L'avvocato del diavolo di Enrico Emanuelli

L'avvocato del diavolo L'avvocato del diavolo fSDal nostro inviato speciale) Parigi, novembre. NeHo studio dell'accademico di Francia Maurice Garcon, uno tra i più famosi avvocati parigini, ad un certo punto mi distrassi. « Gli uomini — mi diceva Garcon — fanno presto a prendere cattive abitudini e la polizia del tempo di guerra ne ha lasciate parecchie come ricordo ». Su un cavalletto, davanti a me, vedevo un buon quadro di Utrillo, rappresentava una chiesetta etf una piazza con' due piccole, case, era un poetico ed ingenuo angolo di Parigi; alle mie spalle avevo urta « vetrina » con un centinaio di pezzi stupendi, erano ninnoli, statuette, misteriose scatole giapponesi, ed avendola appena intravista desideravo osservarla meglio; ai miei piedi c'era un bel cane da caccia, si era mesn seduto sulle gambe posteriori, teneva alzate le anteriori e, così composto, mi scrutava. Sulla poltrona, alla mia sinistra, Maurice Garcon, magro e lungo come un palo telegrafico, aveva attorcigliato la gamba destra intórno alla sinistra. Scrivere che l'attorcigliava può sembrare una inesattezza. Ma ha le gambe tanto lunghe e tanto magre, che sovrapponendo un ginocchio all'altro ed ancorando la punta della destra alla""caviglia della sinistra, la sensazione è quella; ed infine credo proprio sia così. « La guerra — diceva — ha lasciato veramente brutte abitudini ». Con le mani scarne e gialle si lisciava di quando in quando i capelli grigi, ugualmente distribuiti da una parte e dall'altra sulla testa. Allora mi ricordai che egli è un appassionato cultore dei giuochi di prestigio. Il suo gesto mi riportava alla mente quello dei prestigiatori quando vogliono dimostrare al pubblico d'avere le mani libere e vuote. Mi distrassi ancora di più. « I pericoli che noi dobbiamo combattere — stava allora dicendo Gar?on — sono tre. Le perizie scientifiche, gli interrogatori della polizia e la buona fede dei testimoni ». Ero arrivato da lui un'ora prima. Egli abita una vecchia e quasi misteriosa casa nella quale nessun inquilino, come è uso a Parigi, mette alla porta la targhetta con il proprio nome. Il portinaio era assente ed io dovevo esplorare i vari piani. Salivo su una larga scala circolare, come fossi stato nell'interno d'una torre. Ad una porta, vicino al campanello, leggo un avviso: «Qui non c'è nessun avvocato ». Ad un'altra porta: «L'avvocato che cercate non abita qua ». Riferendomi proprio a Maurice Garcon pen sai: « Avvocato del diavolo », ma devo confessare che non dimostravo nessuna originalità. I suoi colleghi sono soliti chiamarlo a quel modo e credo che questo avvenga da venticinque anni in qua, da quando scrisse uno -stiv dio storico e critico intitolato « Il Diavolo ». Indovinai la porta, entrai e mi si fece passare in un salotto. Era quasi notte. La stanza in cui mi trovavo era deserta ed il silenzio diventava angoscioso. Forse al mio stesso posto si era seduto qualche settimana prima il giovane brasiliano Da Silva, accusato d'avere avvelenato la moglie; forse nella mia stessa poltrona, o su quella di fronte, si era seduto Girard, accusato d'avere ucciso il padre; forse il colonnello Hardy, con le sue misteriose storie d'eroismi e di tradimenti e d'amori, era passato di qui; o forse gli amici, i parenti di Glozel, di Mestorino, di Guyot, che sono i grandi criminali difesi da Gargon, erano rimasti fra queste pareti, rimuginando quel che dovevano confidare all'avvocato. Al di là di una porta nascosta da un tendaggio verde, sentivo chiacchierare. Udivo due voci, una distinta e chiara, l'altra era sottile, nervosa, sfuggente. Cominciavo ad avere la sensazione d'essere stato dimenticato, quando il tendaggio verde si apri come un piccolo sipario: «Vi ho fatto aspettare, caro amico, la colpa non è mia », mi disse Mau lice Garcon e riconobbi una del le due voci di poco prima, quella che era chiara e distinta. Aggiunse: «Tutti i giorni è cosi, sono occupato sino alle otto di sera. Da vent'anni non esco più la domenica. La domenica lavoro per conto mio, ai miei libri». Andò alla scrivania, aprì un'agenda, vi scrisse qualche appunto ed in quei pochi istanti io guardai la « vetrina » piena d'oggetti giapponesi, l'avorio e l'oro scintillavano allo stesso modo. Alle mie spalle Gargon diceva: « Ieri mattina ero ad Algeri, dopo domani dovrò andare... ma questo a lei non interessa, d'altronde ha ragione ». In quarantanni d'avvocatura Maurice Garcon ha fatto una lunga esperienza di « casi ». Ma appena gli domandai quale più l'avesse colpito dal punto di vista umano e non criminale, si portò ancora le mani sui capélli e se li lisciò parecchie volte..Pensavo ricordasse quelle quattro infermiere, che durante la guerra per pietà uccisero sette ammalati gravi, prima d'abbandonare un ospedale; o quel magistrato, di nome Baffos, che dovette risolvere un grave caso di coscienza: assoggettarsi e condannare s morte, dopo . un processo-farsa impasto dagli occupanti tedeschi tre uomini della Resistenza, oppure lasciar uccidere cento ostaggi, che la Gestapo già aveva rinchiuso a Draiu-y. 11 pubblico ministero aveva chiesto la condan na a morte del giudice Baffos, le parole di Gargon riuscirono farlo assolvere. Il grande avvocato preferì non rispondermi subito. Riprendendo l'inizio della nostra conversazione, disse: «Poche settimane fa ave vo il caso Da Silva. Una perìzia identifica pareva avesse trovato k prova dell omicidio. Un altra Éerizia, fatta con più .intelligenza, tiyelò il contrario. Da Silva, può sg ritenersi abbastanza fortunato». Si alzò per rispondere al telefono, vidi che era un apparecchio antiquato, una cassetta di legno chiaro; poi chiamò la segretaria, le annunciò qualche cosa, lui stesso annotò qualche cosa sull'agenda e tornò a mettersi in poltrona. « Aggiunga — riprese a dire con stanchezza — i testimoni in buona fede. Sono pericolosissimi. Credono d'aver visto, sostengono di sapere, tramutano le loro impressioni in fatti precisi. Ho salvato Girard, eppure tutti erano venuti a dire, in buona fede, cose che lo davano come sicuro assassino ». Ancora si alzò per andare al telefono e rimase con molta pazienza in ascolto, dondolando il capo. « Ma queste sono storie vecchie », disse tornando sulla poltrona. Lisciandosi i capelli mi domandò: «Lei ha mai subito un interrogatorio? ». In quel momento guardavo il quadro di Utrillo, mi sembrava troppo illustrativo e forse si salvava soltanto perchè dipinto con animo candido. Ma dopo decine e decine di quadri come questo, possibile ritenere ancora candido l'animo del vecchio Utrillo? Rispondendo alla domanda che 10 rivolgevo mentalmente a me stesso ed a'quel'i che mi aveva fatto ad alta voce Maurice Gargon, dissi: «No». Il grande avvocato ancora si portò le mani sulla testa e, lasciando ricadere la destra sull'orecchio destro e la sinistra sull'orecchio sinistro, si lisciò i capelli. « Allora — riprese — si ricordi che nei tempi di guerra gli interrogatori si facevano in maniera brutale, inumana, con la violenza, estenuando il presunto colpevole e strappandogli confessioni inaccettabili di cose incredibili. Molti di questi sistemi valgono ancora oggi, sono le brutte abitudini che gli uomini adottano presto. Credo che oggi si faccia cosi in ogni parte del mondo, ed è una vergogna. Lo si fa anche dove meno lo si sospetterebbe, in Europa ed in America ». Guardavo la gamba destra di Maurice Gargon, che sempre più cercava di avvinghiarsi alla sinistra. Una seconda volta pensai di lui: « Avvocato del diavolo ». perchè mi sembrava.difficile portarlo là dove ib desideravo, cioè sulle sue esperienze e sui ricordi d'assise. Stava già divagando sui suoi amici pittori, scivolava sui suoi processi letterari, quando sconfisse Sacha Guitry per esempio, ed io dovetti dirgli: «Insomma vorrei che mi raccontasse quale processo le diede la più forte emozione ». Rimase in silenzio per qualche istante, come fosse veramente im barazzato nel dover scegliere fra mille ricordi. « Be', oh, be-be », borbottava lisciandosi sempre capelli con le palme delle mani ossute e lunghe. Poi di colpo disse: «Sì, una emozione la provai 11 io settembre 1943, i tedeschi erano a Parigi e comandavano. Io fui chiamato a difendere cinque ragazzi, cinque studenti di Poitiers, uno di diciannove anni, tre di venti, l'ultimo di ventuno. Avevano ucciso un- collaborazio nista e la Gestapo voleva la loro testa. La partita era così dispe rata che già prima dell'udienza avevo fatto firmare ai ragazzi la domanda di grazia. L'avevo in tasca, mentre parlavo in loro difesa ». « Ma fu inutile, immagino, perchè la loro testa fu salva. Con quale argomento? ». « Dissi press'a poco che quei ragazzi erano prima di tutto vit time di avvenimenti preparati da noi, loro padri. E poi ai giudici dissi di ricordare che la sentenza sarebbe stata soltanto un prologo e che il giudizio definitivo l'avrebbe dato la storia. Dissi: la storia dirà l'ultima parola sul grave motivo che oggi ci riunì sce in questa sala e la sua deci sione sovrana riguarderà non sol tanto gli accusati, ma anche la vittima e soprattutto noi stessi » Nel pronunciare le ultime parole si era alzato in piedi. Involontariamente il braccio gli si era disteso in un gesto drammatico, la voce era di colpo diventata grave, insieme minacciosa e tranquilla. Aggiunse, dirigendosi verso la scrivania : « A quelle parole i tedeschi presenti nell'aula se ne andarono offesi, ma la vita di quei ragazzi fu salva. Ho conservato la domanda di grazia che già avevano firmato. La vuol vedere? E' un documento curioso ». Mentre rispondevo di sì, cominciai a capire perchè quest'ilo mo, sollevando la testa dalle sue lugubri carte, dove si legge Sem pre di morte, d'assassinio, di la vori forzati, di tradimento, di fu cilazione, di ghigliottina, voglia vedere un innocente paesaggi iipinto da Utrillo e quella « vetrina » piena di leggere, dorate e fantasiose giapponeserie. Enrico Emanuelli

Luoghi citati: Algeri, Europa, Parigi