La torre di Babele di Filippo Sacchi

La torre di Babele MISCUGLIO DI LINGUE E DI BAZZE IN AVENUE KLÉBER La torre di Babele Trecento delegati all' UNESCO venuti da tutti i climi - Le piccole, graziose segretarie indiane - Come nel salotto della vecchia gentildonna che si occupa di beneficenza - Se il a % degli analfabeti imparasse a leggere non ci sarebbe carta sufficiente (Dal nostro inviato speciale) PARIGI, luglio. Sconcertante Unesco! A viatoria in queste settimane di Conferenza generale, c'era di che confortare ogni cuore allevato a sensi di gentile internazionalismo. Già vi rallegrava il colorato saluto di quelle cinquantasette bandiere, tutte della stessa grandezza e della stessa altezza, allineate in fila su Avenue Kléber, quasi a significare che i più grandi imperi e i più remoti staterelli hanno ormai gli stessi diritti umani; e sotto ogni bandiera un cartello col nome dello Stato corrispondente, modo delicato di nascondere che senza quel soccorso, nessuno saprebbe dire a quale Stato la maggior parte di esse appartenga... Squadroni di dattilografe E se per un momento si affaccia il pensiero delle tante che mancano ancora, ecco a ridonare fiducia, appena dentro, lo spettacolo di fervida animazione che offrono la grande galleria di ingresso e i corridoi, con quel pittoresco miscuglio di lingue e di razze. Nel flutto incessante che alimentano giovani segretari sicuri di sè, squadroni volanti di dattilografe e le solite caratteristiche vecchie bigotte di tutte li conferenze internazionali, spicca laggiù l'asciutta lignea faccia, dalla barba tagliata come quella dei cardinali del Greco, di monsignor Maroun, delegato libanese. Più in qua, appoggiato al banco dove si vendono i francobolli del Gift Coupons (con tre francobolli si mantiene un bimbo a scuola per un giorno), la polinesiaca figura del presidente della delegazione haitiana, Llerisson, il quale con la sua aria di gigante mite e malinconico ascolta pazientemente un piccolo uomo occhialuto, biondiccio e agitato che gli sta esponendo di sicuro un importantissimo progetto per un ordine cavalleresco dell'Unesca, o il brevetto di una macchina da scrivere ad alfabeto multiplo. Nera, il capo stretto da un turbante nero, passa la giunonica persona di Sara Hernandez Cata, osservatrice cubana e scultrice, su cui un poeta galante avrebbe potuto intessere un madrigale intonato al concetto: < Prima ch'ella scolpisse nel marmo. Eros scolpi lei nell'èbanoy. E il gruppo compatto dei quattro delegati giapponesi, superati all'uscita del corridoio dallo sciame delle segretarie indiane, tutte giovanissime e graziosissime, piccine e con immensi occhioni come bambole, drappeggiate nei loro sari dai colori ingenui e striduli che si trovano ormai soltanto nelle pagine dei vecchi album e nelle ali delle farfalle. Ancor più stimolante era il primo entrare in una seduta plenaria. Qui, oltre il colpo d'occhio di quei trecento delegati venuti da tutti i climi e da tutte le latitudini, c'è il fatto che mediante quei fantastici apparecchi per la traduzione simultanea, tutti nell'assemblea sono in condizione di poter ascoltare contemporaneamente ciò che vien det- to. Questi interpreti dell'Unesco (pagatissimi: si parla di stipendi di 300 mila franchi al mese) sono un corpo formidabile. Qualunque discorso, fosse il più astruso e tecnicamente intricato, vi arriva immediatamente, come per virtù di una magica eco, voltato nell'altra lingua, con una precisione, una sicurezza e sopra tutto una rapidità sbalorditiva: due secondi dopo che l'oratore ha chiuso la bocca, le ultime parole risuonano già nella vostra cuffia. Ora la cosa nuova, e se si vuole straordinaria, è questo poter ascoltare insieme, che è poi la condizione indispensabile per sentire e per volere in'sieme. Allora — uno dice — questa convivenza e comprensione di tante genti e di tante favelle è pure di per sè un sintomo e un risultato. La torre di Babele, che non riuscì la prima volta, sta forse per rifarsi davvero, e con un altro spirito f Poi uno gira, ascolta, parla, vede, e a poco a poco sentimenti misti prendono il posto di quel primo confidente moto. Senza dubbio questa Vnesco è sede di grandi e magnanime idee. Mai in nessun altro punto della terra si udirono ripetere tante volte al giorno, e con tanta velocità, parole come educazione, scienza, cultura, libertà, pace, diritto, fratellanza universale, ecc. Eppure, non so perchè, c'è nella molle e compiacente aura ufficiosa in cui vengono intese e pronunciate, qualcosa che sembra spesso vuotarle della loro dura, densa, drammatica, pregnante realtà umana. Si direbbe che questa realtà arrivi all'Vnesco un po' come le sofferenze e la miseria arrivano nel calottino della vecchia e simpatica gentildonna che si occupa di beneficenza: arrivano, ma filtrate attraverso la calma luce dorata che si posa sui ninnoli, gli attucci e gli amorosi mugola della cagnetta, il benessere di un'esistenza che nulla minaccia, e (perchè nof) anche un pochino la soddisfazione di sentirsi tanto caritatevoli e tanto buoni. Non hanno dubbi Anche all'Unesco sono così contenti di sentirsi buoni. Di tanto in tanto, è vero, qualche voce chiara si leva a mettere in guardia. Giorni or sono fu il greco Photiades a rilevare che l'Unesco non ha nessuna presa sulle giovani generazioni, e che senza l'adesione di queste l'avvenire dell'istituzione è minacciato. E l'ammissione all'Unesco della Cina nazionalista, decisa e voluta per puro dispetto, provocò un fortissimo intervento dell'indiano Sarvapelli Radakrisnam, uno di quei discorsi caldi, coraggiosi, ispirati, illuminati di intelligenza e di amore, quali purtroppo i nostri grandi pavoni europei non sono più in grado di pronunciare, e in cui egli invocava alla fine dall'assemblea un atto di fede, c unica risposta possibile alla crescente sfiducia e paralisi che ci sta invadendo ». E in termini più positivi udimmo il neozelandese Afason mettere seriamente in guardia la Conferenza contro € lo sperpero di sforzi e di crediti a beneficio di progetti che non hanno se non un rapporto lontano con gli scopi dell'Organizzazione ». Ma questi rari richiami alla realtà 30no completamente sommersi sotto le quo tidiane cateratte dell'ottimismo obbligato. Metà dei loro discorsi sono spesi a dirsi reciprocamente quanto sono bravi, e come l'Unesco assolva perfettamente i suoi compiti. « Il Regno Unito pone l'Uncitro »w t/n piano molto elevato » assicura autorevol¬ mente un delegato. < L'Unesco è il trampolino dell'umanità » proclama un altro immaginosamente. E un terzo: « Felicitiamoci che lo scopo che l'Unesco si propone, ossia il mantenimento della pace attraverso l'educazione la scienza e la cultura abbia ormai raggiunto lo stadio della realizzazione mondiale ». E un quarto, modestamente: « Se l'Unesco non facesse altro che vegliare affinchè i popoli ottengano il riconoscimento dei loro diritti, essa renderebbe già un servizio apprezzabile*. Ascoltandoli, e pensando allo stato attuale del mondo, uno si domanda qualche volta se non fanno dell'ironia. Neanche per sogno, non hanno dubbi. < Felicitiamoci — dtrMard uno; come vedete si felicitano spesso — che l'Unesco abbia cessato di interrogarsi sulla sua missione, e che vi regni ora un'atmosfera di ottimismo ». A me pare che sia un segno bruttissimo quando una istituzione come l'Unesco cessa di interrogarsi sulla sua missione, ma a loro no. Non hanno dubbi e non vogliono averne. Ecco come il capo di una delle delegazioni più autorevoli liquida la questione: «Non si tratta più di sapere che cosa debba fare l'Unesco, ma come l'Unesco debba realizzare, col massimo d'efficacia, tutto ciò che noi sappiamo che deve fare*. Che è il modo che il marchese Colombi teneva nel liquidare le questioni. Strana constatazione Perciò è impossibile togliersi l'impressione che, come il ricavo del ballo di beneficenza non sanerà mai il problema del pauperismo, neppure il lavoro dell'Unesco, sinché resterà in questo stadio conformista e declamatorio, avrà un'efficacia effettiva sui nostri destini. Sono tutte cose sacrosante e che nella prosa rotonda dei rapporti fanno un bellissimo effetto, ma molte volte questo fragoroso fiume di parole non sembra servire ad altro che a trasportare delle barchette di carta. Basta quello strampalato progetto di redigere una Storia Scientifica e Culturale dell'Umanità, gigantesca sintesi di storia universale, che nel generale conflitto ideologico, religioso e sociale che divide il mondo, riuscirebbe per forza una cosa parziale, tendenziosa e incompleta. Oppure l'azione che si sta studiando su proposta della delegazione austriaca affinchè sia resa obbligatorio nei programmi scolastici l'insegnamento della psicologia applicata, quale mezzo di « migliorare la condotta sociale del ragazzo », e di promuovere una miglior comprensione tra i popoli. Vi figurate, voi che conoscete per esperienza j programmi d'esame dei vostri figlioli, che bellezza se aggiungessimo anche un esame di psicologia applicata f Ma più tipica di tutte fu la discussione sull'approvvigionamento della carta. Bisogna sapere che tra i punti del suo programma ai quali l'Unesco ha deciso di dare precedenza assoluta, c'è la lotta contro l'analfabetismo. A tal fine l'Unesco creerà nei prossimi anni sci grandi « centri di educazione di base » dislocati nelle zone più minacciate: il primo è già aperto e funziona a Patzcuaro, nel Messico. Benanche uno di questi indiavolati comitati di esperti che spulciano tutto, andando a vedere da virino come si starebbe a sillabari, incappa nel problema della carta, e arriva alla conclusione impressionante che < se il 5% degli analfabeti apprendesse a leggere nei prossimi anni, il che è uno dei nostri obbiettivi, data la penuria di carta net mondo, non avremmo la carta necessaria prr provvederli di libri e di giornali*.' Vi fi¬ gurate la faccia di questi disgraziati analfabeti che, dopo aver fatta una fatica improba per imparare a leggere, non avrebbero altra lettura amena che le insegne dei negozi e i cartelli stradali t Allora, è chiaro, bisogna risolvere la crisi della carta. L'Unesco si applicò immediatamente all'esame del problema, e ne venne fuori un dotto rapporto in cui si propone la convocazione di una conferenza mondiale. La conferenza dovrà: 1) accrescere la produzione mondiale della carta; B) mettere fine a ogni possibilità di speculazione... Abbiamo già capito tutto. Arrivederci nel 2951. Filippo Sacchi

Persone citate: Colombi, Gift, Maroun, Sara Hernandez Cata

Luoghi citati: Cina, Messico, Parigi, Regno Unito