I BAFFI DI FRESNAY

I BAFFI DI FRESNAY I BAFFI DI FRESNAY (Dal nostro Inviato spedate) Parigi, ottobre. Finalmente Roland Laudenbach venne a dirmi che potevo vedere e parlare con suo zio, con Pierre Fresnay. Oggi Fresnay è il più grande attore francese; ed anche gli stranieri, che non l'hanno mai visto sul palcoscenico, lo conoscono almeno attraverso il cinema. Egli ha « girato » una cinquantina di film. Chi non è più giovane se lo ricorderà ne La Grande Illusione, dove compare come un aristocratico; i giovani lo ricorderanno in Monsieur Vincent dove, appunto, recita la parte di San Vincenzo; e gli ultimi arrivati lo hanno visto in Dio ha bisogno degli uoimni, dove interpreta uno strano, ma potente personaggio, in bilico tra saggezza e follia, tra inferno e paradiso. Aggiungerò un'altra notizia: Pierre Fresnay è protestante. Quando alcuni sacerdoti gli domandarono come aveva fatto per^ capire e rivivere un santo, egli rispose con semplicità: «Si fa come ho fatto io». Non è una frase dettata dalla superbia. D'altror le la particolare situazione in uai vidi Fresnay serve molto bene per spiegare quanto intendeva dire. Accettando l'invito di Laudenbach, insieme andammo in uno « studio » cinematografico, alla periferia di Parigi. Si attraversò un capannone, si superò un cortile, entrammo in una casa modesta. Quando Laudenbach apri la porta d'una stanza al pianterreno, e si fece da parte per lasciarmi passare, vidi Pierre Fresnay seduto davanti ad uno specchio. Sembrava un uomo tranquillo, entrato per caso pochi minuti prima nella bottega d'un parrucchiere e che si era levato la giacca ed aperto il colletto della camicia per meglio farsi radere la barba e tagliare i capelli. Infatti un tipo in piedi, con indosso il càmice bianco, gli stava vicino. Era il truccatore e Pierre Fresnay gli fece cenno di smettere un attimo il suo lavoro. In quel momento mi ricordai d'un aneddoto, che mi avevano raccontato. Risale ai tempi in cui Renoir girava La Grande Illusione. Allora Jean Gabin, che recitava al fianco di Fresnay, diceva di lui: «Mette sempre soggezione. Quando gli sei di fronte ti pare, ad ogni momento, di fare qualche cosa che non dovresti fare ». Ma erano preoccupazioni fuori posto. Pierre Fresnay si era alzato dalla seggiola e, per salutarmi, mi veniva incontro con tranquillità, dicendo qualche rapida parola per scusarsi se mi riceveva a quel modo, in quel momento, in quella occasione. Di certo era sincero e doveva ripugnargli nel mostrarsi in un camerino, durante il lavoro del truccatore, in attesa d'essere chiamato per girare una scena. Sul momento giudicai tutto ciò un eccesso di buona educazione; più tardi dovevo capire che il motivo era ben diverso. Egli stava per trasformarsi, per diventare un personaggio: forse per pudore gli spiaceva mostrare come ciò sarebbe avvenuto o forse, per gelosia di mestiere, gli seccava che io assistessi a tale sua metamorfosi. Pierre Fresnay era tornato alla sua seggiola, davanti allo spec chio, ed il truccatore aveva ri preso a spalmargli sul viso • una crema giallastra. « Io ricevo poche lettere — disse ad un certo punto l'attore —, in questo sono del tutto diverso da altri miei colleghi. Ma stamattina ne ho ri cevuta una abbastanza curiosa ». Raccontò che un filodrammatico di provincia gli aveva scritto per chiedergli un consiglio pratico. Quell'ignoto doveva recitare, non ricordo in quale tragedia del repertorio classico, la parte di un vecchio e da Parigi gli avevano mandato una magnifica barba, che però l'aveva molto preoccu pato. Infatti era tanto abbondati te e lunga che per sorreggerla bisognava legarsela anche alle orecchie e così quel filodrammatico nell'imbarazzo si rivolgeva all'esperienza di. Fresnay. « Gli ho telegrafato — concluse velocernente l'attore — di alleggerir la tagliandola a metà ». L'aneddoto mi sembrava ridicolo ed infatti stavo per sorridere quando Fresnay aggiunse con gravità: « Forse non gli ho dato un buon consiglio. Forse c'era un'altra soluzione ». Si capiva che non era una battuta detta per scherzo e, per qualche attimo, mi parve che realmente Fresnay cercasse una diversa soluzione. Il truccatore, intanto, gli aggiustava i capelli, gli lisciava le sopracciglia, continuava a manipolargli il viso preparandolo alla ripresa cinematografica. Dopo pochi minuti Fresnay avrebbe dovuto interpretare una brevissima scena d'un film in lavora' zione. Mi avevano già raccontato di che cosa si trattava. Protagonista del film è una buona e tipica coppia borghese e, per di più, provinciale. Lei è sempre stata chiusa in casa, non ha mai desiderato il più piccolo viaggio; lui invece, ma soltanto per darsi delle arie, ha sempre brontolato contro il destino, che non gli ha mai permesso di vedere il mondo. I due hanno una figlia; alla fine della guerra questa figlia sposa un ufficiale americano e va ad abitare a New York. Nasce un bambino ed i due nonni frati cesi sono invitati al battesimo Qui il capovolgimento di situa_ zinne: la vecchia nonna, che mai aveva desiderato abbandonare la • piccola città di provincia, si en tusiasma, vuole ad ogni costo partire; lui, dopo aver tanto brontolato contro il destino, adesso sostiene che quel viaggio, per di più in aereo, è una vera pazzia. Ma, per ora, come lo ve devo io. Pierre Fresnay non ap pariva di certo un vecchio bor¬ tlltcpctdtcstAdgglndtslcutuvFgtas"ges ghese di_ provincia, spaventato all'idea di dover andare in volo sino a New York. Guardavo Fresnay seduto davanti allo specchio, in attesa che il truccatore gli dicesse d'avere finito. Aveva l'aria serena, appa riva disinvolto con molta misura ed era cordiale con naturalezza. Aveva detto, poco prima: « Il nostro mestiere è davvero come un grande giuoco. Strano che in italiano ci siano due verbi diversi per dire giocare e recitare, mentre uno soltanto basta ai francesi, agli inglesi, ai tedeschi. Noi, per l'uno e per l'altro, diciamo jouer, gli inglesi dicono to play, i tedeschi hanno spielen ». Su questo argomento parlò ancora qualche minuto, poi tacque. Quel brusco silenzio mi colpì, ma sul momento non compresi quel che capitava. Il truccatore aveva nelle mani una scatoletta di cartone lunga forse dieci centimetri, larga forse quattro. Aveva levato il-coperchiò e, con deferenza, la offriva a Fresnay. Pareva d'assistere ad un rito, metà serio e metà scherzoso. Allungai lo sguardo e vidi che dentro la scatoletta c'era un magnifico paio di baffi, folti e lunghi, la nicotina li aveva ingialliti leggermente ai due lati. Intorno a Fresnay tutti stavano in silenzio. Egli tolse i baffi dalla scatola, li guardò, li tenne tra le mani con grande cura. Disse rivolto a me: « Un tempo era la calzatura, il coturno, lo zoccolo, lo stivale, che completava un carattere. Adesso ci accontentiamo di molto meno: ci basta un paio di baffi, borghesi, provinciali e francesi per di più ». Furono le sue ultime parole, voglio dire le ultime che io ascoltai dette da Fresnay amico, non ancora attore. Si alzò, si avvicinò Ilo specchio, il truccatore fu lesto a spalmargli di mastice il "abbro superiore: con estrema gravità Fresnay si applicò i baffi ed allora avvenne una improvvisa trasformazione, così improvvisa e totale da sembrare assurda. Non soltanto la sua faccia prese diversa espressione; ma tutto in lui, la voce, i gesti, il fluido che ogni persona involontariamente crea intorno a sè, mutò registro. Lo sguardo gli si era come velato; i gesti erano diventati quelli di un impaziente; la voce era quella di_ uno che è sopraffatto da fastidiose preoccupazioni. Disse che gli consegnassero la giacca, e se la infilò; prese, da sopra il tavolo, un bastone; fece alcuni passi nella camera: sebbene ancora tra di noi, egli già si comportava, ' agiva, parlava, guardava, sorrideva (forse ragionava) come si sarebbe comportato, come avrebbe agito, parlato, guardato, sorriso il suo personaggio, il buon tipo provinciale che non voleva saperne d'un viaggio in aereo sino a New York. _ Un giovanotto entrò ad avvertire che tutto era pronto per girare la scena. Andammo nello «studio», dove avevano ricostruito l'appartamento della vecchia coppia borghese. Pierre Fresnay ci precedeva e già aveva reclinato un poco le spalle, già aveva un certo modo di cam minare ed a chi lo salutava o gli rivolgeva la parola egli non rispondeva più come, un attimo prima, avrebbe fatto Pierre Fresnay, ma come doveva fare il vecchio e preoccupato borghese di provincia. Poco dopo accadeva un altro piccolo episodio cu rioso. Vidi infatti Fresnay sonare alla porta dell'appartamento ricostruito per il film; la moglie correva ad aprirgli, egli entrava e passeggiava da una stanza al"'altra, ora curioso ora distratto Domandai che cosa stesse facendo. Mi risposero che sempre faceva a quel modo prima di girare una scena, anche la più breve anche la più insignificante. Ed aggiunsero: « Dice che cosi riprende possesso della sua casa, rientra nel suo ambiente » Irriconoscibile ai miei stessi occhi Pierre Fresnay, adesso piccolo borghese di provincia, mi guardava da una finestra del suo appartamento. Si capiva che non mi vedeva; d'altronde non vede va nemmeno il trambusto che in torno facevano gli elettricisti, i falegnami, gli inservienti. La sua presenza m'apparve, di colpo, angosciante: come quella di uno smemorato che non riusciva più a ricordare chi era stato, quali pensieri aveva avuto, quali abitudini lo avevano guidato sino ad un attimo prima. Mi ricordai di quei preti che avevano chiesto come aveva fatto ad interpretare i gesti ed i pensieri di un santo, e la sua risposta risultava davvero chiara: «Si fa come ho fatto io». Enrico Emanuel!! —;—r*** Pi di td

Persone citate: Enrico Emanuel, Jean Gabin, Pierre Fresnay, Renoir, Roland Laudenbach

Luoghi citati: New York, Parigi