Mac Arthur quale dio in terra nel cuore dei vinti giapponesi di Virgilio Lilli

Mac Arthur quale dio in terra nel cuore dei vinti giapponesi Come visse « Vohio il proconsole 99 americano Mac Arthur quale dio in terra nel cuore dei vinti giapponesi A quel popolo misterioso e cerimonioso era necessario che qualcuno sostituisse l'Imperatore, che non comandava più - Discorsi senza riserve; la Provvidenza, il Cielo, la Democrazia... ■ Quand'egli compariva tutti si inchinavano felici, o fingendo di esserlo Virgilio Lilli, che, come i lettori ricorderanno, fu s lungo in Giappone Quale nostro inviato, ci manda questi suoi ricordi personali del generale Mac Arthur, ch'egli là incontrò e conohbe. ROMA, aprile. Afi ricordo Mac Arthur in Giappone. Mi ricordo questo vicario, questo missionario della grande chiesa della democrazia americana nella terra del fior del ciliegio. Mi ricordo la sua corporatura aitante, atletica malgrado gli anni; le sue larghe spalle da giocatore di base ball, il suo elastico torace da campione di nuoto, le sue gambe lunghe, eleganti, di yankee puro, qualcosa come le gambe di Gary Cooper. Mi ricordo il viso dai lineamenti regolari, perfino un poco femminili, l'occhio dallo sguardo acuto e un poco sognante, uno sguardo che ricorda quello del capitano di mare e quello del divo dello schermo, la bocca ferma, dal taglio risoluto e tuttavia intriso d'una certa dolcezza forse eccessiva nel viso d'un uomo d'arme. E quel suo elementare abbigliamento, quel suo compiaciuto vestirsi da soldato semplice, un giubbetto militare cachi, un paio di pantaloni in niente dissimili da quelli di un private, d'un semplice G. I.; mi ricordo questo proconsole, questo viceré, questo arcimaresciallo, questo arcigenerale sdegnoso con civetteria di galloni, di speroni, di decorazioni, di bastoni del comando, di greche e simili: una fronda d'alloro sulla visiera del berretto e niente di più. Mi ricordo i questo settuagenario che visto di spalle si sarebbe detto un uomo di vent'anni. I giapponesi lo guardavano di sotto in sic, con soggezione e ammirazione, come avrebbero guardato un grattacielo, lo Empire State Building a New York, dal basso, dal marciapiedi. Il suo isolamento Afi ricordo il palazzo dove lavorava Mac Arthur, a Tokio, nella City della metropoli giapponese, nel quartiere Maronuci. Mi ricordo il Calci Building, la sede dello Scap, vale a dire del Supreme Commander for the Allled Powers, dei Comandante supremo per conto delle potenze alleate nell'Estremo Oriente. Un palazzo di cemento acciaio e vetro, un palazzo razionale, freddo e duro, una fredda e dura scatola di lateimiiiiiiiiiiilimiiiiiilimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiFi A Londra è strta presentata questa vistosissima stola di visone montata su taffetà rizi di fronte al vallo d'acqua che circonda la residenza dell' Imperatore. Montavano di sentinella all'ingresso i più bei soldati d'America, la guardia d'onore, polizia militare scelta, qualcosa come dei corazzieri semplificati, alti due buoni metri, asciutti, biondi, d'una eleganza, da manichini di sartoria militare, con elmi verniciati alla lacca, cordoni al petto, cavigliere candide, fucile mitragliatore appoggiato alla spalla come nei soldatini di cartone o di piombo; andavano avanti e indietro come automi, su quelle gambe più lunghe di quelle del loro generale, qualcosa come trampoli. Qualche gradino più sotto, umili, discreti, quasi chiedendo perdono alla luce del sole d'essere vivi, sostavano soldati della polizia giapponese, piccolini, tarchiati, in uniformi blu scuro, armati di bastone di gomma, di pistola a tamburo e di fischietto; miravano con adorazione le sentinelle d'onore. Il palazzo, dentro, era splendente come una clinica, tutto lastre di marmo brillante, — alle pareti, ai pavimenti, ai soffitti, — intriso d'una luce elettrica algida, una luce minerale da cannelli fluorescenti. Mi ricordo la stanza di Mac Arthur, a Tokio, nel Daìci Building. Una stanza non grande, una stanza perfino modesta a paragone dello splendore geometrico di quell'architettura; un piccolo divano di cuoio, qualche poltroncina, qualche piccolo scaffale di libri, messo li per avvertire il visitatore che il Supreme Commander era un umanista, un uomo d'eccezione il quale per il suo governo C le sue battaglie consultava più i classici e i mistici che non i trattati di strategia o di sociologia. Un alto silenzio regnava in quella stanza, una quiete quasi fossile, storica. Mi ricordo l'isolamento nel quale viveva, nel cuore del cemento di quel palazzo, il pontefice massimo della razza bianca nell'eldorado della razza gialla, nell'enigmatico Far East. Si aveva di lui quella tale sensazione che si ha di certi misantropi dei quali si dice che non vedono anima viva. L'unica persona che il generale frequentasse era il suo aiutante di campo colonnello Bunker, un gentiluomo elegante e di una compitezza francese, quasi settecentesca, il quale aveva il suo studio attiguo alla stanza del generale. Il generale aveva bisogno di una controfigura, d'un alter ego al quale indirizzare i suoi monologhi, i suoi pensieri piuttosto ardenti e ispirati, sempre in contrasto soprattutto con il suo governo, con la sua madre patria. Mi ricordo la stretta di mano di Mac Arthur, calda cordiale e allo stesso tempo imperiosa; e la grande bonomia della sua parola, in contrasto con quel suo carattere precipitoso, stizzoso e perfino violento. Quand'io lo vidi la prima volta, quando parlai con lui per quasi due ore, rimasi sbalordito dal modo generoso che egli aveva di aprire l'animo, di scoprire sentimenti e idee. Era evidente che egli ritenesse democratico non avere riserve di sorta, non attenuare sia pure minimamente le reazioni dell'animo nei confronti del mondo esterno. Provvidenza, cielo, Dio, democrazia, progresso erano parole che ricorrevano sulle sue labbra assai più spesso che termini strettamente politici o amministrativi, economici o militari. Il dominio di un grande settore del mon¬ do; il peso del comando militare in proporzioni gigantesche e fascinosamente avventurose, quasi da storia meravigliosa per ragazzi; l'imperio che solo un vincitore può esercitare su un popolo, messo tutto alla sua discrezione, gli avevano conferito un atteggiamento quasi sacerdotale, da paterfamilias, da magister e da catechizzatore nello stesso tempo. Per questo, forse, egli non vedeva nessuno, sdegnava i ricevimenti, le cerimonie ufficiali, riservava le sue comparse in pubblico a momenti che avevano l'aria di assumere la necessità di cerimonie religiose: incontrare all'aeroporto Sigman Rie, presidente della Corea del Sud, o il ministro americano della Difesa e simili. Ed era chiaro che in un simile stato d'animo egli non potesse ricevere ordini, piegarsi a programmi altrui, tener fede all'obbedisco, norma regolatrice canonica della vita e dell'azione d'un generale. Pipetta da studente Mi ricordo la pipetta di Mac Arthur, nel suo studio. Egli fumava una pipetta quasi da studente, una di quelle corte pipette che fumano i ragazzi americani nei colleges quando comincia a prenderli il fascino di un certo romanticismo americano tra lo sportivo e il ribelle. Un generale che fuma una simile pipetta di fronte a un reporter straniero; e gli parla con le gambe accavalciate come 3ulla poltrona d'un bar; e lo chiama per nome cento volte nel corso della conversazione; e ogni tanto alle sue obbieiioni gli dichiara apertamente un < a questo non ci avevo pensato >; e alla fine di un colloquio a due, di due ore, gli ha partecipato l'animo suo a tal punto da doverlo pregare di non pubblicare quanto gli ha comunicato (allora erano previsioni, oggi sono realtà: l'abbandono della Cina da parte dell'America, la crisi della Corea e perfino la necessità assoluta di tenere Formosa e di riarmare il Giappone); un generale simile è una creatura autonoma, è un imperator al quale bisogna dare pieni poteri da dittatore per poi destituirlo alla prima occasione. Mi ricordo come Mac Arthur avesse finito con il sostituire l'imperatore, in Giappone, nell'animo dei piccoli, obbedienti, misteriosi, cerimoniosi giapponesini. I misteriosi, cerimoniosi e terribili giapponesini non possono vivere senza un Dio visibile e tangibile, un Dio che dica buongiorno e buonasera, che ordini loro di morire o di vivere, o di inchinarsi, o di lavorare, o di vincere, o di perdere, o d'essere imperialisti o di essere democratici eccetera. Hiro Hito comandava queste cose, una volta; ma, perduta la guerra, Hiro Hito aveva comandato che essi non dovessero considerarlo più Dio in terra, e che, al contrario, dovessero considerare Dio in terra la democrazia. La democrazia era Mac Arthur, poiché ai terribili e gentilissimi giapponesini un'idea deve presentarsi sempre incarnata da un uomo, da una creatura umayia. Essi si inchinarono dunque alla signora democrazia, alla democrazia-san, inchinandosi a Mac Arthur. Si, sì, mi ricordo, alle due del pomeriggio, tutti i giorni, SMll'Avenue A, a Tokio, l'uscita di Mac Arthur dal Daìci Building, dirimpetto ai giardini del Palazzo imperiale. Verso quell'ora io passavo di li, recandomi dal Corre- spondent's Club in Shinbun Alley alla sede di < Radio Tokio >. Vedevo un bell'assembramento sulla strada, davanti alla scalinata del palazzo di Mac Arthur. Erano donnine in kimono, onorevoli signore donnine con J'obi e magari l'onorevole lattante sulle spalle, a zaino; erano ex-soldati dal berrettino militare nipponico, l'onorevole berrettino dell'armata del sole, senza fregi, berretto da popolo vinto; erano vecchietti vestiti alla meglio, mezzo alla giapponese e mezzo alla europea; erano operai, entro gualcite tute turchine, eccetera: era Tokio, la popolazione di Tokio rappresentata da cento, duecento persone. Attendevano che il generale uscisse, Mac Arthur-San, — san cioè nobile, cioè signore, come il monte Fui), come lo Shinto, come Budda, come la bomba atomica, la bomba atomica-san, la onorevole signora bomba atomica. E Mac Arthur compariva sulla soglia: altissimo, serio, semplice, silenzioso', giubbetto cachi, pantaloni cachi lunghi e il berretto dalla fronda d'alloro sulla visiera. I giapponesi si inchinavano felici — o fingendo di essere felici, poiché essi possono benissimo fingere di essere quel che non sono, con piacere e amorosamente. Piaceva, piaceva ai vinti soldatini del Mikado l'onorevole vincitore, l'onorevole democratico c barbaro bianco » che governava a nome dell'Imperatore, come un vecchio Shogun, come un tradizionale luogotenente del figlio del cielo. Mac Arthur scompariva nella sua grande automobile dulie stelle d'oro sulla targa rossa. Virgilio Lilli iiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiuiiiiiuiiiiiiiii