Le cicale di Giugliano

Le cicale di Giugliano VISITA ALLA TOMBA DEL BANDITO Le cicale di Giugliano Cimitero da corsari, cella senza intonaco, tra la cambusa e la catacomba - L'equivoco del falso eroe, una fotografia e una ghirlanda - Un'arbitraria attribuzione poetica: A vui ca siti pòviri... - Di lui si tace non per omertà nè per paura, ma soltanto per noia meno adatto alla pietà e al 111111111111 ■ 1 m 1111 li 11 r 11111111 s r 1 ri 11 ■ i 1 • ■ 11111 u (Dal nostro inviato speciale) Montelepre, agosto. Siccome il custode, che avevamo mandato a chiamare in paese, tardava a venire con le chiavi, scalammo il muro di cinta aggrappandoci a una grande anfora di pietra che si sgretolava fra le mani, saltammo sopra 'ina tomba e incominciammo la visita. In verità, visita è un sostantivo troppo gentile per indicare il funebre giro, la perlustrazione dei sepolcri la perquisizione dei morti, chiamatela come volete, che l'amico di Palermo ed io < eseguimmo * sotto un sole spietato, alle due del pomeriggio, mentre intorno strillavano le cicale. E strillavano con una voce così dura, con furia cosi ostinata che ne rimasi «colpito, quasi che su quelle piante stente, arse dalla canicola, fossero venuti a posarsi non. gijk degli- insetti, ma degli spiriti' maligni. € Sono le cicale di Giuliano: feroci e insensate come lui>, disse l'amico, al quale premeva molto di togliere qualsiasi parvenza sentimentale alla nostra gita, che non si tramutasse per avventura in un pellegrinaggio assurdo. La « Necropoli monteleprina * si rivela del resto, nonostante il nome pomposo, come il luogo la reverenza. Più che un cimitero essa sembra un magazzino in abbandono, un ortaccio sciagurato dove tutto si accatasta e si logora ' da anni, senz'ordine nè pulizia: le cappelline cadono a pezzi, i sentieri sono ingombri di sassi e di arbusti, e lungo i muri si allineano le tombe dei meno poveri, certe squallide casse di cemento su cui i parenti, per risparmiare In spesa della lapide, hanno a mala pena segnato un cognome e una data. Nel mezzo del campo si elevano i tumuli, stranamente gonfi di terra smossa, le f croci divette o sbilenche, qualche fiore gettato sulle zolle, come se tutti quei morti fossero stati sepolti in una notte da una gente in fuga. I nomi che si leggono qua e la confermano la sinistra impressione, anche se poi i vero che questi'Pisciòtta' e Mannino e Cucinella e Terranova e Genovesi che dormono al sole, non ebbero mai nulla a che fare con la giustizia; e si tratta soltanto di vecchi, buoni morti di paese (r'C un Pisciotta sacerdote, c'è un Cucinella seppellito a spese del Comune in legno di gratitudine), di poveri nonni in una parola, li quali la sorte ha almeno ' risparmiato la vergogna di vedersi oggi citati sui .giornali, e magari confusi coi nipoti. Afa si capisce perchè, entrando in questo cimitero da corsari, la madre di Giuliano si senta gonfiare wil petto di odio, e ne esca ogni volta con le labbra strette e gli occhi scintillanti. Qui tion si prega ma s'impreca, e la vendetta, vien fatto di pensare, è là sola pianta che può verdeggianti su queste zolle neglette. Realtà e leggenda Quando ormai disperiamo di trovare la tomba di Giuliano, e gli operai che lavorano di là dal muro ci seguono sospettosi con l'occhio, senza fiatare, ritorna Francesco, il ragazzo che avevamo spedito a Montelepre dal custode. Francesco va difilato in fondo al cimitero, nell' angolo più nascosto, e ci indica cid che cerchiamo: una cella senza intonaco, chiùsa da un cancellino di ferro, qualcosa tra la cambusa e la catacomba, nelle pareti della quale si aprono una ventina di loculi, due file contrapposte, troppi per uno spazio così angusto. Giuliano giace in una di queste tetre casse, poco alta da terra, contraddistinta da due iniziali, < S. G. », incise rozzamente sul cemento fresco, e da una piccola fotografia, fermata con due chiodi. E' un Giuliano « in borghese> ritratto in pieno sole, stnza berretto nè stivali, la camicia bianca aperta sul collo, i pantaloni leggeri ma tiiiiiiiimmimiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiimii bene stirati; un giovanotto dall'aspetto sano e simpatico che sorride con naturalezza e che reca ancora in tutta la persona i segni dette cure materne. Un'istantanea insomma come se ne vedono nelle case dei contadini, infilate nei vetri d'una credenza per ricordo di una domenica in città o del servizio militare. Appoggiata al loculo sta purtroppo una grande corona che una comitiva di svizzeri, aderente a non si sa bene quale movimento o associazione (€ M.P.I.-Svizzera* è scritto sul nastro e nessuno ha potuto spiegarci di che si trattasse) ha por- > tato sin qui nei giorni scorsi. I fiori sono ormai secchi ma nella semioscurità della cella seguita a brillare la dedica in lettere dorate. E' un passo del Vangelo di Giovanni: < Nessuno ha maggior amore di colui che dona la sua vita per ;i. suoi amici ». Da un Giuliano in maniche di camicia, ignoto figlio di famiglia, a un Giuliano celeberrimo che è fatto parlare addirittura con le parole di Gesù agli Apostoli: sacrilega, idiota metamorfosi che avviene nel giro di sei, sette anni appena. I/atroce realtà e la paradossale leggenda che prendono nome dal « re di Montelepre* non potrebbero esser meglio compendiate che da questa fotogra- •fia e da questa ghirlanda, collocate l'una accanto all'altra. he cicale ripresero a strillare più rabbiose, l'ispezione alla Necropoli poteva dirsi conclusa. Per sciogliere la lingua a Francesco, che ci stava a guardare incuriosito senza arrischiare un commento, còlsi un geranio caldo di sole e attraverso il cancellino lo lanciai verso la fotografia, badando che non ricadesse sulla corona degli svizzeri. Allora Francesco si ricordò di aver ; veduto una volta Turiddu, e comincio a parlarmene speditamente, con quella imprecisione nei particolari ma con quell'interesse alle figure umane che lasciano nei ragazzi certe scene avventurose, dei film. Una sera tardi, dunque, Francesco, che suona il corno nella banda di Montelepre, provava insieme coi compagni, quasi tutti ragazzi come lui, quando uno entrò trafelato nella stanza che era a terreno e li avverti che Turiddu era sceso in paese. 1 piccoli suonatori corsero in istrada, nessuno voleva perdersi lo spettacolo di un vero capobanda e Francesco, più fortunato, riusci a intra vvedere Giuliano: era tn piedi, nell'ombra di una casa, e faceva dei gesti concitati con la mano. Un'alzata di spalle Tutto qui, ma Francesco sapeva ben colorire la sua scena. Gli chiedemmo se era vero che una notte di Natale Turiddu aveva mandato in regalo ai bambini di Montelepre molti giocattoli, ma Francesco alzò le spalle e sorrise. Per strada incontrammo il custode, del cimitero che saliva la rampa, affaticato. Nell' accettare ia mancia, il vecchio mi strinse le mani con calore: < Lo avete visto Giuliano, eh t ». < Sa?mo già della visita, ael fiore, del ragazzo, sanno tutto oramai », disse l'amico r. indicò Montelepre li sotto, le rocce, i campi, un pastore lontano. Sembrava irritato e mi sentii un po' complice, un po' favoreggiatore anch'io. Corre per le campagne una canzoncina, di stile passatoresco, che viene attribuita a Giuliano. Dice: < Ju levu a chlddl ricchi. - A vui ca siti pòviri - campati 'ntra li stenti: - mangiati, stati allegri, - vi fazzu cumprimenti! ». Si stenta a credere che questa graziosa poesiola sia del nostro magniloquente memorialista, cosi lontano dagli < uomini di libertà», come son chiamati in Sicilia gli uomini alla macchia, e coi quali è facile, direi che è natu¬ rale da sempre per un contadino, un pastore, una donna, un < picciotto » come Francesco venire in contatto, senza la coscienza di far male. Poverissima gente, cui nessun ricco o potente rivolge dei cumprimenti che non siano interessati, essa è portata a ravvisare nell'attività ^ del bandito, finché costui si mantiene dentro la linea tradizionale sua, una protesta sociale, quasi un pimento avventuroso alla squallida vita d'ogni giorno. Turi Rapisarda Ma Giuliano tralignò, si corruppe presto. Ho visto la lettera che Turi Rapisarda, detto il € galantuomo » di Adrano, ha inviato tempo fa dal penitenziario a un giornalista di Catania che lo aveva interpellato a proposito della Portella della Ginestra. € L'uomo fuori legge — scrive Rapisarda — deve essere sempre apolitico. Un uomo, anche se è bandito, non ha diritto di uccidere*. Questa era la regola degli < uomini di libertà » sul tipo di Rapisarda, che tra il 1915 e il-'18 costrinse i disertori del suo paese a tornare alle armi, e> che nel 'SO poco mancò non diventasse deputato. Ad Adrano e in altri paesi furono raccolte allora migliaia di firme per appoggiare ta sua candidatura, quattro giorni durarono i comizi tn suo favore, nei quali si distinse un prete-sindaco, e fu organizzato un corteo con musiche, bandiere, luminarie, ritratti del bandito portati in trionfo, e cartelli come questo: < Salute e gloria a Turi Rapisarda. I muli rubati mi ha fatto riavere*. Naturalmente, invece che alla Camera Turi finì in galera, ma con una serie di imputazioni che sono uno scherzo in confronto a quelle di Giuliano. Ora Turi eseguisce artistici lavoretti di paglia e spera nella grazia, mentre Turiddu giace in un loculo senza nome, e lascia dietro di sè una sudicia scia di delitti e di collusioni. La for¬ iiiiimiiiiiiiimiiiiiiimmmmiiiiiiiiii iii tuna di Rapisarda fu, vrobabilmente, di chiudere la carriera nel 19SS, evitando le seduzioni della, politica, le conseguenze di una disfatta militare, le intrusioni dei turisti scriteriati. Bandito fu e rimane, secondo l'accezione classica, onesta direi, del termine. Vero figlio del secolo, elettricista e aviatore mancato, bandito al rotocalco, Giuliano invece è subito preso negli ingranaggi di un internazionalismo tradotto in dialetto siciliano, spropositato e aberrante. Siamo lontani dal rustico costume degli < uomini di libertà », che si travestivano da frati per accattare un pezzo di pane. Giuliano uccide il primo carabiniere con la pistola di un sergente polacco barattata per una pagnotta, ospita un capitano americano e un ammiraglio inglese che scrivono di lui, spedisce lettere a Truman, entra nella politica attraverso la guerriglia e nella guerriglia attraverso il separatismo, ossia per la porta più stretta e più ardua, n separatismo, che fu, per molti studenti e intellettuali un'idea, per rnolti malfattori costituì un alibi in previsione di un'amnistia. Di qui nasce l'equivoco del * colonnello* Giuliano che al pari di molti falsi eroi moderni, da rotocalco, finisce poi ricattatore, trafficante di voti, vittima dei suoi stessi complicati disegni politicofinanziari, ed è ripagato col silenzio e col disprezzo da quei ccappeddi » della città e dei paesi, che lo blandirono. Quanto agli altri, ai noveri di campagna, non basta più a riscattarli l'immagine idealizzata^ di un bandito. Una lieta constatazione è che i giovani intellettuali siciliani di idee aperte e di animo onesto, non punta?io affatto sull'esempio, sul fascino di Giuliano per rovesciare la vecchia impalcatura baronale. E se tacciono sul bandito morto, non è per omerjà nè per paura, ma soltanto per noia. Giorgio Vecchietti immimiimiiiiiimiimii mimimi Anche l'alta moda si occupa dell'Oriente: ecco un modellino che ricorda antiche, ingioiellate figure bibliche