Una festa popolare di Panfilo Gentile

Una festa popolare Una festa popolare Una volta, ai tempi purtroppo lontani della nostra giovinezza, la festa del primo maggio assumeva un singolare aspetto di innocente romanticismo rivoluzionario. Era una festa abusiva, non contemplata nei calendari ufficiali, decretata per la prima volta, se non erriamo, dalla centrale di Londra dell'Internazionale attorno al 1880 ed introdotta in Italia con un certo ritardo verso il 1894. Al 1° maggio venivano mobilitate febbrilmente dai governi tutte le forze di polizia come se si trattasse di una prova generale della rivoluzione. I prefetti tremavano al pensiero di quella nera giornata che metteva ìn pericolo ogni anno la loro carriera. Si tenevano comizi, quasi sempre vietati, nei quali oratori profetici tenevano discorsi incendiati. Fanfare in testa, bandiere rosse al vento, sfilavano idei cortei con una spavalda Bria di sfida alla borghesia. E poi tutto tornava al suo posto senza che nulla fosse successo. Come tutte le cose ai loro inizi, il 1° maggio era una festa accompagnata da una notevole dose di candidi entusiasmi e di irragionevoli paure o avversioni. Poi venne l'era giolittialia. Dopo le incomprensioni di Crispi, di Rudinì, di Pel loux ed, in genere, della classe dirigente della fine del secolo, Giolitti aveva avuto il merito di capire che il movimento operaio era un dato insopprimibile della società moderna e che esso doveva ricevervi pieno diritto di cittadinanza. Con Giolitti venne riconosciuta stabilmente là libertà di associazione e di sciopero. I socialisti cessarono di essere considerati dei criminali, come li aveva definiti Crispi nel 1894. Le competizioni di classe tra salariati e datori di lavoro furono accettate come un fatto normale nel la vita delle intraprese. Fu un liberale giolittiano, il marchese di San Giuliano, che, difendendo contro uno degli ultimi avversari il di ritto degli operai a coalizzarsi per la difesa dei loro interessi, ebbe a dire che era iniquo voler vietare ai salariati il diritto di coalizione e di lotta quando il datore di lavoro già da solo rappresentava una coalizio< ne. E, nel clima temperato e mite dell'era giolittiana, il 1° maggio acquistò il carattere -di una celebrazione più mansueta. Essa si svolgeva sotto la bonaria tolleranza delle autorità ed i di scorsi di circostanza, fatte salve le imprescindibili esi genze della retorica e della eloquenza comiziale, ebbero toni più moderati e respon sabili. Arrivò il fascismo, che d'autorità sostituì la festa del 1° maggio con quella del 21 aprile, natale di Roma. Lo spostamento della data ebbe un valore simbo lieo: manometteva una tra dizione cara ai lavoratori ed intimava ad essi di rinun ciare alla festa scelta onde esaltarsi nei propri ideali e di celebrare un'altra festa, artificiosamente voluta dal la retorica del regime per esaltare gli avventurosi spiriti imperialistici dei tempo ranei padroni del popolo italiano. Oggi il 1" maggio non e più una festa abusiva nè una festa tollerata nè una festa proibita. La democrazia restaurata ha incluso il 1° maggio nel suo calendario ufficiale, ed è per l'appunto sul significato di que sta inclusione che ci piace rebbe che i lavoratori si fermassero un momento. Se i lavoratori dicono: questa è la nostra festa, e lo Stato dice: questa è anche festa pubblica dello Stato, che cosa significa ciò se non che i lavoratori sono nello Sta to, fanno parte essenziale dello Stato e nulla nello Stato vuole essere senza o contro di essi? Vorremmo che riflettessero che la de moerazia sottolinea così la sua preziosa qualità di es sere palladio imparziale di tutti i cittadini, senza esclusione, senza restrizioni senza preferenze. Vorremmo che fosse intesa in tutta la sua portata la cordia lità che gli ordini democratici testimoniano verso le masse lavoratrici anche in questa secondaria faccenda di calendario. E' probabile, anzi certo che in questo 1° maggio in molte piazze d'Italia saran no levate aspre critiche citiLcioadtmrrnbdl contro il Governo, contro la insufficienza della sua politica sociale e contro i suoi indirizzi di politica estera. La celebrazione sarà un'occasione per una propaganda inesorabile contro la classe od i partiti dirigenti. Ma anche in questo i lavoratori dovrebbero trovare un motivo per apprezzare la democrazia, condizione inderogabile, senza la quale i loro sentimenti e le loro opinioni non avrebbero così libero e spregiudicato modo di esprimersi e di farsi valere. Il 1° maggio, teoricamente festa del lavoro, non può sottrarsi ad essere anche una manifestazione d'ordine politico, perchè i lavoratori hanno le loro idee, i loro partiti di fiducia ed i loro capi politici. Ma poco importa quel che ad essi, nella loro insindacabile libertà, piacerà di dire o di ascoltare, di applaudire o di fischiare. Importa solo che, in ogni caso, non sia dimenticato che questa celebrazione è essa stessa un atto vivente della democrazia, e che la festa del lavoro non può perciò non riuscire elo gio dello stato democratico. Panfilo Gentile

Persone citate: Bria, Crispi, Giolitti

Luoghi citati: Italia, Londra, Roma