Sullo schermo del Lido di Mario Gromo

Sullo schermo del Lido Sullo schermo del Lido Sotto le tende di Lahola (Israele) - La diga è chiusa di Koolhaas (Olanda) - Caffè Paradiso di lpsen e Lauritzen (Danimarca) (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 24 agosto. Dopo due giornate davvero interessanti la Mostra ne ha... approfittato per dare un colpetto d'acceleratore ai film minori da smaltire. Eccovene quindi tre, da più o meno archiviare. Sotto le tende è un documentario un po' romanzato del giovanissimo cinema del giovane Stato d'Israele. L'ha composto Léonard Lahola, con l'intento di mostrarci come i nuòvi giunti (da ogni parte del mondo) nel nuovo Stato vengono provvisoriamente ospitati in uno dei parecchi villaggi di tende; e poi avviati a una nuova destinazione e a una loro nuova vita, che s'inizierà con la costruzione del la loro casa, costruita dalle loro stesse mani. Questa piccola folla, questa piccola comunità, non vive coralmente; ma è lo sfondo alla tenue vicen da di due o tre nuclei familiari, seguendo 1 quali ci è molto più facile intravvedere la vita di tutti gli altri. Il breve film ha una sua lindura, un suo equilibrio, e, talvolta, una sua ascosa commozione, con alcuni tratti felici, Come quello, assai efficace, di una delle vecchie tende che viene abbattuta da due ragazzi (quello, ormai, è un « lavoro > per ragazzi): afflosciandosi al suolo scopre la teoria di nuove candide case appena finite, prologo a tutta una nuova esistenza. La diga è chiusa è un modesto saggio del cinema olandese. L'ha diretto A. Koolhaas, ispirandosi a un episodio del1 ultima guerra. Bert, nel 1943, porta la sua giovane moglie, Elsa, presso alcuni parenti che abit no a Walcheren. Là sarà più al sicuro. Ma un terribile bombardamento non solo colpisce il vecchio mulino nel quale Elsa e i suoi si sono rifugiati, bloccandoli sotto le macerie; ma colpisce anche le grandi dighe di Walcheren, e il mare irrompe nelle terre basse, avvolge anche i resti tei mulino, sale a sommergere le macerie che hanno imprigionato i disgraziati. Quando Bert, che nel frattempo era stato rinchiuso in un campo di concentramento, tornerà al suo paese, non vi troverà che tombe e desolazione. La sua vita è distrutta, medita il suicidio. Ma poi, a poco a poco, tutto vuole rivivere. Si ricostruiscono le case, ma anzitutto si ricostruiscono le dighe, indispensabile difesa ai campi che un giorno torneranno e, imbiondire. Bert si sente ripreso da quella comune volontà di sopravvivere, di riedificare; e nel sorriso di un'altra donna ritroverà l'Inìzio di una nuova serenità. Il film, ripeto, è modesto, spesso convenzionale, pur avendo qualche tratto sentito; ma il suo più grosso errore è nell'aver dato troppo sviluppo alla gioia di tutti, e soprattutto a quella di Bert, nella parte finale: il -che non pòco distrugge, 'o almeno parecchio annacqua, tutto il pathe : che prima si sarebbe voluto raggiungere. Caffè Paradiso è il meno modesto dei tre film della giornata. Appartiene al cinema danese, che ha un suo ritmo di produzione, e vive della fama e dell'esempio di un maestro, Dreyer. I registi del film sono due, Bodil lpsen e Lau Lauritzen. E il film è costruito con la meticolosa diligenza e la scrupolosa ricerca di situazioni e di effetti che sono tipiche, di solito, delle regìe in tandem. A questi due deve essere certo stato molto presente il bel film di Wilder Lost Week-End (c Giorni perduti >), il fosco dramma a lieto fine di un aicoolizzato. Hanno infatti affrontato, e a grande orchestra, il tema dell'alcoolismo. Hanno anzitutto, individuato due tipi di beoni: il giovane operaio, e il maturo quasi-dirigente della fabbrica dove l'operaio lavora. Attorno ai due hanno posto un coretto di altri beoni, della taverna e del salotto, ma soprattutto della taverna; e se hanno fatto redimere e risanare, con cure accanite, l'operaio, hanno in fine fatto morire nel suo alcool il quasi-padron.e. Un tema che doveva essere trattato, su questa intelaiatura, con tocchi anche potenti, ma senza intenzioni palesi. Qui invece le intenzioni straripano, c'è davvero da prenderne una sbornia; e ne è venuto un accuratissimo film di propaganda antialcoolica, talvolta efficace o addirittura commovente, ma spesso acceso dal sacro fuoco della requisitoria e del predicozzo. Un film che sarà odiato da quanti producono e commerciano vini e liquori; e che può essere apprezzato per una correttissima interpretazione, dovuta a Paul Reichhardt, Else Hejgaard e Achiorn Andersen, fra i quaii nettamente spicca, esile e vibrante, Ingeborg Brams. Mario Gromo

Persone citate: Andersen, Else Hejgaard, Ingeborg Brams, Koolhaas, Paul Reichhardt, Wilder Lost Week-end

Luoghi citati: Danimarca, Israele, Olanda, Venezia