Luci nelle tenebre di Mario Gromo

Luci nelle tenebre SULLO SCHERMO DEL LIDO Luci nelle tenebre Il successo di "La notte è il mio regno,, di G. Lacombe (Francia) e di "Nata ieri,, di G. Cukor (Stati Uniti) (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 5 settembre. Dopo quella del film giapponese, un'altra sorpresa. La nuit est mon royaume, di Georges Lacombe, è un intelligente, sentito, umanissimo film. E lo è dopo aver affrontato un tema dalle difficoltà quasi infinite. La vita di Pinsard è quella di un macchinista delle ferrovie. Ore e ore di viaggio-lavoro, uno sguardo ai manometri, un altro all'orario, tra due fughe d'alberi e di pali telegrafici. Mentre per l'ennesima volta sta guidando la locomotiva del < suo » treno, colmo di viaggiatori, un'incrinatura alla caldaia accieca, con un violento getto di vapore, il fuochista. Pinsard fa per soccorrerlo, ma è accecato anche lui. Dominando l'atroce dolore riesce a fermare il convoglio, a evitare un disastro; e poi s'accascia, svenuto. Qualche settimana dopo lascia l'ospedale, dopo essere stato decorato della Legion d'onore. La madre gli ha fatto credere che si tratterà d'un mese" o poco più, di cecità; poi un intervento chirurgico gli ridarà la vista. Un dottore lo saluta dicendogli che si rivedranno fra dieci o dodici mesi, quando lo opererà. Il colpo è duro, per Pinsard; si tratterà di un anno, non di un mese. E non sa che la sua cecità sarà per sempre. Primo risveglio, nella sua casa. Ritrovata a tentoni, nel vuoto buio, nella notte senza tregua. La madre, la sorella, il cognato, fanno quello che possono; ma Pinsard s'inasprisce sempre più. Il cognato, poi, che dei tre è il più egoista, sbollita la prima commossa fierezza per quel nastrino della Legion d'onore, propone al cieco di distrarsi, di provare a fare qualcosa, d'occuparsi un poco. E che cosa? Ma, per esempio, al Centro di rieducazione per i ciechi, lui ne conosce uno che non guadagna male... E che cosa fa? Delle spazzole. Oh, naturalmente, soltanto per quei pochi mesi, in attesa del chirurgo, che prima non potrebbe intervenire. In fin del conti, fare delle spazzole, può essere anche una distrazione; e non è certo un disonore. Pinsard esplode. Lui al Centro non andrà mai, non gli parlino mai più del Centro! Lo odia, SI tratta infine di far passare dieci, undici mesi. Aspetterà che passino. Non c'è altro da fare, non può fare altro. E lo lascino in pace, non gli parlino mai più di Centri e di spazzole. Eppure, per lui, non ci può essere altra via di salvezza. Nella famigliola nasce tutta una piccola congiura. Come indurlo ad accostarsi al Centro? Pinsard aveva la manìa di costruirsi degli apparecchi radio-11 fonici; e lo faceva con intelli- H genza, con risultati lusinghieri. Un suo apparecchio si guasta; con l'aiuto di una suora addetta al Centro, sarà un radiotecnico cieco, rieducato, che verrà a fare la piccola riparazione. E l'uno non sa dell'altro. Quando il cieco chiederà a Pinsard dove sia la presa di corrente, Pinsard gli borbotterà di malagrazia: dietro di voi, la vedrete sotto la finestra. Ma l'altro sorride: prego, guidatemi, sono cieco, e non conosco la vostra casa. Per Pinsard è una rivelazione. Gli dice d'aver perso temporaneamente la vista; parla da tecnico a tecnico; e l'altro ne sa più di lui. Palpeggia l'ultimo apparecchio che Pinsard stava costruendosi, gli dice che non gli dispiace, per un dilettante non c'è male; perchè non va a finirselo al Centro? Il giorno dopo sua madre riesce finalmente ad accompagnarvelo (Pinsard ha sotto braccio lo scatolone del suo giocattolo, del suo gioco, della sua manìa); e la povera vecchia, nell'atrio, gli dice: «Mi pare la prima volta che t'ho condotto a scuola». Seguire il film in ogni suo episodio sarebbe impossibile. Spero con questi pochi frettolosi ricordi del suo inizio di averne accennato il tono. Che non si smentisce. Narra come quel Centro viva, come Pinsard vi si inserisca, a poco a poco sembri rinascere, anche per la dolce voce di una giovane maestrina, cieca, che insegna anche a lui, fra ragazzi e bambine, l'alfabeto Braille. Quei pochi mesi passeranno mnestttsraèlunsdessDcadmlcnnRpdDntscqdtuvlftzst<ccyGcddtiLapgctldmdttnacormai in fretta, quasi dolce■nuiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiHiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiMi 11 H mente; e poi sarà la liberazione. Ma quando dovrà sapere, e nel modo peggiore, che la speranza di un miracoloso intervento chirurgico gli era stata data soltanto come una pietosa, provvisoria menzogna; sarà allora lo schianto, tenterà il suicidio, ne sarà salvato all'ultimo istante. La notte si è per sempre richiusa su di luì. Una sola luce può illuminarla, la dolce voce della maestrina. E' cieca, ha saputo ve- ' dere nelle tenebre( ha saputo esser dolce, vive, e serena. E si è accostata a lui. E lui aveva sentito tanta tenerezza per lei. Dev'essere bella, è bella, è sicuro, che è bella. La vita può ancora essere vissuta. Tutto ciò è narrato (salvo due o tre nei) con accenti sommessi, commossi. Con un'intelligente scelta degli episodi, e con un'intelligentissima misura nel limitarli (soggetto e sceneggiatura sono di Marcel Rivet); sul ritmo di battute piane, semplici, essenziali (il dialogo è di Charles Spaak). Da ogni pagina del film emana un'emozione schiva e partecipe, una pensosa ed esilissima (e perciò potente) invocazione alla fratellanza per quanti soffrono. Finalmente, su di uno schermo, non più brutture e violenze e delitti, ma un'accorata parola, che non vuole dichiararsi cristiana, e lo è, profondamente. Qualche riserva si potrebbe fare, ma sono piccole cose. Ottima, impeccabile, l'interpretazione di Jean Gabin; e molto sentita quella di chi sta diventando, più che l'c ingenua», la < dolcissima » del cinema francese, Simone Valére. * * Pure accolto da consensi ha completato la giornata Born yesterday (< Nata ieri ») di George Cukor. Una divertente commèdia, tratta dall'omonima di Garson Kanìn. Judy Hollyday, la sua impareggiabile protagonista, ha avuto, per questa interpretazione, l'ultimo Oscar. L'attrice è abilissima, di un assai felice virtuosismo. Da principio è la lussuosa e volgare e àtona bestiola, è l'amica ufficiale del « re dei rottami », un energumeno che ha la mutria e le violenze di Broderick Crawford, spassosissimo. Il re dei rottami si vale della sua volgarissima e inerte amica per farle firmare certi affarucci che troppo puliti non sarebbero; ma un giorno, arrivato a Washington,! stufo delle troppe gaffes che lei gli combina, dovute alla sua assoluta, totale, belluina mancanza di educazione, incarica un giovane giornalista di farle da guida, da mentore e da insegnante di belle maniere. I due s'innamoreranno (come avete fatto, a capirlo?); dopo che dalla bestiola sarà, nata, grazie al maestrino, una donna di qualche buon senso, forse di una sua intelligenza, dalle maniere e dalla voce un po' ripulite; e sarà piantato in asso 11 re dei rottami. Ho detto voce ripulita: perchè la Holliday è riuscita a farsi un tono di voce, acre e stridulo, volgarissimo e stupidissimo, che è tutto una biografia del suo personaggio. E la sua abilità la modula in modo, educazione procedendo e alutando, di a poco a poco smorzarla senza tradirla. Prima era un tràpano insopportabile per qualsiasi delicato orecchio (e perciò buffissima) ; poi è sempre più in sordina, di donna non certo soave, ma donna, che si è finalmente conquistata un regolare marito. Mario Gromo MiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiHiiiiii

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