IL TERRORE della liberazione

IL TERRORE della liberazione IL TERRORE della liberazione (Dal nostro inviato speciale) Parigi, dicembre. C'è una! preoccupazione in Europa, nell'aria, che in Francia ha lineamenti abbastanza chiari e definiti e che, per tale ragione, mi sembra opportuno illustrare precisamente dalla terra di Francia. Ma perchè dico « preoccupazione»? Si tratta di qualcosa d'assai più forte. Si tratta di paura o addirittura di vero e proprio terrore. E' un sentimento sotterraneo, latente, non b-n rivelato a chi, forse a sua insaputa, ne è dominato; e ha radici tanto più profonde e robuste quanto più nutrite — come lo furono a suo tempo — dal fertilizzante dell'esperienza. Gli europei sono avvezzi da lunghi secoli alle guerre. Da lunghi secoli le guerre sono qualcosa come il sangue arterioso delle loro rispettive colture; senza tenere conto delle guerre, sarebbe impossibile un profilo veritiero della storia europea con le balenanti oscillazioni di grandezza e miseria che hanno vieppiù conferito validità e vigore al divenire dei diversi popoli del cosidetto vecchio continente. Perfino quelli che oggi si definiscono paesi neutrali per tradizione — quasi isolati o avulsi dal tormento caratteristico della cruenta litigiosità europea — sono paesi formatisi e cresciuti nel fragore delle armi: Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda,' Belgio, Svizzera, contrade guerriere per eccellenza, al contrario di quel che dalle attuali loro sembianze possa apparire. Figli delle guerre, dunr que, gli europei sono avvezzi alle guerre. Erano guerre devastatrici quanto si sa e quanto si vuole, le quali' seminavano rovine, lutti,' crisi e simili secondò sogliono seminare le guerre, ma trovavano la loro conclusione sul campo di battaglia, nel pugno del vincitore e, se cosi può dirsi, nel tributo del vinto. L'Ultima guerra ha regalato all'Europa un fatto nuovo con tutle le sue più o meno bizzarre e — per la verità — sgradevoli conseguenze. Ha regalato all'Europa una ulteriore fase della guerra, quasi un capitolo aggiuntivo, di molto più devastatore dèi primo: ha regalato all'Europa la fase della liberazione. Prima della ultima, guerra, battuti gli eserciti nemici, piegata la resistenza interna dell'avversario, si entrava in una fase conclusiva che, per' i,n> grata fosse agli ocdhKttef vinto; metteva fine al fatto violento, sia pure per rimandarlo, nel tempo, ad altra avventura cruenta. Non vigevano atteggiamenti apodittici da parte dei due avversari o di terze forze in funzione di giustizieri. La guerra era, dopo tutto, un fenomeno elementare, celeste, qualcosa come un tifone, più connesso con gli umori meteorologici della storia e della politica che non con un codice assoluto di moralità e di spiritualità. Le guerre non si proclamavano giuste o ingiuste in senso universale, come oggi suol dirsi, si limitavano a definirsi tali nel contingente, erano insomma guerre pure e semplici, tout court; L,soldati non erano ne demoni nè apostoli, nè criminali nè santi, nè carne. fi ci nè m'attiri (le stesse crociate ebbero una configurazione delimitata in.certi limiti pratici, per pii essi fossero: liberare il sepolcro di Cristo per la Cristianità, non certo per imporlo ai mussulmani o ai buddisti o che); i soldati erano puramente e semplicemente soldati, tout court; il generale Battuto non era il responsabile del fenomeno guerra, era puramente e semplicemente un avversario battuto; e se avveniva fosse poi ucciso dal vincitore, la sua uccisione non partecipava di una esigenza morale, non si erigeva a massima del costume, non santificava la mano dell'uccisore, non tendeva a ristabilire una legge universale infranta per sua colpa dal fatto guerra, no; costituiva lo ennesimo fatto cruento della guerra, la morte dell'ultimo soldato avversario, in tutto pari alla morte di qualsiasi sodato di ambedue gli eserciti, di quello vinto o di quello vincitore, rappresaglia o eliminazione d'un pe ricolo potenziale che fosse. L'ultima guerra ha mutato volto al fenomeno guerra, ha voltato la guerra in « apostolato al rom bo del cannone », in supremo giù dizio morale per cui ambedue gli eserciti si proclamano vessilliferi d'una norma di ordine universale ed eterno e come tali si considerano nemici non l'uno all'altro bensì a Dio e agli uomini tutti Il vincitore non batte il vinto, lo cattura cosi come si cattura un bandito; il vinto, catturato, atteiv de la liberazione come il bandito attende la liberazione dalla sua banda, a sua volta riprometten dosi di catturare il vincitore al momento opportuno e di sottoporlo al giudizio e alla pena ai quali il vincitore lo avrebbe sottopostò se non fosse intervenuta la liberazione. E' un sanguinosa gioco di rimando che potrebbe durare teoricamente in eterno e che solo la sempre più immiserita condizione dei due contendenti può condurre a una conclusione per esaurimento. ; La guerra si prospetta perciò oggi alla società umana come un duplice dramma: il dramma della guerra vera e propria e il dctbqc l dramma della liberazione. La società umana subisce, alla prospettiva della guerra, un duplice turbamento che si obbiettiva rispettivamente nel terrore della «guerra vera e propria » e nel terrore della liberazione. La parola liberazione, in questo senso, ha acquistato ' un sapore altrettanto cruento e negativo che quello della guerra vera e-prooria. Con l'aggravante, nei confronti del fatto guerra vera e propria, che la fase della liberazione coglie i « liberandi » già stracchi, fiaccati, logorati, avviliti, calpesti e addirittura abbrutiti dalla prima fase; è un incendio su una terra già stravolta dalle fiamme; un uragano su un campo già devastato da folgori e cateratte; f intervento d'un ferro sulle carni ancora sanguinanti d'una ferita fresca. Il dramma della liberazione è insomma più doloroso di quello della guerra, spietato in concreto, nonostante possa essere pietoso in astratto; poiché in concreto esso si abbatte su un mondo le cui condizioni sono già di per sè medesime degne di pietà. Pensate per un attimo alla liberazione della Corca, la si consideri da una parte o dall'altra, americana o cinese; ecco quel che si dice un castigo di Dio. Questo composito orgasmo che vige latente nell'animo di ogni europeo, è assai evidente in Francia, ripeto. Per il francese medio <t liberazione » vuol dire, si, affrancamento da una servitù intollerabile alla logica storica e alla tradizione morale d'un paese; vuol dire, ahimè, bombardamenti scientifici, acrei, navali, d'artiglieria eccetera; vuol dire frantumi di città in frantumi ancor più piccini; vuol dire l'intera contrada una seconda volta in balìa di fanterie scatenate all'assalto; vuol dire .truppa straniera una seconda volta in casa propria eccetera; ma soprattutto vuol dire epurazione, rappresaglia, processo politico, supplizio della personalità umana. Come ogni europeo non fazioso, il quale sappia rifarsi alle esperienze della ultima guerra e della ultima liberazione, il francese medio si dice: «Che arrivino i cosacchi, i ghirghisi, i siberiani e forse gli stessi cinesi in casa mia; che arrivino le armate cosidette progressive con fuoco e sangue è senza dubbio una immane sventura; ma sventura ancora più grande è che sotto i cosacchi, i ghirghisi, i cinesi o chi, noi saremo costretti a servire, a collaborare (chi non servirà, chi non collaborerà sarà un traditore, un « sabotatore », una sagoma di tiro per i fucili del plotone di esecuzione); e chi avrà servito, collaborato, sarà poi trattata Jai liberatori, a loro volta, come traditore, criminale, collaborazionista eccetera eccetera. 11 medico, il muratore, l'attore, il sarto, l'impiegato di banca, chiunque sarà stato obbligato dalla legge marziale e dalla legge del bisogno a fare il suo mestiere sotto il russo invasore, verrà poi processato dall'americano quando attraverso un diluvio di .rovine questi avrà cacciato il russo; e se poi sotto l'americano avrà fatto il medico, l'attore il calzolaio o che, e per caso il russo riuscirà per cosi dire a riliberarlo, che cosa lo attenderà? La fossa di Katin, il lavoro forzato, la confessione del cardinale ungherese e la perdita della personalità come traditore o,- meglio, come ritraditore. E via .di seguito ». Senza forse rendersene conto chiaramente, i francesi guardano alla possibilità d'una guerra come a un fatto definitivamente antieuropeo in ogni caso, abbia a vincere l'Oriente o, al contrario, l'Occidente. La liberazione li atterrisce al pari della aggressione, ambedue le fasi della vicenda costituendo ai loro occhi 1 due momenti necessari e complementari di quella « Finis Europae » che da un buon trentennio si annuncia all'orizzonte della storia del mondo. In tale particolare sensibilità al confronto degli altri popoli d'Europa han gioco, nei francesi, le esperienze dirette — tutte nella misura massima — da essi recentemente vissute come aggrediti e come liberati, per le quali essi furono in modo inequivocabile popolo sconfitto, in modo inequivocabile popolo collaborazionista, in modo inequivocabile popolo liberato da una schiavitù autentica, in modo inequivocabile popolo dilaniato dalla cosidetta epurazione. C'è da giurare, dico, che la Francia tutta intera non si augurerebbe per nulla al mondo di « vincere » ancora una guerra come essa ha vinto l'Ultima; nè di essere sottoposta a un procedimento di lavaggio — leggi, sì, epurazione — sul tipo di quello che fu costretta a subire dopo la liberazione Quale meraviglia che anche la estrema speranza della liberazu ne suoni all'orecchio del francese con un timbro più o meno terrificante? Gran parte dei dubbi, delle oscillazioni, delle incertezze, dei momenti amletici della attuale politica internazionale francese sentono non poco il riflesso di codesto particolare — e, del resto, lucido — s*ato d'animo, per il quale ciò che dovrebbe costi tuire l'elemento positiva della eventuale drammatica prova --ut potrebbe>andare incontrò l'Euro pa, si preannuncia come l'atto finale d'una tragedia. E' forse quanto voleva significare un illustre intellettuale di Francia — largamente umanistico e liberale di animo e di mente — quando giorni fa, nel corso d'una conversazione su questi tristi e triti problemi del secolo, mi diceva: «Se proprio della guerra non si potrà fare a meno, ebbene si faccia la guerra. Ma cerchiamo con tutte le nostre forze di farla scartando fin dall'inizio il flagello della liberazione ». Vorrei credere, da buon europeo, che così dicendo egli intendesse stabilire che le speranze europee dovrebbero basarsi sulla capacità dell'Europa in' se stessa di venirne fuori direttamente — vittoriosamente beninteso, — senza dover poi chiedere a Dio o al Diavolo di portarle, con il sorriso del soccorso e la furia dei cannoni, libertà ad un tempo e morte. Virgilio Lilli Olili Htl) : I 11 1111 IIIlMUIIIIIIilllllll M II I II M H11IIIII Alle 19,15 di lersera un Individuo balzava da un'automobile con la pistola In pugno presso una gioielleria di Roma; ne sfondava la'vetrina a rapidamente fuggiva con una manciata di gioielli (Telefoto) MII1III1IIM111 il IM MI 11 MIII1IMIIIIIIMMIIMIIIII i 1M II 11 II II [I 11 11 I IIMIIIIIIIHIIIIItM

Persone citate: Virgilio Lilli