Febbre alta a Chicago di Giovanni Artieri

Febbre alta a Chicago Strano banchetto servito da camerieri negri in frak rosso Febbre alta a Chicago La disputa xWac Arthur-Truman non è che un aspetto secondario, della lotta tra repubblicani e democratici - Gli uni rappresentano l'aristocrazia del denaro, della tecnica, ed una tenace volontà di potenza; gli altri rappresentano masse popolari che non vogliono perdere il controllo della politica del paese (Dal nostro inviato-speciale) Chicago, maggio. Se New York riassume il mondo, Chicago riassume l'America; forse ne rappresenta il seme. Senza Chicago gli Stati Uniti non sarebbero, o sarebbero diversi; meglio o peggio non so. A Chicago nasce il gigantismo americano nelle sue forme più note: i grattacieli, le fabbriche di macchine agricole, i silos di grano, le ferrovie, i macelli, gli stabilimenti per la carne in scatola. A Chicago fioriscono all'arte il più grande poeta americano moderno, Edgar Lee Masters e il più famoso dei prosatori, Ernest Hemingway; da Lincoln a Roosevelt è a Chicago che si fanno i Presidenti ; la bomba atomica nasce qui. Questa si direbbe la capitale americana di ogni cosa: il grano, la carne macellata, il gioco di borsa, il delitto, la scienza, il giornalismo, la boxe, la politica. La adorabile gigantesca New York, ancora tutta intrisa di essenza europea, di forme gotiche, di profumo del vecchio continente, appare persino più piccola del vero, di fronte a Chicago, per non so quale determinata selvaggia natura di quest'ultima, per non so quale sua più violenta fisionomia, n motto di Chicago fu, sino a qualche tempo fa, una breve frase : « I want », cioè «Io desidero»; adesso l'hanno mutata in « I will », io voglio. Effettivamente ciò che Chicago vuole, America vuole. L'impulso di questa molla centrale della vita americana spesso si avverte sino agli estremi del Continente Se gli Stati Uniti debbono aprire una colossale strada militare dalla California all'Alaska, lo fanno con le escavatrici e i trattori della International Harvester di Chicago; se debbono fondare la prima pila atomica del secolo saranno tre cittadini di Chicago, i fisici Compton, Urey e Fermi, a badarvi; è il danaro della Università di Chicago a mandare avanti le fabbriche atomiche da Clin ton a Oak Ridge; se si do vrà pronunciare un giudizio, il più originale e accetto alla maggioranza degli americani, su avvenimenti di impor tanza mondiale non lo darà il New York Times che for nisce una interpretazione bi lanciata tra le due rive del l'Atlantico, tra Europa « Washington, ma sarà il giornale del colonnello Mac Cormick a dettarlo, sarà il Chicago Tribune, la testa la lingua dello Zio Sam, riassunto della finezza e della brutalità yankee, del modo di vedere dell'America continentale, concentrata sulle rive del Michigan e dei Grandi Laghi, aerata dal vento delle grandi pianure granarie del Middle West; una opinione corposa, sanguigna, formata nel clima dei macelli, delle borse dei cereali, degli enormi interessi dell'acciaio, del carbone, dell'automobile, della chimica e della carne conservata, dei grandi alberghi e persino del « gambling », il gioco clandestino e sue derivazioni illegali ; un « business » che ammonta, lui solo, a mezzo miliardo di dollari all'anno. Aggrovigliata umanità Chicago ha un suo colore preciso, il nero ( « una macchia buia sotto il cielo », la chiama H. G. Wells) un suo fiato pesante, uscito dai colossali macelli sul vento del Michigan, con le prime temperie della stagione. Non saprei dire se davvero, con quella sua aggrovigliata umanità, impastata, fetida, saporita e godibile, Chicago non rappresenti una città universale per tutte le razze e stirpi che accettino l'America com'è: con la sua apoplettica gioia di vivere, la sua febbre alta, la sua divo rante necessità di fare, di muoversi, di andare avanti Ogni uomo moderno si trova ad essere in qualche modo cittadino di Chicago la Nera ed io francamente non mi sento di muovere delle reto riche diatribe contro questa città; per via delle nude armature del «loop » — la fer rovia aerea che la percorre tutta e fa buie e fragorose le strade centrali —; per via dell'esasperato mercantilismo della State Street; per via dell'irreale, improvvisa imminenza dei grattacieli, lungo il Michigan, repentini e necessari come i denti di un rastrello. Trovo bella questa brutta enorme città: specialmente nelle sue notti color catrame costellate di miliardi di punti luminosi in alto, in basso, fissi e mo venti, librati nelle segnala' zioni degli aeroplani che atterrano e s'involano da Midway (uno ogni tre minuti), dei millesettecento treni che arrivano e partono dalle sue stazioni (uno ogni minuto), dei milioni di automobili rotolanti sulle venticinque miglia del lungolago, senza re^ spiro, alla ricerca di non si sa bene che cosa. A Chicago abito al « Pal¬ mgrIlcovoblrebeannstYFHHvuprscesbedafaS12lii zudrie hnqulaquppetososocoticotinpnmchceTincabRYGteggctddNrtzddsvtfcrcgblcsSdzstplS«sttsdssctcidglfi«ltismdRrbnggm o e o . e a o l n , o à e a i a o a i a e e r r a i, ni di a : ti di i o a' td), he ue ), oie^ si l¬ mer House », il secondo dei | eigrandi alberghi della città. ; gIl primo è lo « Stevens », j l'con tremila camere. Se uno;nvolesse abitarle tutte, cam- ' blando ogni notte, impiegherebbe otto anni. Nel mio albergo gli ci vorrebbero sei anni. Il « Palmer » appartiene al signor Hilton, come lo Stevens» già detto, l'« Astoria » e il « Plaza » di New York, il « Francis » di San Francisco, il «Roosevelt» di Hollywood, e altri. Il signor Hilton è un milionario che vuole entrare nella politica, probabilmente; tiene dei discorsi anticomunisti ai suoi eserciti di camerieri, cuochi, bell-boys, impiegati e lavandai negri. L'altra sera ha fatto allestire nella Sala Scarlatta un banchetto per 1200 persone, a sfondo politico. Conversazioni a tavola In queste àgapi americane i cocktails di gamberetti, la zuppa, la carne, la frutta, il dolce e i vini oltre gli aperitivi che avete bevuti prima e le goloserie cinesi che li hanno accompagnati possono valere, secondo i casi, da quattro dollari a mille dollari a testa. Si celebrano, questi banchetti, per raccoliere fondi o per tastare il polso alla gente. Sono delle pentole nelle quali si mettono a bollire certi gruppi sociali per cavarne, traverso varie manifestazioni, e contatti (brindisi, discorsetti, interviste giornalistiche, conversazioni, appuntamenti) un « average » dell'opinione, una media di ciò che pensano. Per quanto — ai nostri occhi — ingenuo, il metodo funziona. Apparentemente il banchetto festeggiava i successi della compagnia aerea T.W.A. e il motto col quale intraprendeva una nuova campagna mondiale di pubblicità. Alle spalle del signor Ralph D. Damon di New York e del signor Gordon Gilmore, capo dell'ufficio internazionale di propaganda, giganteggiava il nuovo «slogan » : « Now is the time » cioè : « E' venuto il momento ». E' venuto il momento di fare un viaggio per aria o di far la guerra alla Russia ? Non si capiva bene, non si riusciva a dominare la realtà in quell'euforica apparenza sottolineata,"flaglr",alcool degli aperitivi. Statue di cigni, di pesci, di pavoni e di aeroplani scolpiti nel ghiaccio decoravano le tavole del bar, plotoni di camerieri negri in frak rosso, tra giochi di luci cangianti apparivano e sparivano levando in alto lunghi cortei di vassoi con torreggiane gelati, dolci, frutta, bottiglie. In qualche modo l'eco delle perorazioni belliciste di Mac Arthur, che la sera avanti aveva parlato al Soldiers Field, il più gran de stadio del mondo, dinanzi ad una folla che uguale s'era visto solo per l'incon tro di pugilato tra Dem psey e Gene Tunney, circo lava nell'aria rovente della Sala Scarlatta. Le parole: « Adesso è il momento » so spese sulla testa degli invitati, diffuse in piccoli cartellini, in manifestini, in strisce attaccate alla coda di minuscoli aeroplani, fis sate ai manici delle posate, stampate sugli strati di zucchero e ghiaccio delle tor te, vibravano inquiete. Io discorrevo, mangiando con i miei vicini di tavola: il signor Frank J. Cipriani direttore della sezione viag gi della Chicago Tribune « l'ing. Weber, direttore della filiale di Milwaukee e della « International Harvester la più grande fabbrica di trattori del mondo. Diceva il signor Weber: «Sì, ades so è il momento. Adesso o mai più. L'America può deve fare la guerra alla Russia. L'Europa non ha ragione di temere- i repubblicani non l'abbandoneranno. Essi accettano di far la guerra su due fronti perchè gli Stati Uniti possono permettersi questo lusso ». Diceva il signor Cinriani: « Non è il caso di seguire troppo in là. i repubblicani. Non ce la faranno nemmeno questa volta. Se Mac Arthur fosse rientrato dalla Corea l'anno .venturo, avrebbe vinto, forse, le prossime elezioni: di qui al 1952 la gente ha tutto il tempo per dimenticare, e se Truman riuscirà a far la pace con i cinesi, rivincerà ». Le tasse enormi irvlata—dci timteqnnptipreechgsraosdricpmlactesdspgflalannsrthciiISi continuava cosi con 'a testa nel piatto. Il tedesco Weber riassumeva in se la parte repubblicana cioè la aristocrazia della tecnica, del pensiero, del danaro: i ricchi, cioè, furibondi di pagare enormi tasse federali per alimentare gli aiuti in dollari al mondo occidentale. E' la borghesia (se questo termine può valere per l'America) offesa di sop portare da diciotto anni che il Paese sia in mano di un partito i cui sostenitori essa ritiene in gran parte la fec MsrspiII eia degli Stati Uniti. Il si-1 gnor Cipriani rappresentava l'opinione di questa feccia : i negri, ebrei,- italiani, cinesi, ' irlandesi, polacchi, cecoslo vacchi, ecc. : una massa nella quale — ancora con molta prudenza e discrezione — si cela la forza formidabile di trenta milioni di cattolici. Chi tiene insieme i democratici, oltre la continua istanza dei miglioramenti salariali, oltre la certezza di sempre più vaste, quanto postume applicazioni del New Deal? Una strana parola risponde: la paura. E' la paura di vedere al timone degli Stati Uniti un partito al quale risalgono restrizioni, per negri ed ebrei, molto simili a quelle che inaugurarono le campagne razziali di Hitler e Mussolini. E' la paura, per le razze e stirpi non ebraiche o negre, di vedersi precluso o limitato il godimento della patria americana, i diritti americani al lavoro, la cittadinanza prescelta; è la paura di sentirsi respinti ai margini di una società alla quale il partito repubblicano presterebbe fatalmente il suo latente e potente spirito isolazionista, il suo desiderio di-ripristinare la supremazia dell' elemento protestante, puritano, « inglese » in una parola, di fronte agli invadenti, pullulanti irlandesi, italiani, polacchi, ebrei e slavi in genere, seguiti dalle non menò pullulanti razze colorate. Non si tratta, dunque, soltanto della disputa storica tra il Catone-Mac Arthur e il Congresso americano a proposito di distrugiiimimiinitti'iiiM'ui u gere immediatamente Car tagine ; si tratta' anche di determinare il modo di con- vivere dei diversi popoli ne gli Stati Uniti e la loro par tecipazione alla potenza imperiale che essi stanno assumendo o vorranno assumere in un prossimo futuro. La lotta tra democratici e repubblicani si identifica nella « resistenza » dei secondi al vedere gente, fino a ieri stata schiava o considerata razzialmente inferiore, candidata a rappresentare il prestigio e la gloria degli Stati Uniti nel mondo. Perciò i democratici non esitano a definire «fasciste» o «parafasciste» le varie, potenti associazioni, sodalizi e leghe come la «American First» («America innanzi tutto »), la « American Action », l'« American Legion » e via dicendo. Sono questi enti politici che fanno paura ai « paria » della società americana: agli autisti ebrei e napoletani e negri dei « taxi » di New York, agli operai dell'industria pesante condotti dal signor Lewis, ai raccoglitori di cotone della valle del Mississippi, ai pescatori dei « warfs » di San Francisco, ai prospettori di petrolio della California meridionale. Sono (figuratamente parlando, si capisce) gli «straccioni»; ma quali possenti straccioni se i loro « leaders », o irlandesi, o italiani, possono sempre che vogliano pigliare un telefono, chiamare Harry alla Casa Bianca per chiedergli un favore che Harry, novanta volte su cento, non può negare. Diffidenza I repubblicani vedono in costoro dei pretoriani di bassa estrazione nelle mani dei quali s'avvierebbe il controllo di un Paese che influenza le sorti di tre quarti del mondo. La loro petizione di principio consiste proprio nel negare a costoro la figura di classe dirigente. Sotto molti punti di vista non hanno torto: il meglio dell'America è repubblicana, ma la massa non gli va dietro; ne diffida: i repubblicani sono troppo ricchi. Il Sud, democratico, ma orgoglioso di grandi tradizioni in ogni campo delle attività americane potrebbe forse offrire ai democratici molti uomini. Ma laggiù é una specie di grande Vandèa in cui si vota democratico assai più per odio ad Abramo Lincoln che per fiducia a Truman. E Chicago? Deciderà an cora una volta? Per Truman o per i suoi avversari? dpcmndImpCsIèTgsdnPgdcdpd1IMIII1MIIMI IIMI1 1111 ! 1111111111111 11 11111 Certo : la maggioranza degli «straccioni» voterà; per i democratici. Ma a Chi-! cago i ricchi sono moltissimi. Si vedrà come agiranno i « fascisti », cosa deciderà l'« American Action ». I repubblicani dispongono di milioni di dollari, delle simpatie del colonnello Mac; Cormick e dell'appoggio deli signor Lammot Nemours. I II colonnello Mac Cormick1 è il direttore del Chicago Tribune («il più grande giornale del mondo ») e il signor Lammot è il presidente del consiglio di amministrazione della E. I. Du Pont de Nemours («la più grande compagnia chimica del mondo »). Quella che costruisce la bomba all'idrogeno, per intenderci. (Il banchetto continuò per molte ore e con molti discorsi simili a questo). Giovanni Artieri iiiiimiiiiiiiiiiiiiimiiimiiiiniiiiiiiiiiim Il gen. Gaw ha assunto il comando del settore Artico della difesa atlantica. IMIIIIIlItlillllllllllllllllllllll MM 1IM1MI