine e in silenzio. In realtà nessuna delle idee sostenute dal giovane I ■ 1111111111111111111 f 11111111 e 1111 t i i 111 m 11111111 ; 1111111 Maurice Lemaitre può salvare la cinematografia francese. Essa deve avere l'acqua alla gola se, da una parte, i registi, gli attori, i produttori hanno costituito un « CoI mitato d'azione » e se, dall'altra, il Ministero dell'Industria e quello dell'Informazione hanno nominato due commissioni per vedere so è giusto aiutarla o difenderla; in altre parole più antipatiche: sovvenzionarla o proteggerla. Si perde così molto tempo in chiacchiere e nessuno ha il coraggio di guardare la situazione in modo onesto e poi dire che la cinematografia francese da qualche anno va male soltanto perchè non riesce a produrre buoni films. Essa zoppica come zoppicherebbe ogni altra industria che mettesse sul mercato un prodotto scadente, che nessuno vuole comperare. Il premio « Delluc » Può sembrare, scortese dire questo giudizio così crudamente. Ma alcuni francesi, sebbene in un modo curioso, lo hanno già detto anche loro la settimana scorsa. Infatti pochi giorni fa si è riunita la giuria del premio « Louis Delluc » che dal 1936, ogni anno, sceglie il miglior film nazionale. E' una giuria severa, onesta, non legata da vincoli commerciali, famosa per la sua indipendenza e sicurezza di giudizio. Ora, dovendo scegliere il miglior film di quest'anno, la giuria si è trovata nell'imbarazzo ed ha tranquillamente dichiarato che un vero, ottimo film francese non c'è, nessuno può stare all'altezza di quelli premiati negli anni precedenti. Come conclusione non ha assegnato nessun premio e come tacito consiglio ha fatto capire ai registi, agli attori, ai produttori francesi che devono fare di meglio per l'avvenire. Naturalmente registi, attori e produttori sono gli ultimi ad ammettere che la mediocrità del loro lavoro è la vera causa delle difficoltà di oggi. Se sto ai discorsi sentiti, in grati parte essi vivono con due denti avvelenati, il primo riguarda il cinema italiano e l'altro alcune far cilitazioni fatte al cinema americano. Essi sono increduli di fronte alla vitalità della nostra cinematografia, sostenendo che noi non abbiamo rivoluzionato nulla, e soltanto ripreso la scuola francese dei Carnè, dei Renoir, dei Feyder; ma detto questo, c'è da chiedere perchè non siano stati capaci di fare anche loro altrettanto. Per gli americani essi in- 111111111111 ; 1111111111111 r 11 r 111111111 e 111111 ; 1 ! 111111 l 11 r 11 vocano una reciprocità che, per adesso, non esiste. Si sa che negli Stati Uniti la legge proibisce il doppiaggio dei films e cosi chi vuole vede re quelli stranieri li deve accettare in versione originale. Soltanto diciassette films Jrancesi furono protei tati in America quest'anno, mentre una legge francese permette ogni anno il doppiaggio di 121 films americani. Queste ultime sono rivendicazioni di carattere generale e nobile, intorno alle quali si può discutere; ma nessuno si illude che potrebbero portare al risanamento della cinematografia francese. Un anno fa si sono chiusi gli « studi » delle Buttes-Chaumont e Francesco I; nel mese scorso quelli di Francoeur e adesso quelli di Franstudio. Oggi il 55 per cento dei mezzi di produzione sono cosi scomparsi, sei grandi società hanno troncato ogni contratto, la disoccupazione è aumentata in maniera impressionante. Quelli del « Comitato d'azione », per difendere se stessi e la cinematografia del loro Paese, dicono che il Governo caricandola di tasse e di imposizioni ha portato ogni attività a un punto morto. Dicono di essere di fronte ad operazioni economiche paradossali, ripetono alcune cifre e hanno ragione di ritenerle significative. Quest'anno' i diversi produttori cinematografici lia'.mo investito lf miliardi e mezzo e dal coinè vanno gli affari (lo dirò più avanti) essi pensano di riportare a casa soltanto 3 miliardi e mezzo, con la perdita quindi di un miliardo. Ebbene, attraverso le tasse sui biglietti d'ingresso, attraverso altre tasse che colpiscono il film quando è in lavorazione, su questa operazione che si conclude passivamente per chi la fa, lo Stato realizza un incasso di 5 miliardi. « Ci aiuta e ci strozza » Esiste una legge «d'aiuto», che scadrà nell'ottobre del 1955, ma non è sufficiente. Un regista, parlandone, ha detto: *Lo Stato ci porge una mano, ma con l'altra ci strozza ». Questo è il parere di Carnè e sono tutti d'accordo nel dire che ha ragione. I produttori sono poi tra i primi nel trovare che ha ragione e per mettere sotto gli occhi di tutti le loro difficoltà si sono decisi a rivelare alcune cifre. Per esempio, dicono che un film corrente, normale, modesto, di inedia produzione, senza troppe pretese, costa sui 50 milioni di franchi. E specificano: 10 milioni vanno agli interpreti, che non devono però essere dei fuoriclasse (Pierre Fresnay e Michèle Morgan vogliono ciascuno e per ogni film 10 o 12 milioni); un regista, che non sia però di grande fama, chiede S milioni; il soggetto ed il dialogo costano altri tre milioni; i tecnici, che devono essere almeno 30 come impongono le leggi sindacali, costano 7 milioni; l'affitto di uno < studio » costa 2 milioni per settimana, e ci vogliono come minimo sette settimane di lavorazione e cosi altri H milioni se ne vanno; la pellicola costa 2 milioni; le spese di montaggio e la colonna sonora portano via altri B milioni; le varie assicurazioni, le sociali e le individuali, costano ancora 2 milioni. < Vede — dice alla fine il produttore — sono stato modesto ed ho speso 43 milioni, per realizzare un film mediocre. Ma dove vado a riprenderli? ». Allora comincia ad illustrare l'altra parte della medaglia. Si sa bene che cosa può rendere un film medio in Francia. Si calcola che abbia un milione e 750 mila spettatori, i quali danno un utile lordo di 125 .milioni. Ma }i milioni se li prende lo Stato attraverso tasse, diritti fissi, eccetera; e 67 milioni restano come guadagno alle sale di proiezione. <A me — dice il produttore — ritornano a casa 17 milioni, ed aggiunga pure tutto il resto, non basta mai». Il resto al quale allude sono gli incassi all'estero (Belgio, Conuda. Svizzera, Egitto, Italia) che non vanno mai al di là dei 10 milioni, at quali bisogna aggiungere altri ti milioni * d'aiuto » statale. In tulio, ricapitolando, dopo aver speso 43 milioni ne ricava soltanto SS. Nuove esigenze Se le cose statino così, più nessuno in Francia vorrà realizzare un film. Un ministro, il signor Robert Buron, per niente preoccupato di tali cifre, ha senz'altro risposto: « Spendete troppo. In Italia i costi sono inferiori ai nostri del 1,0 per cento ». E.,H ha fatto capire che prima di rhiedere soccorsi statali bisognerebbe rivedere alcune voci delle spese cinematografiche. Secondo lui dare 10 milioni di franchi per un film a un solo attore, dare 8 milioni al grande regista, pagare 100 mila franchi per settimana anche l'ultimo dei tecnici, significa essere fuori della realtà economica e fare della megalomania sciocca. E' difficile dire da che parte sia la verità ed oggi nessuno è netla giusta posizione per dividere equamente i torti. Ma rimangono i fatti e sono davvero impressionanti: la chiusura degli c studi », la disoccupazione, la Commissione di censura alla quale più nessuno presenta copioni in esame. Un tale, con molto buon lllllllllllllItllItllllllItlltItllllllllllllMIIIIIIIIIIII senso, ha cercato le cause della decadetiza cinematografica francese in altri argomenti. Costui si è posta ia domanda: c Che cosa vuole il pubblicoT ». Oggt il pubblico non accetta più films con trame leggere e logore, ma sceglie e giudica: il pubblico oggi ha altri gusti ed altre pretese, non più tranquille e ingenue come quindici anni fa. Chi si propone simile quesito è Louis Daquin, un ottimo produttore, che sa sorridere anche nei momenti difficili. Egli ha la faccia gioviale, rotonda coinè una mela, gli occhi maliziosi e con lunghi giri di parole fa capire che il guaio maggiore consiste nell'offrire una merce che il pubblico non vuole più. Ancora una volta le statistiche ci aiutano: nel 191,7 nelle sale francesi ci furono 1,19 milioni di spettatori, nel 1950 furono soltanto 356 milioni e quest'anno tutti lo dicono che sono ancora diminuiti. Il problema sembra quindi molto semplice ed è quello di far tornare il pubblicò nelle sale richiamandolo con buoni films. iifa chi li produce ed i registi e gli allori rispondono che per farli buoni e non mediocri bisogna avere molto denaro e lo Stato deve provvedere in qualche modo: aiutando, difendendo, sovvenzionando e proteggendo. Nella discussione è facile sentire, da una parte e dall'altra, le note false e gli equivoci; ma ormai si continuerà a discutere per mesi e mesi senza risòlvere nulla. Enrico Emanuelli ItllllllllllllllllllllMIIIIIIIIIf lllllltlllltllllllllllltl

Persone citate: Carnè, Feyder, Francesco I, Louis Daquin, Louis Delluc, Maurice Lemaitre, Renoir, Robert Buron

Luoghi citati: America, Belgio, Egitto, Francia, Italia, Parigi, Stati Uniti, Svizzera