Grandi uomini a Bologna caricaturati da Nasica

Grandi uomini a Bologna caricaturati da Nasica Grandi uomini a Bologna caricaturati da Nasica Piccolo mondo bonario, ironico e galante - "Ell'è una mela,, rispose il Carducci a D'Annunzio - Una malignità rientrata di Giovanni Pascoli - Alla finestra in maniche di camicia, Olindo Guerrini riceve il saluto di un re (Nostro servigio particolare) Bologna, gennaio. Per Natale è scesa dal suo colle la Madonna di San Luca, ed è stato un avvenimento straordinario giacché da secoli questa famosa immagine bizantina scende in città soltanto di maggio. Qua e là si preparano festeggiamenti per Giulio Cesare Croce, l'autore del «Bertoldo», e a Bertoldo s'intitola pure una commedia nuova ohe sarà recitata da Benassi. Non è molto che si sono chiuse le celebrazioni di San Petronio, nel quindicesimo centenario della morte, fra riti e visite solenni. Ancora. Dopo parecchi anni si rivedono passeggiare in landò i fiù del duttòur Bàlanzòn, i figli del celebre dottore, che in certe occasioni devono comparire in polpe, mantello, feluca e mascherina neri, mantenendo l'incognito. In fondo, questi tentativi di riprendere e allargare a ogni costo le tradizioni locali, siano esse illustri o semplicemen. te culinarie o vernacole, denunciano nei bolognesi un'ansia e un rimpianto aouti. Il rimpiato è per quel piccolo mondo fatto di agi e di cultura diffusi, bonario ironico e galante, che caratterizzò Bologna tra la fine dell'Otto e gli inizi del Novecento e che la pose in primissima fila tra le piccole-grandi città d'allora; un mondo assai omogeneo che nessun ente turistico o iniziativa religiosa potrà richiamare in vita. Senza dubbio i borghesi vivono oggi in Emilia, ore assai meno liete di quelle ohe godettero i borghesi del tempo di Carducci e di Stecchetti. La « vie en rose » Frattanto, per non perdere del tutto la memoria dell'eden di ieri e per non fissarsi troppo sull'atomica di domani, il vecchio petroniano torna a ve. stirsi da Balanzone, va dietro alla Madonna anche d'inverno, e si commuove per certe cose che lasciano invece in- enIl lo u e o e he ra oeo o ribin te r e re en p il e. ro rte n- o l o i r a e è, o i . e . i i, ì o e e e e n e a a o o a a i differenti i giovani. L'ultima è questa: il pittore e caricaturista Augusto Majani, più noto sotto il pseudonimo di Nasica, è stato sfrattato dal suo padrone di casa e ha dovuto trasferirsi a Udine presso la figlia. Nasica, che ha passato gli ottant'anni, ne ha impiegati sessanta a seguire e a disegnare con una matita spesso spiritosa, certo più indulgente di una Leica, la vie en rose bolognese a cavallo dei due secoli, e oltre; una società artistica e letteraria un po' ristretta, che faceva magari un assegnamento eccessivo 3ulle tagliatelle e sugli scherzi in versi per risolvere qualsiasi problema estetico e morale, e che dava poco ascolto a ciò che bolliva nelle campagne, ma una società che era pur sempre un esempio di cortesia e di tolleranza. Ora, sfrattare Nasica significava per i più vecchi mandare a ramengo la cara Bulgnàza nel momento stesso che se ne desidera di più il ritorno, significa avvolgersi in una quantità di simboli malinconici. Tanto più che prima di congedarsi Nasica ha lanciato il suo modesto messaggio: una mostra di disegni e di caricature, oltre a un volume di memorie (edito a Milano!) ohe abbracciano un lungo periodo, dal 1874 al 1950. Unico fra i disegnatori viventi, io credo, Nasica ha frequentato e caricaturato Carducci e D'Annunzio, Pascoli e Guerrini, Oriani e Panzacohi, Pascarella, Boito la Serao, Triluasa, Testoni... e in molte occasioni ha funzionato da fotoreporter avanti lettera, disegnando dal vero e descrivendo gli avvenimenti memorabili di Bologna. Primo fra tutti, la famosa colazione che i redattori del Resto del Carlino offrirono, l'il aprile 1901, al Carducci e al D'Annunzio nella sede del giornale e in forma privata. Nasica, presente con penna e matita, ci ha lasciato una testimonianza molto precisa. Nel cen. tro della tavola si vede il Carducci, « bocca piccola... voce qualche volta aspra », che mangiava « con un po' di soggezione, il tovagliolo fermato al colletto », e di fianco a lui il D'Annunzio », la pupilla a metà coperta dalla grande palpebra un po' cascante », che mangiava « elegantemente, con signorile indifferenza « e aveva una gardenia all'occhiello. I momenti critici furono tre. H primo quando Gabriele, versatosi un bicchier d'acqua, si rivolse a Giosuè: «Dicono che io sia un vizioso, eppure — voi lo vedete, Maestro — non bevo che acqua »; e Giosuè, sorbendo « voluttuosamente » (l'avverbio dannunziano è di Nasica e ci sta benissimo) del lambnisco, rispose seccato: « E io non bevo che vino ». (Era stato un esordio infelice, specialmente a Bologna, dove il popolino assicurava, con larghi sorrisi di approvazione, che Cardòzz le poesie più belle le scriveva quand'era in cimbali). Il secondo fu quando si venne a parlare del romanzo di lllllHIIItlllllItlIlllllIItlllItllllllllllIllllItltlIlllllllll Slenkiewicz che in quei giorni furoreggiava, e D'Annunzio tornò all'attacco: « Che ne dite, Maestro, del clamore che si fa per il Quo vadia? ». « Successo da arena » fece brusco il Carducci. H terzo momento critico, e il più noto, si ebbe alla frutta, quando D'Annunzio tagliò in due una mela che era rossa fin nella polpa e porgendone una metà al vecchio poeta: « Maestro, vi offro il pomo dell'aurora ». Il Maestro (quel titolo, sussurrato con quella voce, non gli andava giù) diede un'occhiata di traverso, e questa volta apertamente seccato, nota Nasica « Ell'è una mela » esclamò. Il corridore isolato La figura meglio riuscita a Nasica caricaturista e diarista, è forse quella di Alfredo Oriani, il coiridore isolato, si! direbbe, in mezzo a tanti letterati e professori già accasati, con l'editore Zanichelli, con la scuola, coi giornali. Vestito sempre del suo « costume di ciclista » — berretto bianco, maglione grigio, pantaloni corti, calze lunghe e grosse — sia che andasse a teatro, al caffè San Pietro o in visita, il romagnolo evitava il gruppo dei « maggiori intellettuali » e preferiva tener cattedra, in piedi, ai giornalisti e agli studenti, gridando e « stringendo nelle sue grandi mani nerborute l'esile spalliera di una delle sedie viennesi allora di moda -s>. Non amava le caricature nè i caricaturisti, « anche tu sei un somaro, povero Nasica » urlava, « nessuno di voi sa rendere la mia espressione sprezzante e mefistofelica ». Una volta maltrattò il direttore del Carlino che gli aveva modificato un articolo su Crispi, se n'andò sbattendo la porta ma poi, spinto dal bisogno, si ripresentò e pregò alla sua maniera Nasica di interporsi per una pacificazione. « Non te ne avere a male — incominciò — se dopo averti considerato un somaro che si foraggia alla greppia del Carlino, ora cambio similitudine e ti dico che se ben t'si l'ultma roda de car, sebbene tu sia l'ultima ruota del carro... ». E' divertente, e anche istruttivo per il critico, vedere poi come tutti questi poeti e professoroni reagivano alle caricature. Il Carducci, dinanzi a due vignette che lo raffiguravano sotto l'aspetto di un leone e di una quercia, aggrotta le sopracciglia, tace e poi scoppia a ridere; Oriani, s'è visto, grida e dà del somaro; D'Annunzio sorride gentilmente e si porta gli originali alla Capponcina; Guerrini tanto più si diverte quanto più è allegorizzato in maniera buffa o strana (magari in forma di pipa, .lopo che una fabbrica romagnola ne aveva messo in commercio una col nome di Lorenzo Stecchetti). Pascoli infine noi. capisce le freddure e si sdegna. La vignetta incriminata La vignetta incriminata era intitolata « Pascoli in Romagna » e rappresentava un grasso agricoltore scamiciato sullo sfondo di campi sui quali spiccavano qua Myricae, là Canti di Castelvecchio e cosi via. Il Pascoli si offese per il modo « troppo grottesco » in cui era stato ritratto e specialmente per la didascalia che gli sembrava oscura: « E' perchè poi — chiedeva — Pascoli m Romagna* » Ci si mise di mezzo Guerrina e il poeta, arrossendo e quasi balbettando, non solo ammise di avere esagerato ma, preso coraggio, incaricò Nasica di illustrargli satiricamente un poemetto, / due vicini, secondo un'intenzione assai maliziosa. Nei Due vicini un vasaio e un ortolano si servono del medesimo asino che, montato in superbia, finisce per calpestare piante e vasi; e il Pascoli propose di dare all'asino le sembianze di un noto critico e filosofo (Nasica non cice quale, ma è chiaro) che lo aveva stroncato. Quando già il disegnatore si era messo al lavoro, arrivò una cartolina allo Zanichelli: ■t Vorrei che Majani dimenticasse il sottosenso allegorico che è nei Due vicini e non raffigurasse se non le liete e tristi vicende del due buoni amici, ortolano e vasaio. Figurazione allegra e comica, quanto si voglia, ma elegante e dignitosa, senza allusioni e catverie. « Giovannino si era già pentito del suo ardimento e a Benedetto Croce venne risparmiato di mostrarsi con un volto asinino. Ma ormai i tempi mutavano, si era perso il gusto del disegno satirico e Bologna, soprattutto, non era più la piccola-grande città un po' gretta e un po' augusta, stretta intorno al suo nucleo etnico ben definito, fedele alle sue tradizioni già sperimentate molte volte di tolleranza e di sem. plicità nel vivere. Sembra remotissimo un fatterello di quarantasei anni or sono, che è appena accennato da Nas'ca. Ih una calda giornata del maggio 1904 il re Vittorio Emanuele 3i trovò a passare in carrozza per via Zamboni, la via dell'Università e della biblioteca universitaria, e qualcuno gli indicò Olindo Guerrini che se ne stava alla finestra del suo studio in maniche di camicia, con la pipa in bocca. Il re riconobbe lo scrittore, lo salutò e questi rese subito il saluto affilando cordialmente la pipa. Una pipa Stecchetti, una vera pipa romagnola e repubblicana.