Vecchia Persia di Giovanni Artieri

Vecchia Persia Vecchia Persia Fra Teheran e Sciraz corre la •tessa distanza che tra Roma, e Lione: bisogna superare certe alpi di almeno cinquemila metri, tra venti furibondi e costanti, simili a correnti d'alto-forno, nell'aria color platino, accesa d'un lume accecante di lampada ad arco. I piloti si mettono dentro certe gole basse, lunghissimi corridoi di rocce policromate, non si sa bene se per ripararsi dal vento teso dell'altezza o per scegliere vie scorciatoie. Che per aria si dovesse ricorrere alle scorciatoie l'ho imparato volando in Persia. A Sciraz arrivammo in due europei: un giovanotto francese, addetto come esperto di lingue e letterature orientali alla sua ambasciata a Teheran ed io Ci s'era incontrati all'aereoporto: tutti e due diretti a Persepolis e subito ci unimmo, prima di tutto per la leggera angoscia di quel viaggio in arie così straniere, poi perchè in Oriente il tempo è fermo: viaggiar soli giorni e settimane deprime; s'è conquistati dalla vaga impressione di vivere, tra gente e lingue e dialetti e terre inconsueti, come la mosca sotto il bicchiere Intanto sapevamo cos' attenderci dalla città di Sciraz, nome celebre anche da noi per i tappeti (ma poi tappeti non se ne vedono perchè li fabbricano in seno alle tr'où, nei villaggi). Ci avevano già detto a Teheran che lì non c'era da vedere altro che le tombe di Hafiz e di Saadi, due poeti, e il giardino di Cavam; ma noi avremmo rinunciato volentieri alle tombe dei poeti e al giardino di Cavam se, data l'ora, un'automobile avesse voluto condurci a Persepolis seduta stante. Al « Levantour », ch'è la CIT di quei posti, non fu possibile procurar la macchina; avevo una lettera per il generale Ardelan governatore militare della città e gliela mandai sperando di indurlo ad aiutarci. Ma il generale non ti trovava in ufficio e avrebbe potuto riceverci soltanto all'indomani. Impiegammo, allora, il pomeriggio a vagolare in cerca della vecchia Persia. * * Quel nostro passeggiare mi ap parve subito molto simile al lavoro d'uno che gratti una vecchia pergamena per scoprirvi an tichi preziosi caratteri; o, meglio ancora, al passar un batuffolo di trementina su una tela abbandonata, svelando, toppa per toppa, un celebre dipinto. Così è l'Oriente, che non si concede per volgari immediatezze di « technicolor », ma attraverso atmosfere sottili e incanti sospesi. Le città persiane legate alla favola e alla leggenda come Sciraz, come Isfahan, come Qum, Tabris o Mesced mostrano quale più quale meno un loro aspetto occidentalizzato, ma — a guardarle bene — serrano, rivelandoli avaramente, i loro carat teri e aspetti antichi. Ci addentrammo, così, per le vie di Sciraz, fuori del corso principale, tanto simile a uno dei nostri con case più basse e fanali più alti dietro quella cortina di edifizi e botteghe trovammo vicoli chiari illuminati dall'oro di alberi seccati all'arido vento: fichi e salici millenari dentro enormi cortili di moschee abbandonate, trovammo un bazar copertj, quasi buio, spopolato e dentro i suoi aggrovigliati spazi tenebrosi il pertinace ritmo dei battiloro, lo stridere di grillo dei trapani da oreficeria, e tratto tratto il pizzico d'una chitarra persiana dal manico lungo: proprio r'i quelle che si vedono in mano alle estatiche donne d'avorio delle miniature. In questo andare a vuoto sbucammo nel giardino del Museo. Sulla proda del bacino, che si trova in ogni giardino e cortile di edificio persiano, il guardiano tra le sue tre mogli tagliava cipolle. Ci guardò un poco, poi. secondo la regola coranica ce ne offrì una: il cibo che in quel momento stringeva nelle mani. Le tre mogli, di cui due abbastanza giovani e belline, mormorarono dietro il loro velo la formula: «Dio ti benedica. Dio ri mantenga sempre giovane », e se ne andarono, lo trovai tutto t io incantevole; il mio compagno non disse nulla. Una volta visitato il museo che conteneva bandiere degli antii hi Scià, armature del Seicento e i grandi catafalchi di ferro per la festa mussulmana del Moharrem uscimmo in un'altra stradetta e qui subito fummo colpiti dal rapido passare da un lato all'altro di certe botteghe tenebrose e profonde, di una piccola folla d'uomini spettrali, incredibilmen te magri, nudi sotto una leggera camicia di cotone giallo. Dalle porte fiatava un caldo afrore di pelle sudata: era un bagno a "apore, e quegli scheletri vivi erano massaggiatori tra i loro aiutanti, donne grasse e ragazzi. Veniva da pensare come fosse inquietante il lasciarsi massaggiare da tanta gente. Uscimmo sullo spiazzo dominato dai bastioni della città e dal Castello della Gendarmeria, una fantasiosa costruzione bellica a torri circolari di mattoni gialli, decorata all'esterno, cioè dove negli assedi avrebbero battuto le cannonate, di delicati ghirigori Le preziose porte istoriate del Palazzo di Murscid, ch'e adesso un deposito di spezie, gli archi di cristallo e le absidi di specchio della Imam Zadè, con le tombe di tre Santi, e altri vecchi monumenti ci « raccontavano » insensibilmente la lunga novella di Shiihèrezade, della favolosa Per¬ sia. Non che noi due, io e G., ci lasciassimo conquistare da quella magìa: una vera magìa poetica. Anzi ci si chiedeva per quale ragione, poi, io che per esempio non ho mai visto Mantova e lui che non aveva mai visto Avignone o Nìmes, fossimo arrivati laggiù a diecimila chilometri da casa, per vagare nella vecchia Sciraz. * * Alle tombe dei poeti e al giardino di Cavam ci trasportò una carrozza. Ci trovammo fuori di città nel paesaggio minerale della campagna persiana. Il poeta Hafiz, contemporaneo di Dante venne onorato dal padre dell'attuale Imperatore, Reza Scià, con un mausoleo. Da noi come poeti persiani conosciamo Ornar Qayyam, che le signorine recitalo con i versi di Paul Géraldy; ma in Persia, Qayyam arriva buon terzo dietro i più celebri e raffinati lirici e mistici Hafiz e Saadi, i cui « Divan », cioè le raccolte di poesie, vengono letti dall'Afganistan all'Egitto come da noi il Vangelo e se ne traggono le sorti, aprendo a caso il libro. (Desidero chiarire che la parola « Divan » non contiene nessun significato inquietante e la fama erotica dei castissimi lirici persiani, sparsa in Italia e in Occidente, è del tutto usurpata). Nel cimitero di Sciraz si vede dunque il mausoleo fatto elevare dall'Imperatore Reza alla gloria del Petrarca persiano. Sul largo frontone marmoreo sale una scalea monumentale, verso un giardino e una specie di baldacchino di pietre intarsiate e maioliche azzurre, sormontato da una cupola di rame. Sotto le stelle d'argento della cupola il sarcofagi di giada. Vi si intrecciano le calligrafie dei versi più belli : « Colui che porta l'amore - diventa leggero come una nuvola ». « Tu ridi e ti diverti - l'altro piange e si dispera. - Il mio male mi me raviglia. - Ma strano sarebbe se 10 stessi bene », ed altri. Tutt'intorno fiorivano aiole di narcisi e convolvoli e altre delicate corolle e tra queste s'affollavano donne giovani, coperte dallo « sciador » nero, il velo, così che quella l'avresti detta solo un'assemblea plenaria di occhi, di sguardi lunghi, di luminose pupille Pregavano, le mani giunte, almeno così mi parve: le dita tra le dita. Agitavano le labbra ma, poi G., che capiva il persiano, mi chiarì ch'esse ringraziavano il Poeta per favori e miracoli in affari di cuore, recitandogli sot tovoce i suoi stessi versi Erano moltissime e, a vista, ne cresceva 11 numero, si diffondevano per i bacini di acque ferme, tra i cespi e i colonnati in attesa del loro turno attorno al sarcofago di Hafiz. Altre persone, meno poetiche però, badavano in quel cimitero ai loro morti. Chi aveva steso un tappeto accanto alla tomba e re citava il Corano della sera; chi svolgeva un cartoccio di dolci e mangiava; chi chiacchierava sotto voce e rideva con la persona della tomba accanto. Un vecchio affianco al sepolcro del suo nip< tino, si fogliava pacificamente le unghie dei piedi. Uscimmo al l'aperto e la carrozza si mise per una pista polverosa verso la tomba di Saadi. * * La trovammo in un villaggio ai piedi dello strapiombo di certe montagne, tra vigne secche, case di fango e lunghi muri li sterco di vacca. Si trova dentro una caserma militare, al piano terreno. Per Saadi il vecchio Scià non decretò alcun mausoleo; il Parlamento di Teheran, però, forse per fargli dispetto, ne vo tò i fondi: ma poi non se n'è fatto nulla. Così il poeta attende da circa sei secoli una sistemazione. Il custode spalancò una porta e apparve la grande grata di metallo dietro la quale, disteso nella penombra, si vedeva il sarcofago di marmo verde, coperto di geroglifici aggrovigliati Vi si leggevano alcuni « ghazal » (liriche) e questa curiosa sentenza politica: «Dieci pazzi posso no dormire sotto lo'stesso lenzuolo,, ma non esiste sulla faccia della terra una camera capace d; alloggiare due re ». Alla parete si vedeva il suo ritratto a pastel lo, copiato forse da antichissime miniature. Era un uomo grasso e grosso: s'immagini Antonio Baldini con baffi mongolici e occhi a mandorla. Non trovammo donnette preganti; la clientela di Hafiz è richiamata anche dal mausoleo nuovo. Attorno a Saadi, in quel cupo villaggio di vigne aride, si trovavano solo alcuni snidati del la guarnigione di Sciraz. Però anche Saadi ha le sue fedeli e stavano poco in là. in un pozzo, o, meglio, in una fontana sottcr ranea detta, appunto, « l'acqua di Saadi ». Non soltanto i versi ma anche l'acqua di questo poeta — ci spiegarono — rende grazie alle donne innamorate che ne bevono. A me questo particolare della fontana commosse dentro una forte simpatia per Saadi e il poetico popolo di Sciraz; ma il mio amico G., più scettico soste neva che tutta la poesia persiana in blocco non vale un sonetto c'i De Musset e citava il famoso « ghazal » di Saadi in lode del vino che dice: «Quando il trono di Shamsi venne rovesciato, il nostro dolore venne lenito dal vino ». Effettivamente in italiano (o in francese) questa lirica non significa molto e stavo per l.ir ragione al mio amico. Lui incal zò con altri argomenti e conclu se che l'unico guadagno di quel viaggio a Sciraz era quello di aver imparato che da qui viene il nome del liquore « cherry ». Esagerava evidentemente: d'altra pane lui ed io, dominati dal la stanchezza e dallo strano pae se, si soffriva di una leggera nevrastenia. Giovanni Artieri