I turchi battaglieri e la guerra in Corea

I turchi battaglieri e la guerra in Corea I turchi battaglieri e la guerra in Corea Forza rude ed esuberanza nazionalistica - Un film quasi documentario con scene di fantasia - Il pubblico s'entusiasma • Finale elettrizzante: alla baionetta! (Dal nostro inviato speciale) Istanbul, marzo. L'ammiratore della forza, deluso di come si vadano estenuando lo spirito aggressivo e lo slancio vitale d'Europa, finirà probabilmente per considerare i turchi un popolo eletto. Chi può negare la loro sobrietà, e pazienza, e disciplina, il loro proverbiale senso del clan* Mi raccontava un colonnello il caso di una recluta cui l'istruttore rimproverò l'imprecisione nel tiro: « Credi che i proiettili non costino nulla al governo ? », gli chiese, e alla fine della quindicina il soldato rifiutò la paga perchè l'esercito si risarcisse dello spreco. Un altro, un fante di Konyr., è all'ospedale con una vertebra spezzata: si ostinò, sordo ai consigli del comandante, a recuperare un mulo sperduto nel meandro d'una forra: « Sarebbe stato un guaio per il reggimento se il mulo si fosse rotto una zampa », rispose più tardi ai barellieri. Questa è la dedizione dei turchi, la loro ru¬ lllllllllllItlIMlillllllllltllllllllllIflllllllItlllllllllIl de forza d'animo, il loro «senso ai stato» privo di sfumature. Se un nuovo Tacito ci proponesse oggi un esempio e una via di salvezza, la Germania del 1950 si chiamerebbe, forse, Turchia. All'angolo del ponte di Gàlata, la ressa dei passanti vi investe: nessuno vi bada (tenetevi ben saldi agli urtoni), nessuno si gira, nessuno sosta o si affretta. La folla sul ponte di Brooklyn non è cosi cieca. Il flusso delle auto pubbliche, incredibilmente numerose come incredibilmente scarse sono quelle private, è continuo. Tram stracarichi e impolverati stridono sulle rotaie. Le ragazze camminano a testa alte.. Il fischio dei rimorchiatori vi assorda. Lo sfondo, violento di minareti e di nubi, pare inchiodato sul cielo metallico. Il ponte svetta come la tolda di una nave. E' la ressa, a investirvi, o la vita, la vita tout court, col suo vigore di elemento? La «febbre esistenziale » è qui, dove la folla ha una lllllIlllllllllllllllItlllllllItllllllllttlllllllllllllll apparenza di pittoresco, ma dove ognuno fa la sua strada, come Innocente cavallo da soma. E magari ci meravigliamo ( nè sarà 1 ultima sorpresa turca) che Istanbul sia una città di gente onesta e che non esistano, se non per colpa dei levantini, furti e raggiri. « Un brigadiere si diceva reduce dalla Corea, leggo sul giornale di stamani, e raccoglieva ovazioni e tributi. La polizia ha stabilito trattarsi d'un mistificatore. Naturalmente era un levantino ». Il Bazar, oggi Probo e duro: ecco 11 popolo turco. Il nuovo Tacito potrebbe dirvi che, se il livello di vita non fosse tento basso, questo popolo ridiventerebbe « esplosivo » come all' epoca delle grandi conquiste. Secoli e secoli di contatto con l'Occidente, a cominciare dal fastoso e sottile Occidente bizantino, non hanno scalfito la corteccia soldatesca dei turchi. L'Islam ha dato loro la religione, non certo la fantasia. In un mondo dove solo conta la verginità della potenza, il fatto che i turchi rimangano impenetrabili al gusto dell'umanesimo, è un fatto positivo. Vista da questo punto, anche la loro suscettibilità morbosa di fronte allo straniero è positiva. La « rivoluzione in marcia » Intende servirsi dell'Occidente, non servirlo. Chi ha il culto della forza perdonerà ai turchi l'arroganza, la presunzione della piccola borghesia «ataturklana», il cattivo gusto dei nuovi costumi europeizzanti. Il Gran Bazar era pieno d'ombre e di fascino, con mercanti di tappeti che venivano da Samarcanda e profumi che ardevano nascosti, evocando 1 misteri d'Arabia; oggi vi si vendono prevalentemente scarpe di gomma o cravatte sgargianti, e dovunque imperversano cartelli reclamistici di tipo americano, con « pin-up girla » seminude. I giovanotti, dalle chiome unte di brillantina, sono fanatici per le partite di calcio. Le donne, immemori del velo segre to, si agghindano con prepotenza provinciale; la vanità de"11 ufncialetti appare senza limiti. Si legge per lo più Pon zon du Torrail, come scrivono qui, o 1 romanzi gialli di Edkar Vallas. Che importa? Tut to auesto intacca soltanto la superficie. Il turco resta turco, e il nuovo Tacito, alla resa dei conti, saprebbe magari perdonargli U suo vecchio inestirpabile, peccato capitale: la violenza contro la carne. I giornali di stamani riferiscono il rapimento, a Brussa, d'una giovinetta che ha dovuto soggiacere 8 sedici bruti; e la settimana passata, in un villaggio anatollco, una ragazza ne sopportò, forzatamente, ventisei. La maschera di Ataturk « Exuberance mai tournée » dicono sornioni i francesi di Smrne. Quel che conta, oggi, è l'altro viso dell'esuberanza: l'amor di patria dei turchi, un amore conformistico e al tempo stesso incontaminato, una risorsa che nessun Paese della vecchia Europa custodisce ccn fervore altrettanto incandescente. Ieri sera le grandi sale di proiezione erano monopolizzate dalla prima di « K6re-de-TUrk », i Turchi in Corea, un film che, notano le cronache, costituisce « il glorioso esordio della cinematografia stambuliota nell'arengo lnternazionele»; ed è, tecnicamente parlando, un povero film dove le scene di fantasia si mescolano a grossolani tagli di documentario, con un ritmo fiacco che prostra lo spettatore occidentale. Ma le « code », fatto unico a Istanbul, dilagavano in silenzio sui marciapiedi, e il pubblico, fin dall'inizio, sembrava in delirio. Sullo schermo palpitava la bandiera della mezzaluna: lo speaker leggeva il « testamento politico » del Padre del¬ lilllllllllll iiiininininiiiiiiiiiiiiiiiiiiilliiliil la Patria, mentre la maschera di Ataturk appariva in trasparenza, simile a un'incarnaz.one di ectoplasma. L'immagine di un mappamondo ruotante sorse all'improvviso dal buio: dalla penisola coreana balzarono lingue di fuoco, e nuovamente si dispiegò sul telone il vessillo turco. Gli applausi non finivano più. Trascurabile, nel film, il « pathos » all'europea. Un capitano, bell'uomo, dal volto angoloso e dai baffi gagliardi, un sergente tuttopepe e un caporale dalla testa rasa apprendono che il loro reggimento è destinato a far parte del corpo di spedizione. Tutti e tre hanno moglie, con tenerissima prole; tutti e tre debbono affrontare il problema di comunicare in famiglia la grande notizia. I lunghi, neri occhi della moglie del capitano versano qualche lacrima, le sue braccia ben tornite si avviticchiano al collo dell'uomo: è la sola scena « straziante », nel saettino borghese, ricco di tappeti confortevoli, con un apparecchio radio in primo piano, emblema di opulenza. Al sottufficiale e al graduato di truppa bastano addii più sobri. Si parte. Sulla tradotta che fila verso l'imbarco di Iskenderun i soldati cantano nenie. A Iskenderun (e 11 pubblico impazziva d'entusiasmo) il presidente della repubblica Celai Bajar, li passa in rivista, reggendo in mano l'impeccabile cappello a cilindro. La prima parte del film si chiude con la dissolvenza della nave-trasporto in rotta verso il canale di Suez. Il secondo tempo si apre in Corea, sulla guerra che divampa. Il pubblico in piedi H morale del corpo di spedizione turco è alle stelle, l'efficienza dielle jeeps, dei cannoni, degli ospedali da campo perfetta; si levavano dal pubblico chioccolìi compiaciuti. Ma s'avvicina il momento dell'offensiva cinese: compaiono sullo schermo, terribilmente « brutti », pescati chissà dove, gli alti ufficiali di Mao-Tsè. Il loro scopo strategico è chiaro: accerchiare i turchi e annientarli. Gli spettatori tacevano depressi. Potranno quattromilacinquecento eroi (« eroi » è il termine tecnico col quale la stampa turca allude ai membri del corpo di spedizione) resistere all'urto dell' armata gialla ? Circondati dal comunisti, gli eroi si sbandano. All'orizzonte tuona minacciosamente la artiglieria cinese, i soccorsi anglo-americani non si fanno vivi. Il bel capitano cade sul campo di battaglia pronunciando frasi patriottiche. Una pallottola fredda il sergente tutto-pepe; il caporale dalla testa rasa, è ucciso da una sventagliata di mitra. E' finita, dunque? (Dal pubblico annichilito si alzava un rumore strano, ottenuto col battere la lingua contro la chiostra dei denti, in segno di tensione e di delusione). Non è finita. « I turchi sono forse abituati ad arrendersi ?» — apostrofa un ufficiale 1 suoi uomini. — « Alla baionetta! ». Lentamente, con mano cauta e ferma, i soldati, bocconi nel fango, inna3tano l'arma. Ad un cenno si levano. Avanti! Esce da loro un grido terribile, le baionette scintillano al sole. I soldati turchi corrono, tra la raffica che li falcia, corrono e urlano. B pubblico s'era tutto levato in piedi, in un clamore crescente. Forza, forza! I cinesi ruggono invano. L'arma bianca dilania le loro viscere, brilla insanguinata. Quando la luce tornò nel salone, gli occhi degli spettatori erano accesi di lampi. B pavimento. era cosparso, in misura inimmaginabile, da bucce di noccioline. Carlo Laurenzi iiliilllliliiliiliiiiiiiiiiiiiiiiiMilllMlilllliliiiiiiiiD

Persone citate: Carlo Laurenzi, Mao, Turchi, Turk, Vallas