La dinastia dei Laterza di Giovanni Artieri

La dinastia dei Laterza ARTIGIANI ALLA CONQUISTA DELLA VITA La dinastia dei Laterza Don Vito apre la sua bottega di cartolaio il 6 ottobre 1889, incassando in un giorno undici soldi - Don Giovanni, autodidatta, adoratore della coltura, si butta a stampar libri - L'incontro con Benedetto Croce - Il più invidiabile degli stemmi (Dal nostro inviato speciale) Bari, novembre. Don Vito Laterza aprì la sua bottega di cartolaio a Bari, il 6 ottobre 1889, una domenica verso le 11, dopo di aver ascoltato messa. Impiegava un capitale di tremila lire e alla fine di quella prima giornata contò l'incasso, undici soldi. Per essere ancora minorenne, al tempo del primo esperimento commerciale (una cartoleria anche allora) aveva scelto come ragione sociale il nome del padre, Giuseppe, includendovi se stesso nella generica aggiunta < e figli ». Effettivamente, invece, i fratelli indicati da quel plurale non s'erano ancora associati a lui, anche perchè, poveri e migratori, ognuno aveva preso una via a sè. Un segno del destino Lui stesso, Vito, non s'era fatto agli incerti delle pili varie avventuret Ancora quattordicenne era partito per Alessandria d'Egitto dove suo zio Eugenio aveva bottega di ebanisteria. S'era poi trovato involto nelle lotte .tra arabi e inglesi, torbidi e conflitti assai seri, che lo indussero a ripigliar la via dell'Italia. Così dopo aver tentato a Putignano e a Taranto eccolo piantarsi a Bari che sull'ultimo decennio del secolo andava svegliandosi all'attività e al fervore di traffici e di imprese. Alla fine del primo anno la cartoleria aveva incassato 1355 lire e novanta centesimi, un esito assai buono. Nei sei anni, tra il '90 e il '96, centesimo per centesimo, lira per lira don Vito potette metter da parte quanto occorreva per < allargarsi », come si dice. E si < allargò » comprando la piccola tipografia d'un giornale umoristico locale, il < Fra Melitone », composta di una < pedalina » e alcune casse di caratteri. Allora chiamò nella sua impresa i fratelli Pasquale e Francesco e, per dirigere la tipografia nella quale lavoravano tre operai, Luigi. E' l'epoca in cui compare nella compagnia il terzo dei cinque fratelli, don Giovanni, e con lui che veniva dal Settentrione, penetra nell'azienda una inquietante, pericolosa idea: assumere a materia d'industria il più aleatorio e deperibile dei prodotti umani: l'ingegno. Giovanni s'impone subito come la più marcata e interessante indMdualità della dinastia Laterza. Aveva corso varie fortune a Napoli, nel piccolo com¬ 1111111j 1 h 1111 > 1111:>11 s m 11111111111 ! 111 m 11 < 1:11111 ! h 11 l 11 mercio; s'era trasferito a Milano tentando tutti i mestieri e, persino, pare, il flebòtomo. Nè in questa attività e tentativi aveva mai sfiorato il suo vero destino di editore e di stampatore-libraio ma, se vogliamo attribuire un valore simbolico a certe coincidenze, diremo che questo destino gli venne incontro lo stesso col volto di una bella figliola, Agostina Broggi, discendente dagli argentieri di cui, a Milano, è ancora vivo il nome. Agostina lavorava da operaia compositrice nella tipografia di Antonio Vallardi e don Giovanni la sposò poco prima che Vito l'invitasse ad imbarcarsi sulla nauiceHa della sua impresa barese. Un buon vento gonfiava le vele della cartoleria e della tipografia: si stampavano e cucivano registri e quaderni, si fornivano biglietti da visita e partecipazioni di nozze, si assumeva qualche modesta commissione per certificati e moduli municipali. Si può misurare quale rivoluzione portasse don Giovanni in questo candido e tranquillo mondo. Per Giovanni Laterza quello stampare carta immune dal peso tremendo della scrittura, era quasi un tradire il mestiere. Non soltanto egli indusse i fratelli a passare alla stampa di libri ma ad impegnarsi nientemeno con l'alta cultura. Nobili aspirazioni Lui aveva seguite le classi elc7nentari e la prima tecnica. Per quanto non vi siano memorie 0 riferimenti sicuri sulla sua vita milanese è certo ch'egli applicò la sua furiosa sete di sapere ai volumetti delle enciclopedie popolari, alle collezioni universali, alle volgarizzazioni dei classici. Lo spirito alacre e curioso del giovane operaio pugliese si arricchì in tal modo alle fonti modeste e oneste delle biblioteche ed università per il popolo. La storia di Giovanni Laterza, la sua avventura umana, per tanti aspetti così semplice e lineare, commuove. Egli non anuò a cercare nei bassifondi del romanzo d'appendice e della letteratura sottofascia la materia della sua editoria ma, impensabilmente, si spinse nelle regiovi della filosofia, della storia, della critica sociale, della esegesi. In qualche modo l'originaria « incoltura » gli conciliava una mistica reverenza per la Coltura, nelle sue manifestazioni più alte e rarefatte. In quei primi passi qualche volta inciampò e il Croce eb- !1111:11111111 11111:11s1111 h 11111111111 ! ! 1 i 11111r r be, poi, a bonariamente rimproverarlo. Ma come spiegare se non per un segreto genio il fatto che già nel 1908 al suo primo incontro con il Croce — avendo già avviata senza aiuti e consigli la < Biblioteca di Coltura moderna » nella quale comparvero l'Amatucci, il Chimienti, il Chiarini e altri — era pervenuto a fissare i caratteri non solo esteriori ma, in qualche senso, programmatici delle sue collezioni. Il Croce ebbe a raddrizzare il timone nelle sue mani, ed egli chinò sempre il capo a tanto consiglio, bruciando sull'altare della più incondizionata ammirazione al grande critico, le sue incerte simpatie per taluni scrittori come l'Orano, che poi, durante il fascismo, combattettero sia lui che Croce, Una classe che sale Parallelamente alle nuove collezioni < Classici della Filosofia » e < Scrittori d'Italia >, d'impostazione sempre più severa, creò quella < Biblioteca esotericay (quasi per celia, così denominata da don Benedetto) formata dalle traduzioni dei libri di Schiere e altri volumi di mistica e di filosofia ch'ebbe una fortuna grandissima e permise a don Giovanni di mostrare al suo grande amico e ispiratore quale confortante smercio avessero i < suoi » autori in paragone alla gran parte di quelli suggeriti dal Croce. Don Giovanni si recava a Napoli ogni mese e vi si fermava due o tre giorni, quasi interamente trascorsi in casa di don Benedetto e nella compagnia di amici del filosofo non ancora assottigliata e dispersa dalla politica e dalla morte. Vi primeggiavano il Fortunato, il de Ruggero, il Sarno, il Gaeta, il Ruta, Luigi Russo e di tanto in tanto il di Giacomo. Col fascismo, poi, taluni dei vecchi, come Enrico Ruta, inclinarono a simpatia per il movimento e s'accesero di entusiasmo per Mussolini mentre altri, più giovani, come il Doria, il Niccolini, il Parente, il della Valle, il Tagliacozzo, il Romano e il caro, indimenticabile Peppino Brindisi avvocato di Croce e suo < rapitore » da Sorrento a Capri per impedirne la cattura da parte dei tedeschi, nel 1943, si mantennero fedeli senza faziosità, mentre altri ancora, come il Clone, detto scherzosamente per la giovane età e le forme rotondette < 'o vaccariello » (il vitellino,), si preparavano a clamorose eresie. In questo mutare d'uomini e di fatti don Giovanni Laterza non mutò. Uomo d'ordine e di retta coscienza ebbe ancora una volta fiducia nel Croce e a lui si affidò per quello che si dovesse fare. Don Giovanni mori nel '43 poco dopo la fine del fascismo. Dei cinque /rateili, Lutai era morto nel '£7 di una polmonite; Vito e sua moglie, Rosa Ciaralli, in circostanze tragiche, per una fuga di gas, nel '35; Francesco, poco dopo; unico superstite, l'ottuagenario Pasquale. Ognuno di questi figli del falegname Giuseppe Laterza e della contadina Maria Pugliese, a suo modo, aveva contribuito alla edificazione, lenta e solenne, simile all'impercettibile crescita d'un'isola corallina, dell'impresa. La tipografietta d'una sola < pedalina » del < Fra Melitone » era trasformata in una officina affollata e sonòra; la piccola cartoleria di don Vito s'era dilatata a grande azienda libraria e s'era passati dai biglietti da visita a una lira il cento all'indiscussa fama "ditoriale nazio-iale e internazionale. Gran merito di tutto ciò risale indubbiamente all'autodidatta Giovanni, uomo tenace e sensato, dal volto magro a solchi, il gran naso tra due pupille acute dietro i cristalli degli occhiali a stanghetta, un insieme tra di capo-officina, apparatore edi¬ le e deputato socialista del buon vecchio tempo. Qualche cosa di ognuno di questi tre aspetti si trova nella natura e nell'opera di don Giovanni: la sua perizia tecnica, il suo coraggio di costruttore e quell'ansia tutta umanitaria di diffondere la cultura, anche se taluno dei più difficili territori di questa, fosse inibito a lui stesso per mancanza dei necessari passaporti. Così non volle che i figliuoli ne fossero sforniti e quasi si rovinò per mantenerli, Franco e Giuseppe nei collegi inglesi di Oxford e di Cambridge; le quattro femmine negli istituti di Poggio Imperiale, educandole accanto a principesse del sangue e grandi ertditiere. La seconda generazione dei Laterza è, in tal modo, tanto ornata di discipline filosofiche, letterarie, politiche, amministrative, scientifiche quanto ne fu sprovvista la prima. Ma di questi < juniores » altri si occuperà, a suo tempo; noi volevamo tratteggia- re solo i protagonisti del pe IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII riodo eroico, per dirla con usato aggettivo, e in questa genealogia vedere il formarsi, per nessi a volte chiari a volte misteriosi, della società media italiana come venne assodandosi negli anni seguiti alla Unità politica. E' ìa classe povera, operaia, artigianale, indigente, avventurosa che muove coraggiosamente all'assalto della vita e spiega le sue virtù profonde e sale di grado e si fa borghesia e accumula i titoli della nuova nobiltà. I quali titoli, nel caso della dinastia Laterza, sono poi nobilissimi tra quanti o con le armi o con il danaro se ne possano acquistare; poiché son dati all'esercizio dello stampare e divulgare opere del pensiero. Se l'avessero, francamente, questo dei Laterza sarebbe proprio il più invidiabile degli stemmi: un bel libro aperto in campo bianco; il bianco della pagina eterna su cui la storia stende le sue linee. Giovanni Artieri IIIIIIIIIIIIIIIIIIMIIINIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII