Le stagioni di Comisso

Le stagioni di Comisso Le stagioni di Comisso Quando Mario Missiroli mi af-i ferra nelle spire della sua verti- ginosa dialettica, sono sempre tentato di dirgli: — Sta fermo|con le idee. — E lo stesso do-, vremmo ripetere ad alcuni scrittori la cui pagina, il cui capitolo, il cui libro, hanno l'andatura di un fiume in piena, o il placido, ininterrotto fluire di un canale che non sarà mai secco. Era l'appunto che si poteva fare a Quasi una vita di Alvaro, e che sorge spontaneo davanti ai venti volumi di Giovanni Comisso: viaggi, romanzi, racconti, capricci poetici, d'arte, di storia. Una facilità prodigiosa di notar sentimenti, stati d'animo, paesaggi, descrizioni, una curiosità insaziabile di costumi (prevalentemente, di quelli che soglion chiamarsi i cattivi costumi) e di uomini, producono libri e saggi quasi sempre interessanti, ma talora svagati ed oziosi. Sicché vien voglia di sfrondare, di condensare, di ricostruire secondo certi schemi drammatici o romanzeschi, tutta questa materia impressionisticamente disegnata o riprodotta. Il « taglio » di Moravia è proprio ciò che lo rende romanziere e novelliere di classe, e la più discreta fortuna dei suoi rivali, si deve forse alla teoria della tavolozza, i cui colori non riescono a disporsi nella cornice di un quadro. Si aggiunga, nel caso di Comisso, la prolissità congenita agli scrittori veneti, abbondanti e discorsivi quanto i meridionali, e si capirà perchè egli ancor oggi non abbia, nel nostro panorama letterario, il posto a cui ambisce. Saranno Le mie stazioni ( edizioni di Treviso, 1951) a darglielo? Gioventù che muore, il suo ultimo romanzo, del 1949, era caduto nel vuoto, e mi aveva fatto pensare al Linati di Sinfonia alpestre, troppo facile e disinvolto, a quelle storie di coppie amorose la cui momentanea frenesia poco interessa il lettore esperto e non di primo pelo. Amori d'Oriente, riesumato pure nel '49 da Vitaliano di Longanesi, era una scorribanda pei bordelli di quei paesi, senza le spezie e i profumi che i francesi che si dedicano a tali faccende di solito sanno metterci, nobilitandole magari con richiami all'antologia greca o all'estetica del decadentismo. Le mie stagioni ci riportano invece al Comisso dannunziano e fiumano di Al vento dell'Adriatico, e se nella parte centrale sono poco più di un riassunto delle esperienze letterarie e dei viaggi giornalistici dell'autore (già noti, salvo qualche allora impubblicahile capitolo come quello, assai bello ed amaro, sulla Etiopia del 1937) si risollevano all'epilogo, con la ambigua e tragica passione da lui sofferta per un poeta in erba, fucilato dai partigiani nel '45, e ultimo di una serie di amici e di ragazze compiacenti, che ricordano il repertorio casanoviano. Chi conosce la storia del colpo di mano di D'Annunzio su Fiume, le sue conseguenze politiche, antiche e recenti, ha letto memorie e documenti, se ne dimentichi. Fiume, per Comisso, fu soltanto un'avventura poetica, una occasione pel suo temperamento sensuale ed artistico, il mondo incantato della giovinezza uscendo dal quale la vita non ha più senso, e pesa. 11 suo D'Annunzio è l'uomo che fa un predicozzo agli ufficiali i quali « sorpassano tutti i limiti » per assidue galanterie, proclama la propria « castità francescana », e poi riceve la notte per una porticina segreta « una canzonettista, chiamata Montresor, che lavorava in un caffè-concerto del posto, ed entrata nell'appartamento del Comandante, se ne partiva all'alba con cinquecento lire nella borsetta ». Alla famosa 1 pianista particolare » Comisso e i suoi amici sono avversi, e la credono persino spia e delegata dal governo di Roma: Keller, anzi, le scaglia « un pugnale fra i piedi, preso dal dispetto per aver saputo che un vecchio cacatoa, spelacchiato in testa, che egli le aveva mandato con allusione al suo naso ricurvo, ella lo aveva passato al Comandante come un dono di Keller per lui con allusione alle sue calvizie ». Dei personaggi di corte de! poeta. Le mie stagioni non danno miglior giudizio: c Gente arruffona, sfruttatrice del suo nome, imbroglioni e balordi ». Gl'intrighi, fittissimi, politici e militari, son presi sottogamba, e il giornale pel quale Comisso e Keller hanno scelto come primo titolo L'uomo libero di parte franca, finisce per chia marsi Yoga, giacché a fecondare la loro confusione morale e ideologica, arriva un ufficiale vene ziano immerso in pensamenti in diani, sì da dedicarsi a ricrear le caste! Per fortuna, c'è accanto a lui un cassiere da commedia, il quale imbarcandosi poi clandestinamente coi quattrini del giornale, assicura i redattori che il malloppo è in sue mani, e gli al tri « con rassegnazione » gli raccomandano « di fare una bevuta collettiva alla prima osteria » Tipi e bozzetti di questa fatta, valgon meglio di certe teorie, che pure affiorano, di sudditanza perpetua del popolo alla borghesia. « perchè gli italiani sono un popolo fisico totalmente dominato dalla natura, negato a ogni idea», i quali vogliono < governi di stile, del nostro stile » e soprattutto, al di sopra di loro, « uomini miracolosi e fantastici ». In realtà, quei ragazzi badavano a divertirsi e a fare all'amore, e quando arrivarono, a Natale, le canno nate giolittiane a dissipar sogni e progetti e a rompere l'incanto, « si pensò che una vita libera < sublime era per noi finita, e len tamentc ci colsero le lagrime ». Ci vorranno vent'anni perchè Comisso capisca che la vita istintiva da lui condotta, per cui < un uomo o un albero erano eguali » aveva governato dispoticamente la sua arte, e che i suoi maestri giovanili. Casanova e Cellini. eran detestabili. Ma il lettor attento non potrà fare a meno di rilevare che il ribrezzo ch'egli, nel 1942, dice di provare per Benvenuto che infigge nell'orci.- chio del nemico il suo pugnaletto cinquecentesco, non lo provavaper gli arditi fascisti e fiumani delle spedizioni punitive del 21- '22 1 quali facevano altrettanto fpag. 128). Nè la lunga e monotona ricerca, sempre e dovunque, di ragazze e di facili piaceri, poteva ravvivare le qualità dei suoi primi libri, che a lungo andare apparirono diari poco originali di un frequentatore di gente equivoca e di un amntor campestre. Una frase improvvisa: «La vita mi appariva come una pioggia che scende dal cielo, sbatte sulla terra, ritorna vapore al cielo per scendere di seguito. Capii che si muore vivendo » rivela una crisi. Ed è la crisi di tutta una generazione ancora dannunziana, indifferente ai sentimenti, impermeabile alla cultura, per la quale « l'uomo non esisteva che in forma astratta, più in relazione co! paesaggio che con l'anima », e che si cacciava « vivendo d'impulsi », nella politica internazionale sprovvista di ogni seria preparazione (il reportage etiopico, è a questo riguardo capitale). I ritratti: da Keller a Drago, dal Piccolomini che danzava seminudo ai latifondisti siculi, che appaiono nelle Mie stagioni sono caratteristici dei galantuomini del tempo fascista, e molto curiosi. E' una testimonianza che conta. E qui conviene toccare un altro tasto delicato. La sensualità di Comisso, viva, aggressiva, petulante, che non si ferma davanti alle pareti delle camere, nè ai rispetti umani, e si può quasi definire un'allegra e continua promiscuità, e Comisso fu gidiano sin dagli esordi. Artisticamente, siffatta ambiguità, che fa pensare alle favole platoniche sugli ermafroditi, è forse all'origine di quella mancanza di freni stilistici e di composizione, che notavamo in principio. Eccellente descrittore, sensibile ai giochi del tempo e delle stagioni, preoccupato degli influssi lunari, guizzante nelle acque marine e di fiume, solitario nella sua campagna, uomo a cui tutti i piaceri dei sensi son noti, e fruga e fiuta ovunque lo strano, il singolare, l'orrido e l'osceno, capace tuttavia di godere la semplice bellezza della natura, Giovanni Comisso è il panteismo in persona applicato alla letteratura. La famosa definizione: un roman est un mìroir qui se promène le long d'un chemin, sembra fatta apposta per i suoi libri, che sono anzitutto specchi entro cui la vita si riflette, con le sue minuzie e le sue ripetizioni; specchi non deforaiiiiitiiiiimiiimiimiiiiiiiiMiimiiiiimiiiiiiiii I manti, ma che però non riprodu cono lo spettacolo completo. Si può difatti odiare il cerebralismo e rintellettualismo spinti-all'ec| cesso dai sophisticated, però alla | gente di Comisso mancano totalniente le idee generali, o se vi s'arrischia, sono bizzarrie e strafalcioni. Anche in ciò, il ventennio raffigurato nelle Mie stagioni è ben caratterizzato. Ci si ferma ai sentimenti elementari, e dirci quasi animali: cibi, donne, paesaggi e quando, in fine, ricompare l'anima, è per la gelosia e l'abbandono del tenero poeta ed amico, il fuggitivo: «comprendevo tutto il mio passato e il mio errore nella mia vita e nella mia arte ». Le generazioni ultime e nuove, « crudelmente insensibili », formano dunque la disperazione di quella di Comisso; però derivano in linea retta dalla sua, egoista e narcissista e, come si direbbe con il vocabolario odierno, asociale. Adottando come motto « Io ho quel che ho donato », Gabriele era stato nunzio e profeta. Arrigo Cajumi imiiiiiimiiiiiiiiiiimiii limimi 1 La fidanzata di Re Faruk, signorina Narrlman Sadek, In una fotografia diffusa « ufficialmente > In tutto l'Egitto immmimmmmiimimmm ■■iiiiiiiiiiiiiRiiiiiiiiiiiinii(iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii Joan Rice, cameriera londinese, vinto un concorso, è stata ammessa a interpretare un nuovo film IllllllMIIItlllllliEllllllllttlIIIIII I1IIIII1lllll

Luoghi citati: Egitto, Etiopia, Fiume, Roma, Treviso