La crudele Aquilina

La crudele Aquilina La crudele Aquilina tCè * Firenze un palazzo ben noto, e una statua Io guarda dal la piazza...», cantava Robert Browning un secolo fa, ispirai! dosi a una tradizione fiorentina che voleva che la statua equestre del Granduca Ferdinando I in piazza della SS. Annunziata guardasse verso la finestra d'una nobildonna che il' marito geloso teneva là prigioniera, quasi perpetuare la storia di un amore frustrato. Una storia di procra «inazione narrata con quella che allora parve fine psicologia, e che non pare più tale oggi, se devo credere all'impressione di un illustre poeta italiano mio contemporaneo e amico, che anni fa riteneva (e forse ancora ritiene) senz'altro sentimentale < brutto il breve poema del Brow ning. Il cui succo è questo, che la dama dei Riccardi e il Gran duca s'innamorarono a prima vi sta, ma che per ragioni di pru denza e di rispetto alle convenzioni rimandarono il godimento del loro amore, e così passò un giorno e poi un altro, con sempre nuovi plausibili argomenti per evitare brusche decisioni e attendere; poi le settimane divennero mesi, i mesi anni, e, raggio" dopo raggio, si spense la luce della loro giovinezza e del loro amore, ed entrambi s'accorsero d'aver sognato un sogno. Peccato_ che il Browning, dili gente rovistatore delle bancarelle di librai, al punto di trarre ispirazione pel suo massimo poema, l'anello e il libro, dalla cronaca di un sordido processo della fine del Seicento scovata tra i salacchei in vendita a piazza San Lorenzo a Firenze, non avesse mai sentore di una storia veneziana del Settecento (e sì che egli visse a Venezia per alcuni degli anni più gloriosi della sua vita! ), d'una storia che avrebbe potuto Buggerire un elegante pendant della < statua e il busto ». Tra quante belle donne aveva Venezia, le quali collo zendado sul capo e un mazzolino di novellj fiori ridevano incontro al giovin sole e alle balsamiche aure della laguna, bellissima era Aquilina, vedova di un prudente * venerabile vecchione che aveva coperto le più alte cariche della Repubblica. A costui, invaghitosene in tarda età, la bella avventuriera ora con modi alteri, ora con vezzi, aveva fatto così Vacillare la mente, che in' breve tempo egli si ridusse all'estremo • passò di questa vita. Poiché Aquilina era non meno bella che crudele, o, se meglio piace, ignuda di pietà, sì da essere incapace d'innamorarsi; più che altro villo erano in lei superbia e ambizione. Ella aveva un volto quale conveniva a donna per servire di abbagliante schermo alla sua anima; ma dietro alla vaga sembianza si sarebbe detto che celasse un congegno preciso e polito di molle e di rotelle, come un orologio, che per tutti rubini avesse quei suoi occhi inimitabili dai più industri pennelli, e sì che Venezia ne contava assai: erano occhi verdi e ghiacciati come le acque della laguna in certe particolari rifrangenze di luce. Occhi ai quali nulla di umano era paragonabile, -ma soltanto i minerali più splendidi e le pietre più preziose. A tali occhi, a cui davan risalto il pallore del volto finemente cesellato, con alcunché di grifagno che pareva consentire col suo nome d'aquila, e l'oro fulvo delle chiome, quali il [Tiziano e il Palma non avrebbero saputo migliorare, dovevasi certo quel suo potere d'attrazio ne sugli uomini, che correvano dietro a lei come i pettirossi alla civetta. Era ritenuta così bella e pericolosa, che bisognava subito sgomberar dalla sua vicinanza e metter le ali, chi non voleva andarne via spallato e col capo rotto e le scarselle vuote, o forse rimanere sul campo di battaglia senza anima in corpo. Nessuni) ardiva d'altronde pubblicamente svergognarla, che Aquilina contava potenti amicizie nel Consiglio dei Dieci, e a nessuno piaceva finir la vita nei Piombi. Ora avvenne che tra coloro che più s'accesero per costei di gagliarda febbre, fossero un capitano di mare, che nonostante si fosse coperto di gloria in perigliose avventure, non possedeva molti beni di fortuna, e un poeta e cortigiano che pure aveva visitato molti paesi estranei al seguito degli ambasciatori della Serenissima. Questi, a differenza del capitano, non aveva alcuna prestanza di persona, e si rassegnava pertanto a vedere il rivale primo nel favore della bella Aquilina, che pur tuttavia non lasciava di dare a lui speranza, come ella dava del resto a quanti altri erano pronti a sacrificare per lei tempo e sostanze. E molti ve n'erano, ricchi mercanti e facoltosi forestieri, che tutti provvedevano a mantenere lo sfarzo di sontuose vesti e di gioielli di gran prezzo, cose di cui sopratutto era vaga Aquilina, la quale tanto andava superba della propria leggiadria, che Narcisso non più. Dicesi che ogni mattina, al levarsi, per prima cosa avesse costume di farsi dinanzi allo specchio, e mirandovisi baciasse la propria immagine ivi riflessa. Tanto amava Aquilina gli specchi, che il poeta, nella speranza di vincerla alfine dalla sua parte aveva fatto fabbricare nel suo palazzo una camera tutta di specchi, come la galleria di Sua Maestà Cristianissima a Versaglia, affinchè la bella Aquilina, incapricciatasene, s'inducesse a farsi da lui impalmare sposa. Molti versi aveva scritto il poeta per esaltarla ed esortarla; come quell'ode che dice che «se imeneo con presta man non ne unisce il core, oltre che inutil resta, illanguidisce il fiore di sua gentil beltà ». O l'altra che la saluta venere novella : « Tu che il più bel zaffiro nascondi tra le ciglia o mata sola a movere l'amaruntea conchiglia ». E ad nna certa festa, in cui egli fu cavalier servente all'amata, avendogli la bella affidato una sua mantelletta, egli la resse su un braccio teso per una buona mezz'ora, e poi la trasferì all'altro braccio non per istanchezza ch'egli soffrisse, come gli piacque dire, ma perchè troppo invidiava lo altro braccio sì peregrina ventura; e per le bocche dei veneziani passarno in quei giorni i versi ch'egli allora ne scrisse : « Avventuroso braccio che al desiato uffizio...». Ma tutto era invano, sicché, pallido e vergognoso che parca j'istessa disperazione, un giorno il poeta si ridusse da una fattucchiera, che gli predisse l'adempimento dei suoi voti allorché < uno sarà come diecimila, e diecimila come zero ». Non pertanto voleva egli lasciarsi persuade re che avrebbe avuto un bell'aspettare, che poteva anche attendere al dì del Giudizio; e pur volgendo in rime italiane la poesia d'un certo poeta inglese che gli era venuta a conoscenza alla Corte di San Giacomo, nella quale poesia dicevasi che l'amante avesse avuto tempo da vendere per movere a pietà la sua ninfa ritrosa, ben avrebbe voluto impiegare cento anni a lodare i suoi occhi, duecento, a adorare un seno, e pel resto trentamila almeno, « E l'ultimo evo del mio amore dovrebbe schiudermi il tuo core... Ma alle mie spalle io sento, oh fato!, urger del tempo il carro alato... »; e pur cercando di atterrire la bella col presentarle quella visione alquanto bizzarra (com'è costume dei poeti inglesi) della tomba dove la bellezza sarebbe stata preda del verme, e nessun abbraccio d'amore avrebbe avuto più luogo; ciò non pertanto aspettava e poneva tutto il suo studio nel sorvegliare i sempre più rapidi progressi della vecchiezza nel rivale, consolandosi, come di cosa ben cer ta, che allo scomparire di quel lo, egli sarebbe sicuramente, co me di diritto, salito al primo posto nelle file degli adoratori di Aquilina, la quale forse, una volta scomparso il capitano, e giunta ella stessa a età più matura, gli avrebbe concesso il sospirato guiderdone consentendo a divenire sua sposa. Ed è veramente mirabile come egli, pur così ragionando, e osservando con occhi così intenti da sembrare occhiacci di spiritato le devastazioni che l'età operava sul rivale, fosse poi del tutto insensibile a quel mutamento, più lento, ma tuttavia inesorabile, che producevasi in Aquilina medesima. Così passarono molti anni, ma non starò a riferire tutti gli episodi della nostra novella, che a tratti diventa davvero tediosa, condotta com'è in quello stile lento e paludato che piaceva ai nostri avi. Passo senz'altro alla conclusione di questa incredibile storia di Costanza in un uomo che pur dai componimenti che di lui ci restano pare sia stato tutt'altro che privo di ingegno'e di arguzia. Ma chi può dire quanto una bellezza fredda come quella di Aquilina possa ridurre gli uomini a essere niente di meglio che « pappacchioni », .per usare una delle colorite espressioni del testo? Passarono dunque molti anni, morì il capitano, e venne alfine giorno che l'indomita superba vide nel poeta il suo migliore sostegno. Non che ella fosse finalmente intenerita dalla sua provatissima fedeltà, nè che più sentisse d'amarlo, cosa che le sarebbe riuscita impossibile data la sua natura quale s'è descritta; ma passati erano da un pezzo i giorni che i suoi occhi possedevano la virtù della calamita, e che agli uomini piaceva di baloccare presso di lei: ella non era più quel tempio al quale la gente solea concorrere meglio che a nessun altro. Il poeta, però, di cui gli anni non sembravano aver temperato l'infatuazione, si tenne il più lieto uomo del mondo allorché Aquilina consentì alla fine a ricever da lui l'anello; e menatala all'altare molto onorevolmente, e quindi a quel suo palazzo e alla camera degli specchi, giunta che fu la sera, e spogliandosi colà la donna, non più rimase impietrato d'attonito stupore il geloso Raimondo nello scoprire il segreto di Melusina la donna serpente, di quanto restò il nostro poeta allorché, dismesse le vesti e tutti gli apparati e le bardelle con che solea soffolcere la deperita persona, gli apparve, moltiplicato ad infinità degli specchi, il perfetto scheletro che Aquilina s'era fatta in tanti anni. Parvegli allora compita la profezia della fattucchiera, che egli avrebbe potuto chiamar sua la donna allorché < uno fosse stato come diecimila e diecimila come zero »; poiché non una, ma diecimila Aquiline gli apparivano, e tutte erano repliche d'un istesso scheletro d'ossa secche, che è cinis et puìvis et praeterea nihiì. Se l'autore di questa novella mirasse a disingannare quanti sono trafitti dal «cupidineo telo», o a concludere sulla follia di attendere fin quando l'oggetto dell'attesa non ha più valore alcuno, se, in altre parole, fosse un ecclesiastico con intento di edificare, o soltanto un epicureo esortante al carpe diem, non ho ben capito; ma per trarre da codesto argomento qualcosa di meglio d'una scipita novella o d'una pedestre omilia, ci sarebbe voluto il Browning. Mario Praz

Persone citate: Brow, Browning, Mario Praz, Riccardi, Robert Browning

Luoghi citati: Firenze, Venezia, Versaglia