La morte del maestro Cilea

La morte del maestro Cilea La morte del maestro Cilea * L'illustre musicista si è spento ieri alle 13 nella villa di Varazze - Gli ultimi sereni istanti - I funerali mercoledì Varazze, 20 novembre. Quest'oggi alle 13 è spirato serenamente nella sua villa di Varazze il maestro Francesco Ctlea. Una malattia di origine pleurica costringeva a letto da' circa due mesi il maestro, nò, data la sua tarda età, la scienza aveva potuto fare qualche cosa per salvarlo. Da alcuni' giorni le condizioni dell'illustre infermo si erano rapidamente aggravate, ma egli aveva conservato una perfetta lucidità di mente e di spirito, fino a mezz'ora prima del trapasso, quando aveva chiamato a sè la moglie Rosy Lavareìlo, le aveva chiesto un bacio ringraziandola per i lunghi anni vissuti insieme amorosamente, e invitandola a pregare per lui. Mezz'ora dopo Francesco Cilea non era più. La sua salma è stata subito composta nel grande salone al primo piano della villa, che è una costruzione antica genovese, Poco dopo sono cominciati a giungere i primi fiori della -Riviera e domani la villa ne sarà tutta mondata. Il sindaco di varazze, che si è subito recato a por tare le condoglianze alla vedova, ha telegraficamente inde! decesso il Presi¬ formato iiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiii dente della Repubblica, il Presidente del consiglio, u Ministro della Pubblica Istruzione e la Direzione Generale del Teatro. In serata sono incominciati ad arrivare i primi telegrammi di condoglianza. I primissimi provengono da Napoli, do ve Francesco Cilea aveva compiuto gli studi musicali presso quel Conservatorio di cui poi fu direttore per una ventina di anni e da Palmi, ove era nato. In serata è giunto da Milano il comm. Ostali, proprietario della Casa Musicale Sonzogno, editrice delle opere del Cilea. I funerali sono stati fissati per mercoledì mattina alle ore 10. La salma sarà tumulata, come da desiderio dell'estinto, nei cimitero di Varazze. la bella cittadina détta Riviera di Ponente, ove Francesco Cilea aveva riparato nel 194$ da Roma, in seguito ai bombardamenti della capitale. TtBfnbovrdtLti l i ò L'uomo e l'artista La vecchiezza, era nato il 26 luglio del 1866, lo aveva risecchito, ancor più rimpic ciolito, un poco curvato, e in due sensi colpito: nella vista, che un'operazione gli ridonò, e nell'udito, irreparabilmente, e perciò egli s'illudeva d'ingannare chi dialogava con lui, psrcuotendo in fretta il suolo col bastoncino dal manico antico: era quel ticchettio che gl'impediva di percepire bene! E sempre garbato, semplice, corretto nell'abito come nel pensiero, ancora un po' calabrese nella parlata, cortese senza smancerie. Molto signore, (mai profittò, ch'io sappia dell'Accademia d'Italia per dare una spinta alle sus opere minori, per dirigere l'orchestra all'Eiar, eccetera, eccetera), non autenticava la notizia, o pettegolezzo, ch'ebbe fortuna, dell'avversione di Mascagni, tale da nuocere alla sua camera e da intimidirlo. Era realmente sdegnoso di corrispondere alle arroganze, quanto fermo e probo nel compimento del dovere. Pignolo, come insegnante di pianoforte a Napoli, d'armonia a Firenze, infine direttore dei Conservatortl di Palermo e di Napoli, controllava sull'orologio 1 ritardi degli allievi e dei docenti, e primeggiava nella puntualità. Negli ultimi anni la sua modesta villetta di Varazze, dote coniugale, s'apriva raramente a qualche ospite. Di rado egli ne usciva per incontrare qualcuno a Sanremo, ma non era del tutto seiza musica. Come seguiva talvolta a teatro la rappresenta zione dì un'opera sua, dedu cendo dal gesto del direttole, dall'azione scenica, 11 corso della composizione, e neppui sentiva 1 battimani, cosi ni pianoforte, il giunco delle dita aiutava meccanicamente ìa lettura e la memoria sonora. Tornava ai suoi prediletti autori, quelli che Paolo Serrao e Beniamino Cesi gli avevano fatto conoscere, giovine alunno di San Pietro a Maj*lla, i buoni, i grandi, che seppero osservare le regole e accolsero via via le eccezioni, e rinnovarono la cultura, sempre mirando al sentimento, alla vocalità. Tornava con predilezione a Leonardo Leo, che amava non tanto pel comico brio, quanto per quelle ampie, espansive volute melodiche sostenute da colonne d'ornati accordi. Tornava a Bellini, alla cui venerazione infinita l'aveva piegato anche il vecchio Florimo; anche alla prodigiosa varietà immaginosa di Domenico Scarlatti; e in quelle piene e belle semplicità si confortava, come già s'era allietato nel pubblicare un istruttivo fascicolo di solfeggi appunto del Leo o qualcuna delle ultime sue pagine. Ma anche le precedenti erano state pensate e sentite in un ambiente musicale e melodrammatico soprattutto italiano, con appena qualche ri flesso massenettiano. E per un altro verso si distingueva d'i Mascagni e da Leoncavallo, per l'aborrimen to del così detto verismo, crudezza, violenza ed enfasi, grossolanità. Preferiva canta re l'amore sofferto intimamen te e non traboccante esasperazione, ancne l'amarezza deli? delusioni, :a nostalgia, e quella grazia, bontà, gentilezza che, a riguardar .bene, non mancano del tutto in questo mondo, se proprio non si " pessimisti. Fin dall'esordio aveva provato la sua vena ac corata, esigua certamente. ( non fluente fncilì, ma cord'.a Ile, pura, e, malgrado le con venzioni teatrali, poetica. Perfino l'esigente Hanslick che nel '92 ebbe a giudicare a Vienna cinque giovani, Mascagni, Leoncavallo, Giordano, Mugnone, lodò nella Tilde del Cilea l'elegante talento lirico e la maestria. In quel piccolo spartito, come in quelli eh seguirono, il dramma non è ìa sostanza della composizione, ne la fonte d'ogni lirica espressione. Cercare ciò, che appena si scorge in qualcuno dei suoi maggiori contemporanei e connazionali, sarebbe vano. Bi sogna ascriverlo fra i minori d'ogni tempo teatrale, italiani o stranieri, fra quelli, cioè, che, non concependo il dram ma come sintesi artistica, ne sentivano intensamente alcuni episodi, e non creando persone di grande statura, ne rappresentavano energicamente alcuni tratti, e ne trasmutavano talvolta i sentimenti da psicologici in lìrici. Questi erano l momenti migliori, le occasioni della romanza. Eterna vicenda dell'aria alterna al recitativo. E di romanze, precisamente di lamenti, il Cilea ne formò con nobile vaghezza, come « Anch'li vorrei dormir così » nell'Artesiana, come « Poveri fiori », o « L'anima ho stanca » nell'Adriana Lecouvreur, espressioni d'un istante, ls quali pertanto conferiscono al personaggio un'essenza vitale. E proprio nell'Adriana quell'essenza si irraggia in quasi tutte le scene e ne fa coerente la successione, come '.a. cura della composizione le unisce stilisticamente omogenee. A ripensare oggi. «Ila sua attività, al suo valore, nell'illustre storia dell'opera, si può concludere che la sua fortuna non fu nè troppa, nè poca. A. Della Corte smcsdcmsenp