Ombre bianche

Ombre bianche IL L I B R O DEL G I O R N O Ombre bianche Quando nel film Ombre bianche (e in Afoana e in Tabù) vedemmo le fanciulle delle isole oceaniche giocare come ninfe nei torrenti e danzare, cantare e ridere appena vestite di bianchi fiori, la nostra confidenza con un eden selvaggio era già stata iniziata da Stevenson e stava, ma in altra misura, per essere continuata da Conrad. Non sapevamo, intorno al 1930, nulla di Melville. Invece il gran padre di tutta questa mitologia dei mari del Sud, di questa Odissea polinesiana era proprio Herman Melville, un risorto di allora nella sua stessa America, il quale, un'ottantina di anni prima aveva scritto Typee, Omno, Mordi, White Jacket, libri documentari dei suoi vagabondaggi per il Pacifico, consacrati da un successo che il suo capolavoro, Moby Dick (1851: un centenario!) non riusci nemmeno a sfiorare. Ma era un successo circoscrìtto a un < genere >: fino alla prima guerra mondiale Melville fu uno scrittore dì secondo piano, un relatore di navigazioni in luoghi e tempi eccezionali, e, in pochi decenni, un dimenticato. Solo nel 1921, trent'annl dopo la morte, abbiamo la sua prima biografia. L'unico manoscritto che si conservi, quello dì Billy Budd, è pubblicato appena nel 1924. E Moby Dick comincia a salire allora alle vette della fama universale, della grandezza consacrata, e si porta dietro tutto il resto dell'opera; tornano a galla anche i più antichi libri, col successo rinverdito. Typee — l'opera prima, con la quale il giovane baleniere Melville, il vagabondo delle Isole, si muta per sempre In uomo di lettere — è, press'a poco, il libro d'immagini che ha ispirato, al tempo giusto, la corrente di poesia esotica del cinema e, come si diceva, quello che ha fissato lo schema classico del paradiso atollico, rinverginando la fede di Rousseau nell'innocenza del primitivi (un'innocenza sia pure ammaliziata da esperienze cannibalesche...). «Dalle ver degglantì superfici delle grosse pietre, che affioravano intorno, gl'indigeni ora si lasciavano scivolare nell'acqua, si tuffavano e nuotavano sotto la superficie In tutte le direzioni — le fanciulle leggermente si disegnavano sullo sfondo del cielo e rivelavano le loro for¬ me nude Ano alla cintura, con le lunghe trecce che ondeggiavano sulle spalle, i loro occhi che splendevano come gocce di rugiada sotto il sole, e il loro gaio riso che echeggiava ad ogni giocoso incidente >. Ecco dunque le ninfe che abbiamo conosciuto, ancora autentiche, nei film. « Molto spesso le fanciulle danzavano al chiaro di luna davanti alle case... non sono vestite altro che di fiori e delle loro succinte tuniche di gala; e quando sì spogliano per la danza hanno l'aspetto di una turba di silfidi olivastre sul punto di prendere il volo>. Ma c'è tutto il resto: il cielo tropicale, la verzura miracolosa, il frater.no re Mehevi, gli stregoni orrendamente tatuati, i battiti misteriosi dei tamburi nelle foreste, i complicati tabù, le grottesche vanità di quei semplici capi, la dolcezza amorosa della più bella isolana, Faiawaì (e il suo pianto disperato, quando l'uomo bianco l'abbandona), 1 rag zzi che salgono come scimmie sugli alberi del cocco, le guerre e le danze, e il bianco che insegna piccole cose sorprendenti — persino a cantare — e. diffuso nell'aria, il vago orrore di sacrifici rituali. Tutto, ma allo stato vergine. Perchè principalmente Taipi (scriviamo il nome così come lo presenta una nuova, ma prima completa e seria traduzione, di Luigi Berti, nella < Biblioteca moderna Mondadori >) è un documentario, sebbene trascritto più per trattenere un sogno che per informare di diretta scienza un pubblico di geografi e di etnologi. Come è noto, Melville, da dlciotto mesi imbarcato sulla baleniera Acushnet (era l'anno 1842), disertò con un compagno appena giunse all'isola di Nucahìva, del gruppo delle Marchesi. Preoccupati poi della loro sorte fra quei cannibali, il compagno riuscì ad allontanarsi senza più dar notizie di sè, e il povero Melville, malato, ebbe modo di stancarsi di « quell'appartato asilo della felicitai. Finché venne anche il suo giorno della liberazione ed egli potè riprendere il vagabondaggio per i mari, toccando Tahiti e Honolulu e tornando finalmente a casa dopo un palo di anni. Due parole inglesi 11 prigioniero dei Taipi era riuscito a insegnare a un suo fedele sel¬ vaggio: casa, madre. Esse suonano con un tremulo di sospiroso pianto verso la fine del libro che pure è pieno di entusiasmo per la letizia, l'ingenuità, la spontaneità di quel paradiso naturale. Ma Taipi, come ha detto D. H. Lawrence, era, in realtà, « una sorta di dolce inferno ». Quanto tempo rimase Melville fra 1 Taipi, per poterci dare un resoconto cosi istruttivo e sufficientemente esatto? L'autore parla di almeno quattro mesi. Ma Charles Anderson, lo specialista di Melville nei Mari del Sud, ha dimostrato che non è possibile parlare di più di sette settimane, e anche il recente autore francese di una vita di Melville, Pierre Frédérix (Gallimard, 1950), lo conferma. E' certo anche che Melville usò libri reputati sull'argomento; ma bastò il suo sguardo di letterato in fieri per dare poi al racconto un superiore accento di verità. Quanto ai fatti, il compagno di avventura, capitato a leggere Talpt, si fece vivo e assicurò della loro esattezza. Per noi, oggi, il valore di documento è un pregio pallido e remoto. A noi piace soprattutto l'immagine di Melville che (< anche adesso, in mezzo al tumulto e al frastuono della città superba e affaccendata in cui vivo... >) a tre anni di distanza non può dimenticare quell'antico mondo pagano, la cui bellezza gli ha suscitato il deluso e Irritato paragone con la civiltà dei bianchi, lavorando interiormente a creargli quel tormento del problemi ultimi, degl'interrogativi senza risposta che a Moby Dick — fusione superba di tutti i suoi più allucinati ricordi — daranno forma di lunga allegoria, Taipi, agli inizi della carriera letteraria (esce nel 1846) è un nitido frammento di autobiografia: col passare degli anni quella materia si fece nostalgica, s'impregnò di un grave rimpianto di età saturnia, Depositate le vestigia in tanti libri, rimase un'impressione vitale, un motivo intime i'i sogno, un'aspirazione: Melville poeticamente ricorderà un giorno già lontano (vedi fra le Poesie tradotte anch'esse dal Berti) egli ozi dei Taipi sotto le stelle — Ignoti alla shakesperiana Notte di Meztestate». fr ant

Luoghi citati: America, Honolulu, Moby