II balsamo di Stevenson di Riccardo Aragno

II balsamo di Stevenson SOGNO DEI MARI DEL SUD II balsamo di Stevenson Cent'anni fa nasceva l'autore dell'Isola del Tesoro,, - Desiderio e incanto di musiche e di luci - La morte per apoplessia - "Samoa finisce con te, Tusitala,, (Dal nostro corrispondente) Londra, 13 novembre. Questa sera, al numero 8. di Howard Place, ad Edimburgo, v'è un banchetto. Cento anni fa, nella stanza al secondo piano che guarda verso la strada vi nasceva un bambino che il padre aveva deciso di chiamare Robert Louis. Il signor Stevenson era un impresario costruttore, ed aveva un contratto importante : costruire un faro che illuminasse il mare ai naviganti di queste grigie acque nordiche. Una vecchina gentile Il figlio di quella famiglia benestante fu affidato ad una vecchina gentile coi capelli d'argento, Alice Cunningham, e poi cresciuto, con un appannaggio di sette sterline a; mese, fu mandato a Parigi. Si formava così, prima nella più bella città del Regno Unito — una città ordìnatissima la cui pianta è scompigliata da un immenso scoglio posto proprio al suo centro, in cima al quale sta un castello fiabesco (e in cima alla torre più alta del castello sta la scuola delle cornamuse scozzesi) -- e poi a Parigi uno dei più grandi scrittori che la Gran Bretagna abbia avuto negli ultimi cento anni. Aveva appena sei anni più di Shaw. Ma gran parte del tempo che Shaw passò da vivo, Robert Louis Stevenson lo passò nella storia. Soltanto gli anni passati lontani dalla Scozia possono avergli dato quella perfetta capacità di comprendere il suo paese, la sua gente, la sua storia, il suo magico senso di avventura. Lo sa bene chi è vissuto per lungo tempo lontano da casa. E lo ricordava anche lui, nella prefazione di quel capolavoro che lesto incompiuto Weir of Hermiston. < Qui di lontano — scriveva — io scrissi, intento alla mia razza e alla mia terra >. La sua terra è affascinante perchè è disperata: pittoresca perchè brulla: ricca di infiniti colori perchè eternamente rilucente di nebbie: la sua razza è povera e nella sua povertà ha trovato la sua gentilezza, la sua poesia e 11 suo immenso insaziabile desiderio di avventura. Stevenson cominciò col pubblicare poesie, che illustrava con rozze xilografie che egli stesso preparava. Una serie di queste è intitolata « Scene della Natura con versi appropriati >. Quella della prima pagina si intitola < I vagabondi » e vi si indovina un po' di terra e un po' di mare: tre figure accanto ad uno scoglio, 1 gabbiani che volano e il sole all'orizzonte. Questo, che fu prima li suo sogno, divenne più tardi la sua realtà. Aveva scritto, de dicandolo alla nurse, Alice Cunningham, <I1 giardino dei versi per bambini >. Dal versi per i bambini passò al romanzo: c L'isola del tesoro >, che pubblicò su un settimanale per ragazzi. Era l'epoca in cui cominciavano le grandi tirature e si scopriva il diritto di autore. Gli editori, che fino ad allora avevano di solito comprato il manoscritto, cominciavano a c dare un tanto per copia venduta > all'autore. Stevenson si trovò a cavallo di questa rivoluzione industriale nel campo dell'editoria. Il problema del danaro era forte: era la mancanza del danaro che lo teneva legato. Guadagnare significava per lui poter viaggiare. E 'con la pubblicazione in volume àeìl'Isola del Tesoro i quattrini cominciarono ad arrivare. Quando ebbe abbastanza per il viaggio partì e andò in California. Dalla California — quando ormai i suoi introiti avevano toccato la favolosa somma di quasi ventimila sterline — prosegui per Samoa. Ne aveva sentito parlare una sera, dopo pranzo dal primo ministro della Nuova Zelanda — quando era ancora in Inghilterra — e ne aveva scritto subito ad una amica: c Ci ha parlato delle isole dei Mari del Sud fino a che io mi sentivo morire dal desiderio di andarci: posti stupendi, sempre verdi; clima perfetto, forme perfette di uomini e di donne, con fiori rossi nei capelli; niente altro da fare che studiare oratoria ed etichetta; star seduti al sole e raccogliere i frutti che cascano dagli alberi. Il posto si chiama < Isola dei Navigatori (Samoa) >: un balsamo perfetto per chi è stanco >. Robert Louis Stevenson era stanco. Le lunghe passeggiate, inevitabili nella sua terra e ai suol giorni, lo stancavano. Il freddo — che in Scozia dura dieci mesi all'anno — lo faceva soffrire. I suoi polmoni erano Intaccati. Gli dava forse l'ardore romantico delle avventure, la lucentezza perfetta e forse ineguagliata dello stile, la tubercolosi, ma gli minava il fisico. Sentiva il desiderio del caldo e del sole e dell'Incanto del mari del Sud come lo sentì Gauguln. Ilsentiero nella giungla Ed aveva un amico, Colvin, che non soltanto era incapace di qualsiasi desiderio di avventura, ma — come racconta chi 11 ha conosciuti tutti e due — era capacissimo di dis suadere dall'avventura chiun que altro. Stevenson amava la conversazione con lui, forse anche perchè era un conver satore vivacissimo e affasci nante. Colvin non riuscì a dis suaderlo. Stevenson partì: coi suo bagaglio di sensaz oni scozzesi, ool suo bagaglio d esperienze parigine. iLa sua vita giovanile, egli disse, era stata c tempestosamente mischiata con quella di molte donne»). Giunto a Samoa vi scoprì un popolo, sul quale Inglesi e Tedeschi avevano messo gli occhi. Si prese a cuore la sua libertà e si trovò in mezzo alle noie. Burocrati dei due paesi fecero del loro meglio per farlo deportare dall'isola. Ma a Vailima Stevenson restò fino al 3 di dicembre 1894. Quel giorno dettò alla figlioccia un pezzo del suo romanzo. Poi si fece raccontare dal figlioccio le notizie della città. La sera morì. Non di emorragia, come 11 suo male avrebbe potuto far prevedere, ma di apoplessia. L'indomani mattina alla sua c Casa dei Cacciatori > cominciarono ad arrivare gli indigeni a gruppi, coi loro capi. Erano venuti per tagliare un sentiero nella giungla e portare la sua bara sulla montagna, il Vaea, dove egli aveva detto che avrebbe voluto esser sepolto. Mori con una disperata voglia di musica. Uno dei capi, dinanzi a lui morto disse: c Samoa finisce con te, Tusitala >. Tusitala era il nome che Samoa aveva dato a Robert Louis Stevenson: significa < colui che sa raccontare ». Riccardo Aragno