II codice delle buone creanze

II codice delle buone creanze FEZ E' IL BALUARDO DELLO SPIRITO MUSULMANO II codice delle buone creanze La casa araba è senza finestre perchè ci deve allontanare dal mondo - Le mogli come brave bambine - Non dite mai a una donna che è bella; le ricordereste che un giorno non lo sarà più - Con i mereiai contrattate a lungo, è un atto di cortesia - Praticare tutte queste sottigliezze non è facile; solo l'immobilità ed il silenzio possono portare lo straniero alla educazione perfetta Dal nostro inviato speciale) Fez, marzo. Si esce da una casa musulmana, dalla casa di questi arabi di Fez che i nostri costumi non hanno toccato in nulla, con la sensazione d'avere intravisto un quadro perfetto di serenità, di ordine e di calma. 80 bene che pure qui non tutto è òalma, ordine, serenità; che pure qui uno spesso velo di conformismo nasconde i desideri, le angosce e le preoccupazioni. Ma non importa. La prima e più forte impressione è quella che ho detto: nasce dalla casa e poi dalle infinite regole che imbrigliano la vita. Le inutili polemiche Non si può arrivare a capire qualche cosa di questa vita se non si parte dalla casa; e la casa araba, innanzi tutto, è intesa come allontanamento dal mondo. Essa è costruita per questo e per questo non ha finestre. Quando con un vecchio ara¬ bo il discorso cadde sui segni che dicono come anche qui qualcuno ceda di fronte ai nostri costumi, ho sentito esclamare: « Purtroppo è vero; e certi arabi, specie a Casablanca, fanno costruire le loro case con le finestre ». Pareva mi si accennasse ad un sacrilegio ed io annoto simile notizia perchè davvero ha grande peso. Una casa con finestre! Vuol dire poter guardar fuori e, neggio, vuol dire che dal di fuori possono anche vedere dentro. Ma a Fez, che è un intangibile baluardo dello spirito musulmano, una cosa simile ancora non si è vista. Qui le case, dalle più povere alle più sfarzose, sono ad un piano, hanno il cortile interno che serve a dar luce alle camere e per tetto hanno una terrazza. In ognuna vi è una duplice sistemazione: da una parte le donne, sia che si tratti della madre o delle sorelle o delle mogli o delle concubine; dall'altra l'uomo, con i suoi affari ed i suoi amici. Tale divisione, per quanto inconcepibile possa apparirci, semplifica in modo straordinario i rapporti della convivenza neliinterno della casa e la convivenza con gli altri, gli estranei. Inutile polemizzare contro simile situazione e gridare che sono barbari o retrogradi; gli arabi di Fez pensano cose peggiori di noi e ci ritengono dannati per sempre, destinati all'inferno appunto per il modo con cui viviamo. Meglio vale accettare una simile situazione e farci sopra qualche considerazione. La prima è questa: essa conduce ad un costante infantilismo nella donna. Mi è accaduto di vedere, ad una cerimonia qualche marito con le sue tre o quattro mogli (il Corano non ne permette di più) ed ho avuto una curiosa sensazione. Pareva di vedere un padre con tre o quattro figlie di varia età; e certo il comportamento di quelle donne verso l'uomo ed anche tra di loro, giustificava lo scambio dei rapporti di imiiiiiiiiiiiniiiiiiit iiiiiiiiiiiiiiimmiiiiiiiii parentela, senza per questo adoperare alcuna maligna forzatura. D'altronde altri episodi mi dicono che simili atteggiamenti infantili rimangono addosso alla donna sposata e l'accompagnano per gran parte della sua vita. Qualche volta succede che un arabo inviti a casa una coppia di stranieri, un marito ed una moglie. Alla fine della visita l'arabo dirà alla donna straniera se vuole vedere e salutare le donne della sua casa. Diverse signore francesi ed americane, che si sono trovate in simile situazione, sono sempre state concordi nel raccontarmi quanto succedeva. Rispondevano di si, per educazione e per curiosità. Allora venivano condotte alla presenza della moglie o delle mogli dell'ospite, nella parte della casa riservata a loro; e dopo generici saluti non esisteva possibilità di colloquio. Quelle donne arabe, non avendo una vita propria, ignare di ogni problema, soddisfatte della loro condizione di mogli, contente di dare figli al maritot si presentavano come brave bambine, alle quali avevano insegnato a non parlare troppo ed a non fare domande. I consigli sciocchi Nella casa del musulmano tutto è regolato su un ritmo che sovente sfugge allo stranerò. Di più: frequentando queste case, e conoscendo chi le abita, ci si sente quasi sempre sul punto di commettere qualche gesto sgradito o di dire qualche parola che può cadere a sproposito. Lo straniero, quando desidera entrare nelle case degli arabi, e frequentare i musulmani, troverà facilmente una guida che gli darà consigli sciocchi e superficiali. Voglio dire che troverà sempre qualcuno pronto a raccomandargli: < Se sarai invitato a colazione, ricordati alla fine di fare un bel rutto, che sarà inteso come segno della tua soddisfazione per aver mangiato bene », od altre cose del genere. Su questa strada, uno potrebbe pensare che le norme della buona creanza Si possano compendiare in consigli ai nostri occhi scherzosi. In realtà le norme della perfetta educazione sono più complesse e non rare volte rivelano atteggiamenti dello spirito che noi non possiamo nemmeno lontanamente immaginare. Un giorno, parlando con un giovane professore francese, che da parecchi anni risiede a Fez, ed al quale devo riconoscenza per l'aiuto che mi ha dato nel farmi capire come ancora si viva qui, tenevo la mano sinistra diritta ed aperta, con l a palma rivolta contro di lui, come per dirgli: <Un momento ». Vidi che, guardandola, sorrideva. Mi spiegò: < Non faccia mai un gesto simile parlando con un musulmano. Vorrebbe significare che quel tale, a cui sta parlando, ha il malocthio e lei se ne vuole difendere >. In un'altra occasione, alla vigilia di una visita che dovevo fare ad un vecchio personaggio del luogo, mi ero cercato un interprete. Costui era un giovanotto, che venne da me verso l'ora di cena ed al quale io, incautamente, dissi se potevo averlo ospite alla mia tavola. Desideravo dare al nostro incontro, e soprattutto al lavoro che dovevamo fare insieme, un tono amichevole. Avevo però dimenticato che mai un musulmano siederà a tavola con un miscredente, nel timore di dover mangiare cibi che le regole religiose gli vietano. Il giovanotto prese spunto da questo per dirmi in mar niera gentile che io ignorar vo molte cose intorno ai loro costumi e che, molto probabilmente, il giorno dopo non avrebbe tradotto parola per parola quanto io avessi detto. €E perchè t» domandai, subito pieno di sospetti. € Perchè — mi rispose — molte parole che voi altri stranieri dite, noi non le diremmo mai >. Siccome lo pregavo di darmi qualche esempio, continuò a spiegarmi: c Se lei, per caso, in una frase dirà la parola fuoco, io non potrò tradurla, e cosi sarà se lei parlerà di catrame e lo nominerà». Furono i due primi esempi che mi disse e che io con precisione ricordo. Così, se io per caso avessi detto la parola fuoco, che rievoca il fuoco deH'inferno e quindi i suoi tormenti, per una convenzione oramai secolare, il mio interprete avrebbe sostituito come vogliono le buone regole: invece di nar, che vuol dire fuoco, avrebbe detto afla, che significa pace; e se poi 10 avessi alluso o nominato 11 catrame, che è di colore nero e quindi di malaugurio, egli avrebbe tradotto cil nastro bianco >. Con tali eufemismi, non soltanto si rivela il lato magico che l'arabo colloca in molte parole, ma anche il suo desiderio' di non offendere, di non dire mai una parola che possa sonare sgradita a chi la sente. Ogni giorno mi capitava di fare una nuova scoperta. Mi accadde questo: ero stato parecchie ore ospite in una bella casa, circondato da infinite cortesie ed attenzioni. Prima di venir via dissi qualche frase per elogiare la bellezza dell'ambiente. Il mio interprete mi guardò mormorando: < Sarebbe maleducato se io traducessi quanto lei sta dicendo » ed inventò lui qualche cosa, adoperando una delle molte formule che la consuetudine suggerisce. Seppi dopo che la perfetta educazione proibisce di dire ad una donna che è bella, perchè nel dirlo inevitabilmente si crea l'immagine op- posta, quella che la bellezza un giorno scomparirà; e nel trovare magnifica una casa inevitabilmente si corre U rischio di far pensare ai pericoli a cui è esposta, primo fra tutti d'essere incenerita dall'incendio. I romani avevano le stesse fisime, per loro si trattava di non suscitare la gelosia o l'invidia di qualche divinità; e nulla di più naturale che esse si siano conservate intatte in questo angolo di mondo arabo e più precisamente a Fez. Infatti alla distanza di pochi chilometri ci sono ancora le rovine di Volubilis, che fu una grande città romana; e poi, come gli studiosi giustamente ritengono, gli aspetti di determinate civiltà sopravvissero sempre più a lungo nelle zone periferiche. La paura di sbagliare Afa non di questo intendo adesso parlare. Continuerò nel dire come in molte altre occasioni mi sia trovato di fronte ai principi generali dell'educazione araba, nei quaU è costante il desiderio di compiere o di dire cose gradite, in una curiosa gara di reciprocità. In un vicolo della medina di Fez mi ero fermato davanti ad un negozietto per comperare un berrettino di lana, una taghìa, e cosi ripararmi dal vento e dal freddo. Domandai al venditore quanto costava, mi rispose duecento franchi ed io pagai. Gli volsi le spalle per andarmene, ma il venditore mi buttò dietro una frase in arabo. Domandai al mio interprete che cosa aveva detto; e l'inteprete, scotendo la testa: « Niente. Non è soddisfatto, sostiene che affari combinati così portano male ». Quando seppi perchè affari combinati a questo modo portino male, considerai d'avere fatto una importante scoperta, una specie di < chiave » per capire altre cose, davvero sottili e sfumate. Da questo episodio compresi il motivo delle lunghe contrattazioni che gli arabi amano fare e diluire, e quanto prima mi appariva un difetto, generato dall'avarizia o dalla diffidenza, mi apparve una qualità. Quel tale venditore mi aveva dunque chiesto duecento franchi per la taghìa; io avrei dovuto offrirgliene cento; lui avrebbe risposto (per farmi un favore) centocinquanta; io avrei dovuto dire (per fargli un favore) centoventicinque. L'affare si sarebbe così concluso con reciproca soddisfazione, avendo dimostrato l'uno all'altro il vicendevole desiderio di scambiarci una cortesia. Tali esempi mi si moltiplicavano involontariamente giorno per giorno. Mi facevano capire sino a quale punto il convenzionalismo domini la vita dei musulmani di Fez: esso è tramandato da secoli e non conoscendolo, o non gustandone il lato buono, origina facilmente le false impressioni ed i aiudizi sbagliati. Per parecchi giorni tutte queste piccole cose formarono come una ossessione per me. Entravo in una casa musulmana già curioso di sapere quali errori avrei commesso, e la fantasia li moltiplicava e li ingrandiva. Quando, una volta, dissi al mio interprete che soltanto l'immobilità ed il silenzio mi avrebbero portato all'educazione perfetta, egli sorrise e seriamente rispose: < Può proprio darsi che sia cosi». Enrico Emanuelli Il prof. Ronald Richter a cavallo con la consorte nel dintorni di Buenos Aires. Egli è l'inventore di un originale metodo per la produzione di energia nucleare. Il Presidente dell'Argentina Peron ne ha dato l'annunzio al mondo, ma gli scienziati atomistici d'America e d'Inghilterra sono scettici, attendono precisi ragguagli tecnici

Persone citate: Enrico Emanuelli, Peron, Ronald Richter

Luoghi citati: America, Buenos Aires, Inghilterra