Gli azzurri domani a Firenze contro la nazionnle svedese

Gli azzurri domani a Firenze contro la nazionnle svedese Gli azzurri domani a Firenze contro la nazionnle svedese Due volte spogliata e due volte rifatta, la aquadra scandinava non dovrebbe più rappresentare per i nostri un ostacolo insormontabile II primo incontro intemazionale di una stagione, ha sempre un sapore particolare. Il sapore della novità per la formazione della squadra, per il comportamento degli uomini, per le accoglienze dell'ambiente, per l'esito di uno sforzo che, come dice il nome, è nazionale. Il grado di levatura tecnica di un paese come il nostro, che, per quanto riguarda il campionato, ha fatto largo posto, nelle sue file, agli stranieri, non può essere giudicato che dalle prestazioni della squadra nazionale. In certi altri paesi, come l'Inghilterra per esempio, come la Svezia stessa, il valore delle migliori compagini di campionato, può e deve rappresentare un indice, al riguardo. Problema complesso Da noi, no. Noi abbiamo perso il diritto di citare le nostre unità di grido come esponenti di quanto sappiamo fare nel paese, in linea tecnica. Non lo sappiamo nemmeno noi che cosa valgano il Milan senza gli svedesi e la Juventus senza i danesi. Campionato e Nazionale non camminano di pari passo in Italia, e tanto meno puntano ad uno stesso scopo. Il primo dovrebbe essere la fucina, per la seconda. E' teatro invece, con scopi suoi speciali, che, dice anzi qualcuno, la Nazionale disturba. Che la disturbata, dai modi di condotta del campionato, sia invece la Nazionale, è cosa che non ha necessità di dimostrazione. Si auspica, si vuole una Nazionale forte. Finché il campionato ha la regolamentazione attuale, noi non Vavremo. Beninteso, questo non è che uno degli aspetti del complesso problema dell'unità che deve rappresentare i nostri colori, ma di esso va tenuto conto: perchè getta drasticamente la sua spada sulla bilancia. Prendiamo dunque le cose come sono. La stagione che ha il suo inizio domani, vede gli Azzurri affrontare gli svedesi, gli svizzeri, i belgi e gli inglesi. Il primo e l'ultimo incontro in casa, il secondo ed il terzo fuori — i primi due ora, in questo umido autunno, il terzo prima che giunga la primavera, il quarto alla fine della stagione. Una cosa va detta subito: che lo scaglionamento delle difficoltà è ben fatto, perchè ci manda all'estero, in vero ambiente non nostro, prima della prova finale, che è la sola veramente ardua, e perchè le tre gare iniziali possono servire da preparazione per l'ultima, l'Inghilterra a Roma. Perchè noi siamo dell'idea che la Svezia a Firenze non rappresenti per gli Azzurri — ad usare un termine alpinistico — una difficoltà nè di sesto, nè di quinto, nè di quarto grado. Una difficoltà la è, si — come lo sotto tutte — perchè tutte le gare vanno prese sul serio, e perchè l'andamento e l'esito di una partita di calcio sono sempre delle incognite. Ma nulla più. La Svezia attuale, intendiamo dire. Le considerazioni che pongono l'undici svedese fra i primi del ■mondo," sono un po' anacronistiche. Basta che ci poniamo le mani in lasca — o, per essere più precisi, che le poniamo in tasca alle nostre società — per accorgercene. Quanto la Svezia ha prodotto dì meglio, in due generazioni di giocatori, è qui da noi. Aveva una Nazionale composta di uomini di eccezione, una squadra veramente grande: glie la abbiamo portata via a metà. Ne ha formata un'altra — che già non aveva più il valore della prima — e glie la abbiamo portata via per tre quarti. Ed il resto, lo hanno fatto altri Paesi d'Europa. Un esercito di atleti Pretendere che, con tutta semplicità e nello spazio di un anno, essa ne fabbrichi una terza, pare un po' troppo. La capacità produttiva della Svezia è grande, ma fin li non arriva. Si basa, questa capacità, sul vasto esercito di giovani dal fisico sano o rigoglioso, che gli sport naturali e basilari — atletica, nuoto, montagna — mettono a disposizione del calcio. Ma il talento per il giuoco, l'intelligenza, la pratica, l'esperienza per la palla rotonda, sono cose che non si improvvisano, in tanti uomini quanti ne esigono una squadra o più squadre. Date alla Svezia una serie d'anni — e non andate a strappare dalle mani dei suoi coltivatori i virgulti prima che diventino pian¬ te — ed allora una aquadra del valore di quella delle Olimpiadi di Londra la rivedrete in campo. Ora, no. Si basano, molte delle considerazioni che si fatino sul valore attuale ed effettivo del calcio svedese, su quanto avvenuto a San Paolo del Brasile un anno e mezzo fa. Ci si dimentica, al proposito, che il motivo del risultato di quella disgraziata partita va ricercato in primo luogo, in linea assoluta, a titolo sicuro, negli errori di gravità eccezionale e di tipo svariato, commessi da parte italiana e non dai giocatori. E' cosa precisa, che non soffre contestazioni. Si dimentica, in secondo luogo, che quell'undici nordico non esiste più: perchè, a frammenti, lo vediamo noi qui, nel nostro campionato, ogni domenica. E, dimenticando, non si tiene presente una constatazione di ogni giorno: che la seconda edizione di squadra non vale la prima, che Palmer cioè non è Cren, che Stellali Nilsson non è Liedholm (che giocava ala allora), che Jeppson ?ion è Nordahl, e via di questo passo. La squadra che l'Italia contrappone agli svedesi, non è nè la squadra dell'opinione pubblica, nè quella dei consensi tecnici aperti. Lo è solo in parte, cioè, a individui isolati, a settori, non come compagine. Casi di forza maggiore hanno impedito di fare quello che si voleva, bisogìia dirlo: e le stroncature che la < fucina > del campionato distribuisce riguardano sempre gli attaccanti, proprio dove stiamo male. Ma sono i criteri di scelta degli uomini, quelli che più lasciano perplessi. Concetto errato Il concetto è questo. Privati, da guerra e da sciagure, della nostra squadra, noi dovevamo costruirne un'altra. Pezzo per pezzo, con pazienza, creando una struttura base e poi lavorando a migliorarla di volta in volta. Sono passati tre, quattro stagioni, e siamo sempre allo stesso punto. Non cerchiamo di formare un organismo forte, logico, consistente, che resista al tempo ed alle avversità, lavoriamo per vincere ogni volta come possiamo quel determinato incontro. Operiamo alla giornata cioè. Quel pezzo della macchina che è l'ala sinistra, p. es.: non c'è, come ideale, e noi prendiamo un elemento dalla destra, dal centro, e lo mandiamo a turare il buco, un elemento che il giorno dopo, in campionato, torna al posto di prima. Dei buoni terzini ne abbiamo, grazie al cielo. No, non si cerca di dare ad uno fra i tanti l'esperienza internazionale che è desiderata: si sposta, per l'occasione un centro mediano. Due casi, che potrebbero essere quattro, cinque. Oli spostamenti sono spiegabili in chi difende una posizione, in una fittalo di Coppa, iti partita da vincere ad ogni costo. Ma noi invece, andiamo all'attacco di una posizione, vogliamo, dobbiamo costruire una macchina nuova. E pare che, ogni volta, si pensi che la vita termini al fischio di chiusura di quel determinato incontro. E, come costruzione dell'organismo, siamo sempre al punto d'inizio. Sono cose che andavano dette. E che non vogliono, per carità, intaccare il morale degli uomini prescelti. Meglio dirle, in questa occasione, queste cose, se mai. Perchè gli undici uomini che vanno in campo sono in grado di dare all'Italia la vittoria che tutti indubbiamente desiderano. Lo sotto senz'altro, nel loro complesso, per doti tecniche, per velocità, per esperienza, per capacità intrinseche insomma. Sarebbe una delle più grosse sorprese dello sport del dopoguerra se questa Sveia che ha provato, colle sconfitte subite dalla Norvegia, dalla Danimarca, dall'Islanda, sù nell'ambiente suo, lo stato di convalescenza iti cui si trova, venisse a battere undici uomini nostri, qui, in terra lontana. Vittorio Pozzo

Persone citate: Casi, Cren, Liedholm, Nazionale, Nordahl, Palmer, Stellali Nilsson, Vittorio Pozzo