L'amorosa Eloisa di Panfilo Gentile

L'amorosa Eloisa L'amorosa Eloisa Nella vecchia storia di Abelardo ed Eloisa, una cosa è certa: ed è che codesta storia ebbe un'eroina • non un eroe. Di tutte le coppie celebri di cui la storia o la poesia ci hanno lasciato il ricordo, è difficile trovarne una nella quale il sesso maschile faccia così triste figura e tutta la simpatia, la com. mozione, e la lode vadano esclusivamente alla donna. Lasciamo da parte i primi atti del dramma, in cui la parte di Abelardo è chiaramente quella del perfetto mascalzone. Chierico e canonico, applaudito maestro di teologia e filosofia nelle scuole di Notre Dame, più anziano di ben ventidue anni' della sua vittima, Abelardo compie a freddo una facile seduzione, secondo lo stile del più brutale dongiovannismo, con la duplice aggravante di avere abusato della fiducia e dell'ospitalità accordategli dallo zio di Eloisa: Fulbcrto e di avere approfittato della sua autorità di educatore e di maestro. Quando i frutti del peccato néì grembo dell'incauta fanciulla diventano visibili, egli la fa rapire dalla casa dello zio e l'invia in un desolato villaggio di Bretagna, presso la propria sorella. Nel tempo stesso, per prevenire il legittimo risentimento dello zio, offre il matrimonio, ma alla condizione che esso dovesse restare segreto, perchè l'egoista Abelardo di null'altro era preoccupato in questa circostanza, che di evitare il danno che poteva venire alla sua carriera dalla pubblicità del matrimonio. Se è vero infatti che il matrimonio non era vietato ai chierici che non avevano ricevuto gli ordini, è altrettanto vero che, secondo l'opinione dell'epoca, lo stato matrimoniale era giudicato sconveniente per chi cumulasse come Abelardo la triplice qualità di chierico, canonico e professore di teologia. Infine, a matrimonio avvenuto, relegò Eloisa nel convento di Argcnteuil, imponendole di vestire abusivamente l'abito di suora. E se fu quest'ultima circostanza a provocare la crudele vendetta di Fulbcrto, che pure aveva tollerato l'ignobile seduzione ed aveva acconsentito senza protesta alla segretezza del matrimonio, è plausibile immaginare che Fulbcrto in tali imposizioni vide niente altro che il desiderio di Abelardo di sbarazzarsi per sempre di Eloisa. La sorte toccata ad Abelardo fu certamente pietosa, ma- sarebbe difficile non accordare a Fulbcrto i benefici della provocazione. Dopo aver subita la vergognosa mutilazione, Abelardo, persuaso che non gli restasse altra via che di ritirarsi nella vita religiosa, decise che lo stesso destino dovesse essere inflitto a Eloisa; le ingiunse di prendere immediatamente il velo, e pretese anzi che i voti irrevocabili fossero da lei pronunciati prima che egli facesse altrettanto, partendo per l'abbazia di Saint-Denys. Vi è tale una somma di arida malvagità in tutto questo, che nessuno potrebbe provare per il sinistro teologo niente altro che repulsione. Ma veniamo al resto. La storia acquista il *uo fascino immortale proprio a questo punto. Per Abelardo, l'avventura s'era chiusa sebbene assai infelicemente. Non così per Eloisa, che, appartenuta una volta ad Abelardo, volle appartenergli per sempre, con una dedizione, un'umiltà, una costanza difficilmente reperibili tra le più leggendarie omoureuses di tutti i tempi. Religiosa senza vocazione e solo per obbedienza agli ordini del suo signore, esteriormente irreprensibile, ma interiormente non contrita, continuò fino alla morte ad amare Abelardo, ad- amare il suo. peccato, a sentirne inconsolabile tutta la diabolica seduzione. Essa si impose, per la severità e la puntualità con cui adempì tutti i doveri della vita religiosa, alla considerazione ed all'ammirazione di tutto il mondo ecclesiastico, ma come disse il suo maggiore biografo Carlo de Rémusat: «Cctte docte abbesse, d'une vie si chastc et si pure, aurait donne mille fois son voile, sa croix et sa couronne pour entendre encore chanter sous sa fenètre par un enfant de la Coite quelle était la maitresse de maitre Pierre ». E il momento più patetico di questo amore, fu quando, dopo tanti anni di abbandono e di si lenzio, Eloisa non potette resi stere ed inviò ad Abelardo la prima lettera famosa, nella quale con una sincerità quasi impudica e con accenti disperati confessò l'immutata sua passione ed im plorò dall'amato la consolazione di una parola che l'assicurasse della reciprocità del sentimento. Abelardo rispose evasivamente, Eloisa insistette e venne una lunga, involuta replica di Abelardo, che era un invito tacito a seppellire il passato ed un richiamo untuoso e pedante ai doveri dello stato monacale e della vita religiosa. Eloisa comprese. Senza irritazione, ne protesta, acconsentì che l'amante di un tempo, al quale riuscivano così importuni i ricordi, restasse a distanza il suo direttore di coscienza e il supremo regolatore del suo convento. Era l'unico ed ultimo modo che le restava, per associarlo alla sua vita. Ed è una pagina ben singo lare questo miscuglio di sacro e di profano, e questa amorosa che prodiga il suo zelo religioso unicamente come un omaggio da rendere al suo amante. Enid Me Leod ha voluto raccontarci ancora una volta la storia di questa Corinna medioevale, in un libro commosso e diligentemente informato, che ha avuto oggi un'eccellente traduzione di Nina Ruffini (Eloisa, edizioni Rizzoli). Il testo, nella lingua originale, come avverte una nota, fu scritto prima che fosse pubblicato l'« Eloisa e Abelardo» di Etienne Gilson. Non è il caso di fare paragoni, perchè la biografia di Enid Me Leod non ha le ambizioni del saggio del celebre medioevalista trance se, il quale si propose di illustrare attraverso la vicenda dei due amanti il clima di civiltà ed i motivi religiosi, nei quali esso si inquadrava. La sola osservazione che vorrei fare a Enid Me Leod è di avere esteso la sua benevolenza perfino all'Abelardo monaco e teologo. Quale che sia il posto, che nella storia della cultura mcdioevale spetti al famoso dialettico della scuola di Parigi, ci sembra assai probabile che Abelardo, oltre che un perfido amante, dovette essere uno di quei monaci facinorosi, disputatori, irrequieti e turbolenti, dei quali il Medio Evo fu ricco, e nei quali la fazione teologica tenne luogo di quello che oggi è l'odio dei partiti. Me Leod ne fa invece una vittima costante di ingiuste persecuzioni. Ma la cosa non sembra così sicura. E' assai sospetto il fatto che dovunque Abelardo andasse, mettesse il campo a rumore e si creasse un nugolo di nemici. Se fugge da Saint-Denys non è che per sollevare burrasche anche più violente a Saint-Gildas. Ed ancora più sospetto è che tra i suoi nemici si trovassero uomini, che 1 111111111 ! MI ì 111M111111M111411 ! 111111 r 11111F1111 [ la tradizione ci obbliga a considerare quanto meno rispettabili. Fin tanto che i suoi persecutori si chiamano Alberico o Lotulfo, vada. Ma quando si chiamano Bernardo di Clairvaux, allora la cosa andrebbe approfondita. Solo Pietro il Venerabile, il dolce abate di Cluny, riuscì a mettere la pace in questa anima in pena. Lo accolse nell'abbazia, gli conciliò il perdono di Roma, lo confortò negli ultimi anni e gli chiuse gli occhi con la benedizione di Dio. Pietro il Venerabile non crediamo che figuri tra i santi, nell'agiografia ufficiale della Chiesa. Ma meriterebbe di esserlo, tanto fu grande e indulgente in lui la comprensione del cuore umano. La lettera scritta ad Eloisa, quando, arrendendosi al di lei desiderio, accondiscese che la salma di Abelardo riposasse al Paraclcto, è un documento che chiude degnamente questa storia. Delicato e soccorrevole, volle dare l'ultima consolazione al cuore di Eloisa, pur indovinando forse di rendersi complice d'un peccato e d'una profanazione. Panfilo Gentile I ) 11 ( 1111111111F11 ! 1111 ! r IM [ IF11 ! I j ! ! 11111l I ] IM1111J

Persone citate: Corinna, Etienne Gilson, Nina Ruffini

Luoghi citati: Abelardo, Eloisa, Parigi, Roma