Uomini e cavalli

Uomini e cavalliUomini e cavalli Barbaricina. Pochi sanno, anche fra gli appassionati d'ippica che in questo paesetto vicino a Pisa tre o quattro chilometri, svernano molti cavalli da corsa (si intende: puro sangue). E che la più parte dei nostri fantini, compresi quelli dal cognome prettamente forestiero, sono nati a Barbaricina, come i loro padri! e nonni. E prima di parlare in-| glese (se mai lo parlano) parlarono il pisano di Neri Tanfucio, il vigoroso strascicato cantinelante pisano di Sottoborgo. Barbaricina è un piccolo paese; anzi, meglio che un paese, un gruppo di case, sparse qua e là e di varia architettura: qualcuna arieggia lo chalet svizzero, qualche altra il villino all'inglese, altre ancora la fattoria toscana. Bellissimo il paesaggio: l'Arno, allargandosi maestoso e silenzioso verso il mare («Come l'estate porta l'oro in bocca - l'Arno porta il silenzio alla sua foce », cantò D'Annunzio in una delle più belle liriche di Alcyone) divide, si può dire, la Versilia dalla Maremma. Dolce la Versilia, aspra la Maremma. E Barbaricina tiene un po' di quell'asprezza e un po' di quella dolcezza. Pini e olivi, platani e ginepri, prati e macchioni la circondano. E se verso il mare canta l'allodola, giù per le forre e sotto i ponticelli romani di San Rossore, sfrasca, grugnendo, il cinghiale. Il clima mite anche l'inverno (a Pisa, arrivandovi da Firenze In pieno gennaio, Leopardi, come ricorderete, si levò il ferraiolo, ed era piuttosto freddoloso), la terra pianeggiante e distesa, i prati, le ampie strade ombrose, i lunghi vialoni, fanno di quei posti una svernatura ideale per i cavalli da corsa, specialmente per i puledri, macchine sensibili e delicate, la cui vita è regolata col cronometro, sorvegliata minutamente, seguita passo per passo da occhi esperti. In fila, le calme mattine d'inverno, quei puledri che rappresentano l'aristocrazia equina e valgono milioni, escono dalle scuderie e si avviano alle piste di San Rossore dove vengono educati e allenati alla corsa. Bambinelli con le uose alte abbottonate sul davanti, i calzoni stretti al ginocchio, i berrettini calcati fino agli orecchi, sono i loro abituali accompagnatori per quelle strade diritte sulle quali si stende l'ombra dei pini. Bambini e cavalli si intendono benissimo. A Barbaricina, i bambini prima di andare a scuola per imparare a leggere e a scrivere, hanno imparato a montare a cavallo. Si direbbe anzi che a Barbaricina i bambini nascano a cavallo o siano messi a cavallo appena usciti dalle fasce. Sono tutti figli di fantini o di allenatori. In casa non sentono parlare che di cavalli. Conoscono i nomi e la storia dei più gloriosi. Sanno l'anno preciso che Sansonetto vinse un gran premio in Inghilterra, il nome del padre e della madre di Nearco, il manto del nonno di Ortello. Guardateli: con i loro visetti affilati e i denti lunghi, assomigliano ai cavalli che conducono in pista. E quei cavalli così estrosi e inquieti e facili ad impennarsi, come diventano docili alla voce, al gesto di quei bambini: basta un grido o una lieve stratta alle redini per frenare ruzzi e capricci dei più focosi. Le luci si spengono presto, la sera, nelle case di Barbaricina e si riaccendono avanti l'alba. All'alba, le donne preparano il caffè dietro i vetri delle finestre basse, i vecchi con la pipa accesa in bocca si affacciano sulla porta per vedere che tempo fa, i giovani si affaccendano intorno alle scuderie dove risuonano alti i nitriti e gli scalpiti. La vita dei fantini e dei loro familiari è semplice, quasi monastica. Ha le sue regole ferree, i suoi principi patriarcali. E un'innata eleganza. E il senso della pulizia e dell'ordine. Non si diventa grandi fantini che a prezzo di grandi rinunzie. Quei ragazzi che osservano gli allenamenti a cavalcioni di uno steccato o appoggiati al tronco di un pino, lo sanno. Lo impararono dai loro padri e nonni. Sanno che chi traligna è perduto. Montare a cavallo, specialmente per chi a cavallo' quasi è nato, non è difficile. Difficile è restarvi con autorità e maestria, raggiungere il tòcco elegante di Camici (con l'accento grave sull'i, che Càmici, come si sente spesso chiamarlo in Alta Italia, a Barbaricina risulterebbe sconosciuto) l'occhio infallibile del povero Orsini, l'orecchio miracoloso e il senso del traguardo di Caprioli (uno dei pochi, fra i grandi fantini italiani, che non sia nato a Pisa). Sul carattere di questi uomini che vivono fra i cavalli, ci sarebbe molto da dire. Generalmente chiusi, un tantino scontrosi e timidi in mezzo alla gente, sono tutti di poche parole. Un fantino chiacchierone è un fantino " mancato o un mediocre fantino. Gli insigni parlano, se mai, col cavallo; con l'uomo tacciono. Vedeteli quando scendono di sella, dopo la corsa. Gli allenatori stessi non riescono a cavar loro di bocca che lo stretto necessario per dire com'è andata Il resto è silenzio. Anni fa ebbi modo di seguirne da vicino la vita a Pisa e a San Rossore durante gli allenamenti invernali. Ne serbo ricordi bellissimi. A Pisa, in quell'antico al bergo Nettuno lungo l'Amo, caro albergo ottocentesco poco o ggst niente mutato dai tempi di Byron, alloggiavano i proprietari di scuderia. E la mattina il primo ad alzarsi era Federico Tesio. Lo incontravo nell'atrio che leggeva il giornale, aspettando l'automobile: solo, chiuso in se stesso, il cappello sugli occhi, protetti da grandi lenti cerchiate di tartaruga. Qualche volta si affacciava sulla soglia dell'albergo, a guardare l'Arno nella sua silenziosa corsa verso il mare e la chiesetta della Spina, bianca e rosa sotto i primi raggi del sole. Era difficile sorprenderlo sull'allenamento. Quando gli altri incominciavano, lui aveva già finito. Affidava il binocolo all'autista, faceva qualche passo col suo fantino pochi passi e pochissime parole), poi riprendeva la strada di Pisa. Credo che il pomeriggio si dilettasse a dipingere pinete e marine oltre Tombolo, sul limitare della Maremma, nel paradiso dei macchiaioli. Dopo cena, Tesio andava subito a letto o quasi subito. Se si fermava a far due chiacchiere nel ristretto cerchio degli amici, rimaneva in piedi per andarsene più presto. La moglie e la signora RadiceFossati e Luchino Visconti erano di solito i suoi interlocutori. Nella saletta di lettura, intorno al camino dove languiva un focarello di legna, non sempre si parlava di cavalli, ma quando se ne parlava i discorsi meritavano di essere ascoltati. Perchè gli allievi (la signora Radice-Fossati e Luchino Visconti) erano degni dei maestri (Tesio e la signora Tesio). Con Visconti, le rare volte che lo incontro, mi avviene di accennare a quegli anni e a quella passione che si è, in noi due, di molto affievolita. Come una volta i campi aperti, le scuderie silenziose, gli ippodromi affollati, il galoppo dei cavalli sull'erba delle piste. Visconti ama ora, e con lo stesso trasporto, i palcoscenici bui, quell'odorino'di polvere che viene su dalle platee vuote, il balbettìo degli attori che incominciano a provare una parte, il gioco delle luci e dei riflettori sui fondali dipinti. Ma è difficile che il teatro, per quante soddisfazioni possa dargli, gli cancelli dalla memoria il giorno che un suo cavallo, Sanzio, vinse il Gran Premio di Milano. Quel giorno Luchino si vide sollevato in alto dalla folla che gli si stringeva intorno, applaudendolo, e portato in trionfo attraverso San Siro. No, una cosa simile è molto probabile non gli capiti mai più. Adolfo Franca