Rianimare un cuore che ha cessato di battere di Angelo Viziano

Rianimare un cuore che ha cessato di battere CONGRESSO NAZIONALE DI CHIRURGIA Rianimare un cuore che ha cessato di battere L'uomo sottratto alla morte - I miracoli della riviviscenza scientifica - Come si può rimandare il gran viaggio ad altro momento - Non sempre la vita fugge di colpo, bisogna approfittare di questi attimi estremi - La circolazione artificiale nel cervello (Dal nostro inviato speciale) Roma, 15 ottobre. La prima giornata di lavori del 53° Congresso nazionale di chirurgie, con la partecipazione di circa 1500 specialisti, inauguratosi ieri con una prolusione del prof. Raffaele Paolucci, sui progressi della scienza chirurgica per cui non sarebbe azzardato preconizzare la possibilità dì sostituire organi interi, è stata densa di discussioni per il tema ali'creine del giorno, la rianimazione in chirurgia, svolto con brillante dottrina e contributi personali dal prof. A. M. Dogliotti e dal suo aiuto prof. Costantini. Sulla soglia dell'aldilà Rianimare un cuore che più non batte, ridare soffio di vita ed un polmone accasciato, inerte, far rilucere un occhio sirpndfcimil spento, ridar parola a labbra immote, esangui, ecco l'aspirazicne quasi utopistica di un passato, ecco la sbalorditiva possibilità d'oggi, in determinate condizioni. Da uno stato di morte apparente, sulla soglia dell'aldilà, l'uomo è richiamato in vita, riprende alito e conoscenza, può rimandare il gran viaggio ad altro momento. Nessuno pretende certo di far rivivere chi si sia spento con tutte le sue brave carte in regola, esaurita cioè una malattia con lesioni organiche incompatibili con la vita stessa. Il congresso ba limitato la sua visione a quei casi cosi detti chirurgici, nei quali, ad esempio, il soggetto vien condotto dissanguato al pronto soccorso dopo un grave trauma della strada od un infortunio sul lavoro; oppure al- II 11111 11111111111111M111111 1111111111111 lorchè un operato, durante o dopo l'intervento, sia colpito da una complicazione improvvisa, sincope o shock, per cause di forza maggiore, legata al male od al temperamento od all'arditezza dell'operazione, ora che il bisturi non si rifiuta più di soccorrere tanti generi di malati un tempo lasciati alla' deriva, alla loro fine ineluttabile. Diremo subito, però, che a conclusione della relazione, delle comunicazioni e dei di- battiti (cui parteciparono So- resi di New York, Biancalana, Chiasserini, Ciminata, Ceccarelll, Colombo, Forni, Torraca, Chiarolanza, Martinetto, Brancadoro, Ciocatto ed altri) già ha fatto capolino la speranza di estendere in un prossimo futuro alcuni dei mezzi proposti per la riviviscenza in chirurgia anche alla terapia di malattie prettamente mediche, quali l'edema polmonare e certi scompensi cardiaci. Il «braccio» rianimatore Non sempre la vita fugge di colpo e quei quid che la anima ha momenti di incertezza prima di abbandonare l'annosa consuetudine coniugale col corpo; per pochi minuti, s'intende, ancorché esauriti siano i segni apparenti di vitalità e polso e fiato siano già fermi. Alle volte difatti, arresti improvvisi del cuore o del respiro denunciano solo uno stato subitaneo, sovente imprevisto di grave defaillance; si tratta di clamorosi zoppicamene, che forse non sarebbero sempre fatali se un braccio energico afferrasse d'un lampo e sorreggesse il soggetto che incespica e sta per capitombolare nei baratro. Quel braccio è ora rappresentato da una serie di accorgimenti terapeutici, che vanno dalla trasfusione di sangue (un tempo il non plus ultra era l'iniezione intracardiaca di adrenalina o di lobelina) all'impiego di quel « cuore polmone » artificiale di nuovo conio già felicemente applicato sull'uomo dal Doglioftì. L'anemia acuta post-emorragica è il primo problema che s'affaccia. Il collasso che ad essa consegue non sempre appare oggi dominabile con la sola trasfusione di sangue per via endovenosa in casi di estrema gravità, e ciò indipendentemente dall'abbondanza'del sangue trasfuso e dalla rapidità con cui viene immesso nella vena. Talvolta, anzi, la eccessiva velocità nell'introduzione del sangue è da evitarsi. Questo fatto, apparentemente paradossale, è comprensibile quando si pensi che la trasfusione endovenósa praticata in tal guisa porterebbe ad un sovraccarico del llllllll jllllllllCIIII IIIIMIIIIIIIIIIIIIllllllltl s i sistema venoso già ingombro, ad un riempimento eccessivo delle cavità cardiache di destra pure già infarcite di sangue ristagnante, proprio allorché le contrazioni del cuore hanno perduto la validità per sospingerlo ai polmoni e, di 11, al ventricolo cardiaco sinistro. Ne avverrebbe perciò uno sfiancamento da superdilatazione, ragione per cui si è pensata, e si va attuando nei casi particolarmente gravi, la trasfusione direttamente in un'arteria periferica al gomito od alla coscia, in direzione del cuore, cioè contro corrente; il che è possibile dato che la tensione arteriosa è allora praticamente nulla. Il sangue, possibilmente ossigenato, sospinto direttamente verso il ventricolo sinistro del cuore sotto forte pressione, va ad imboccare e ad irrorare in tal guisa più rapidamente le arterie coronarie che alimentano la muscolatura cardiaca; per cui più pronta e valida diviene la ripresa dell'attività miocardica, Ritorna allora la pressione arteriosa vitale, in conseguenza di un ripristino della gettata sanguigna pulsatoria, e,, se tutto così fila, la vita riprende. Sono stati in tal modo salvati soldati in guerra in stato d'agonia, di shock o dì grave asfissia, ma tutto ciò si può avverare purché 1 centri superiori cerebrali non abbiano ancora subito danni irreparabili a causa della mancata circolazione nel cervello. Il cuore ha infatti del tempo a disposizione prima di spegnersi totalmente; il cervello no. Una riviviscenza della vita vegetativa, come si è realizzata negli animali scerebrati, senza vita psichica, a parte la breve durata, sarebbe un assurdo repugnante. Ora qui sta una felice idea del Dogliotti, quella di costituire una circolazione cerebrale artificiale al più presto possibile. Egli ha cosi pensato di aggredire la carotide stessa per praticarvi la trasfusione proprio in direzione del cranio, ottenendo favorevoli risultati anche alcuni minuti dopo la cessazione completa del circolo sanguigno normale. L'arbitro della vita E' significativo il fatto che il ritorno della pressione arteriosa efficiente si manifesti ancor prima che il sangue Iniettato nella carotide abbia raggiunto il cuore. E1 dunque il cervello l'arbitro della vita, dai quale dipende il rimettere in automatica attività pure il cuore? Si è discusso se proprio sia il diretto arrivo del sangue ai centri cerebrali o già prima entri in campo un gioco di riflessi e controriflessi nervosi, dipartentisi dall'ambito carotideo; fatto sta che la trasfusione endocarotidea può essere utile anche in altri casi di collasso o stato di shock indipendenti da perdite di sangue, in cui i soggetti presentano segni di morte apparente. Cosi in quei casi di sincope cardiaca operatoria, in cui, per altro da caso a caso, si mostrano utili e l'introduzione di medicamenti nelle cavità cardiache ed il massaggio diretto del cuore e la defibrillazione elettrica di tale viscere. Quest' ultima viene effettuata quando i vari gruppi di fibre cardiache siano entrati in contrazione non simultanea ma dlsordinatissima. sì che il muscolo cardiaco appare invaso da un tremolio continuo, da un moviménto convulsivo vermiforme, insufficiente a mantenere una qualsiasi circolazione sanguigna. Si parla sovente di shock operatorio. Da che dipende? Oggi pare verosimile che quella serie di fenomeni a catena che lo caratterizzano sian dovuti alle eccitazioni nervose sensitive che prendono origine dalla regione traumatizzata. Forse più che il dolore cosciente ha importanza il risveglio di sensibilità inconscie, provocato o protratto da azioni di lacerazione, di contusione, di compressione, di trazione sui peduncoli vascolari, con la caratteristica possibilità di sommazlone delle eccitazioni. Queste conoscenze hanno portato a nuove tecniche operative e di anestesia che riducono ormai al minimo la possibilità di insorgenza dello shock. In quanto alla circolazione extra-corporea quale mezzo di rianimazione, il nuovo apparecchio « cuore-polmone » di Dogliotti è venuto a risolvere problemi di urgenza, ancorché e forse proprio perchè non esclude del tutto la circolazione normale. Realizza quella che l'autore chiama circolazione « assistita » e sostituisce parzialmente, ma efficacemente; la funzione del cuore compromessa. L'originalità della concezione, per cui viene, fra l'altro, alleggerito il circolo venoso con la sottrazione del sangue, che va ad ossigenarsi nell'apparecchio e per cui il sangue rigenerato torna a' nutrire l'organismo, una volta immesso nel circolo arterioso, a noi pare proprio foriera di risultati, per l'estensione della applicabilità di questo «cuorspolmone », sussidiario artificiale anche, come si è detto, a stati patologici svariati, medici oltreché chirurgici: stati asfittici, casi di embolia dell'arteria, polmonare, edemi acuti del polmone, scompensi acuti di cuore, gravi stati di shock. Certo anche per questo la elaborata relazione del Doliotti e Costantini ha avuto largo plauso. Oggi si è iniziata la discussione sul tema della terapia delle varici, di cui diremo domani. Angelo Viziano

Luoghi citati: New York, Roma