Apparizione dei fellah nella lotta nazionalista

Apparizione dei fellah nella lotta nazionalista IL POPOLO AROCCHINO E L'INDIPENDENZA Apparizione dei fellah nella lotta nazionalista La storia che i giornali arabi non possono scrivere - Accanto a intellettuali e commercianti, il proletariato ha preso coscienza di sè • Il sultano, dice qualcuno, ha capito senso e valore delle nuove forse sociali , è (Dal nostro inviato speciale) Casablanca, aprile. Nessuno qui dice Casablanca, ma più brevemente tutti dicono Casa, indugiando sulla seconda a; e nessuno, in modo aperto, volentieri parla di quello che è capitato nel Marocco; anche in questo abbreviano, tagliano corto, quando non indugiano in un silenzio imbarazzato. Più che diffidenza, in questo modo di fare bisogna intravvedere la delusione provata recentemente, di fronte a sogni forse troppo arditi e troppo precipitati. Chi vuole essere ottimista ad ogni costo pensa che tutto oramai rimarrà tranquillo per molto tempo; chi cerca di prevedere il futuro pensa invece che si è soltanto turata una falla, con un'operazione che ha tutto il carattere della provvisorietà. Di .•solito costoro vivono a contatto con gli arabi e sanno come essi ragionano. Per esempio sanno che gli arabi dicono: « /I Governo francese ritiene che i mussulmani della Libia siano capaci di autogovernarsi. Ma se si tratta di noi, marocchini, che già abbiamo istituzioni antiche e buona esperienza amministrativa, allora cambia di parere. Il Governo francese non è, per lo meno, coerente ». Qualche settimana fa, durante i giorni della crisi marocchina, che passò quasi inosservata agli italiani perchè presi da altre curiosità e problemi, il Sultano cercò di giocare una carta molto importante. Lo hanno capito gli inglesi che da quel momento pensarono subito di riprendere in esame la loro tIMIIIIIII|[iaiJllllll[IMIIIIIIIIIIIIIIIllIIMIlll[ situazione nel Sudan; lo hanno capito gli americani, che per il momento hanno scelto una via comoda, quella di far finta di non avere capito nulla, hi realtà americani ed inglesi hanno capito che nel Marocco una certa situazione va senza dubbio, come si usa dire, maturando. Essa — è inevitabile — porterà sempre a pretese più forti di autogoverno, di indipendenza, di parità nei rapporti politici. Si tratta oramai di cercare nuovi pretesti, di sfruttare qualche occasione che, presto o tardi, si presenterà. La crisi risolta Dirò più avanti quale è l'odierna composizione del movimento nazionalista. Ad esso mancano soltanto i contadini. Chi poteva darmi esatte notizie sugli umori dei marocchini, mi disse infatti a conclusione di un lungo discorso: « Quando la campagna si muoverà, la situazione sarà dura per i francesi>, ed aggiunse (come d'altronde dovetti poi sentire da molti altri) jquasi con dolore: < La Francia ha perduto l'occasione per iniziare una nuova politica con noi ». Con la forza, con qualche menzogna, con qualche inesattezza la crisi recente è stata risolta. La forza è quella militare, di cui dispone il Residente francese, generale Juin; una menzogna, per esempio, è quella che ha fatto scendere dalle montagne, verso Fez, due o tremiia cavalleggeri (e non ventimila come trasmisero le agenzie giornalistiche filo-residenziali). Si disse che quei cavaileggeri scendevano alle pianure per dimostrare la loro tlilllltllli IIIIIIlllllllllllIlllllllllllllllltriIIIIEI fedeltà al rappresentante del Governo francese, ma in realtà a loro era stato detto che il Sultano correva grave pericolo e che bisognava difenderlo. A mezza strada poi, li rimandarono indietro. Una inesattezza, per esempio, è quella che il generale Juin poteva destituire il Sultano, licenziarlo come si fa con un impiegato infedele. Non potrebbe mai avvenire una cosa simile: il Sultano è eletto da un consiglio di ulema, cioè di nobili e di notabili; e nessuno, tranne quel consiglio, può negargli l'investitura che gli ha dato. Sono i piccoli passi falsi di una grande manovra per soffocare un'agitazione che era appena sul nascere. D'altronde di quest'agitazione od insofferenza, che nascostamente percorre il Marocco, soltanto qualche cosa è avvertibile a Casablanca e non altrove. Altrove essa è presente nelle misure poliziesche delle autorità francesi e con fatica si rintraccia nelle parole o negli atti della popolazione. Quando si viene dalla zona internazionale di Tangeri, alla frontiera un poliziotto passa da uno scompartimento all'altro del treno e si fa consegnare i giornali spagnoli, inglesi ed americani. Tanto per sentire come mi avrebbe risposto, gli domandai chi aveva dato un simile ordine. Avevo di fronte un giovane poliziotto francese, dalla faccia simpatica. Mi guardò un attimo incerto, poi ridendo rispose: « Sarà un capriccio del Sultano ». Non ebbi la battuta pronta, perchè avrei potuto ribattere chiedendogli se quelle colonne bianche, che spesso vedevo nei giornali arabi, imposte dagli uf- iriMMIMIlitIMIIllItllMIIIItlllllllIMMIIIilllllMIIIl fici di censura di Rabat e di Casablanca, fossero pure capricci del Sultano. D'altronde, un mattino, l'interprete che viene in albergo per leggermi e tradurmi i giornali arabi, disse con abbastanza buon senso: < In questi spazi bianchi c'è una parte della nostra vera storia. Qualcuno ha imparato a leggere anche qui, dove proprio c'è soltanto carta bianca >. Una parte di storia marocchina a cui alludeva il giovane intellettuale mio interprete, non era stata prevista dal maresciallo Lyautey, primo Residente che ebbe il Marocco, ed è con puntiglio ignorata dal generale Juin, che è il Residente di oggi. Il maresciallo Lyautey non voleva in Marocco molti colonizzatori, mercanti, industriali. Gli bastava tenere militarmente il territorio; e nemmeno desiderava un reale contatto tra i francesi ed i mussulmani. Tenne sempre separate le due popolazioni, anzi volle che l'una ignorasse l'altra, contento di governare tramite i capi arabi, che aveva per metà conquistato, per metà corrotto, dando loro onori e danaro. All'epoca in cui Lyautey venne via, nel 19£7, i francesi che si erano trasferiti nel Marocco erano poche decine di migliaia: ma già erano duecentomila nel 1936 ed oggi toccano il mezzo milione, contro otto milioni di indigeni. Gli avvenimenti del Marocco hanno origine in questi dati e in queste cifre: ecco come. Nella scia degli europei In principio il desiderio di essere indipendenti sorse negli intellettuali. Essi erano figli di notabili e di nobili; furono naturalmente i primi a venire in contatto con i concetti della vita democratica. Per la veritd il loro fermento rimase limitato a piccoli focolai, soprattutto a Fez, che è il cervello pensante del Marocco. Ma era una attività verbosa, come è nel carattere degli arabi; e forse sarebbe rimasta a lungo ancora inconcludente se non si fossero verificati nuovi appoggi. Con l'arrivo nel Marocco di commercianti europei i traffici presero presto diverso ritmo e diversa proporzióne: era una terra propizia a rapidi sfruttamenti. Nella scia di costoro, che potremmo dire pionieri, si sviluppò e senz'altro si creò una modernizzazione della classe borghese mussulmana. Sono quei ricchi mercanti che oggi si vedono percorrere le strade di Casablanca su automobili americane, loro sfessi al volante, carichi di donne e di figli, come per gite che farebbero la felicità di un regista in vena comica. Costoro, una volta timidamente, poi sempre più in modo chiaro, presero coscienza di sè e delle proprie possi- IIIIIIIIIIIIIMMIMIIIMIIIIIIIIIIIIIIIIMIIIIIIIIMIIIII- bilitd. Oggi facilmente capiscono che, se potessero liberarsi dai controlli stranieri e da rivalità pericolose, potrebbero conoscere un periodo di splendore. Sono ragioni meno nobili di quelle che muovono gli intellettuali, ma altrettanto buone per sostenere una comune azione politica. Con tutto ciò non si era ancora raggiunto nuda: intellettuali e commercianti, in una società come questa, chiusa e frenata da remore religiose tremende, non potranno mai trascinare gli altri, la massa, in quanto essa non soltanto è difficilmente organizzabile, ma persino classificabile. Calunnie e saggezza Allora, in questa storia marocchina oggi < bianca » sui giornali arabi censurati dall'autorità francese, comparve Casablanca. Come porto di mare, come città di grande commercio, come unica sede di fabbriche, essa richiamò subito molta gente. Erano poveri fellah che venivano dalla campagna, erano uomini denutriti (quasi tutta la popolazione è d'altronde denutrita) che lasciavano le loro tribù dell'interno e che si radunavano ai margini di questa nuova città per tentare l'avventura. Così ai margini della città, in quella zona che fu persino battezzata Bidonville perchè là si viveva tra pezzi di legno e di lamiera messi a formare un riparo, nacque quello che si potrebbe chiamare il proletario marocchino. E' una figura disperata e angosciante, non più legata ai compagni di una volta, che ha abbandonato volontariamente, non agganciata a nessuna reale speranza di vita, sempre in bilico tra vizi antichi e vizi nuovi, forse sempre lontana da reali virtù. Nessuno, oggi, vi nasconderà il lato tragico che ha avuto simile quadro di vita; ma poi concluderà: < Si può ragionevolmente sostenere che con il 1940 tale ingrato periodo ha avuto fine. Da allora questa massa, a Casabianca e altrove, ha cominciato ad avere coscienza di sè ». Questa massa, assorbita dall'industria, formata da operai che conoscono la vita dell'officina, si aggira sulle trecentomila persone; e vi faranno notare che quasi centomila sono sindacati alla Confederazione generale del lavoro. Sono tutti concordi nel dire che oggi anche costoro sono legati alla causa nazionalista e pronti a battersi per essa alla prima occasione propizia. Non saprei dire quante mie conversazioni con interlocutori arabi si arenassero a tale constatazione. Domandavo quali prove mi si potevano offrire circa il reale peso rappresentato dagli intellettuali, dai commercianti, dal proletariato in questa lotta. Fra le tante risposte ne riferisco una soltanto, quella che mi disse un giornalista arabo: c II Sultano non si sarebbe esposto nel modo che tutti oramai sappiamo, chiedendo cioè la revisione deaii accordi che regolano il protettorato francese, se non fosse stato spiìito e quasi costretto da quello che vede e sente intorno a sè. Egli ha capito la situazione, ha soprattutto capito che sono sorte nuove forze sociali, e ha voluto dimostrare ai suoi sudditi che è con loro ». A questo punto tutti tacciono e non fanno previsioni. Scuotono la testa davanti alle calunnie che cominciano a circolare ed una è quella che vorrebbe il Sultano < tacitato » con un miliardo di franchi. Con saggezza, con gravità che ha quasi sapore biblico dicono: c Anche se fosse vero, non sarebbe una buona politica per i francesi ». Enrico Emanuel li Per città e campagna: giacI ca inglese « a mandarino >

Persone citate: Casabianca, Enrico Emanuel