Su tre uomini l'accusa d'aver ucciso il col. Bechi

Su tre uomini l'accusa d'aver ucciso il col. Bechi Qua/che luce nel processo della Nembo Su tre uomini l'accusa d'aver ucciso il col. Bechi Quello che dice il documento del carabiniere defunto (Nostro servizio speciale) Napoli, 9 novembre. In attesa che vengano interrogati i due testimoni superstiti che erano nell'auto del ten. col. Bechi, l'autiere Sanguinettl e il carabiniere Bernabò, sperando che essi pdtnpf o a e i a . iiiuiiii possano dire qualcosa di più del poco e confuso ricordo che In essi è rimasto della tragica scena (entrambi furono gravemente feriti), si è saputo ufficiosamente qualche particolare sul documento pervenuto al Tribunale dal fratello del carabiniere morto, che era anch'egli nell'auto con il colonnello Bechi. Esso non è una lettera, ma una dichiarazione che dal testo si rileva come fu fatta quasi certamente scrivere al carabiniere oggi morto il quale, essendo rimasto incolume, venne fatto aggregare al paracadutisti ribelli, ciò per la singolare concordanza fra quella lettera e un'altra, inviata dal generale tedesco Lungherhausen al generale Ronco, comandante la divisione « Nembo ». Il generale tedesco, avendo compreso che la morte del capo di S. M. divisionale, Bechi, poteva causare l'immediata reazione delle forze italiane, rimaste prevalentemente fedeli agli ordini del maresciallo Badoglio, si scusò con Ronco, spiegando che l'uccisione era avvenuta perchè l'attendente del capitano Alvino, per un gesto im pulsivo e irresponsabile, aven do visto giungere l'auto e temendo per la vita dell'ufficiale, aveva aperto 11 fuoco. Intanto, dalla concomitan za delle prove dell'istruttoria e da quanto va affiorando nell'emozionante dibattito, il processo dei 33 diventa sempre più quello di 3 soli impu tati. Il primo è il capitano Alvino che, secondo molte testimonianze, fra cui quella del sottoten. Felaco, era armato di pistola e sparò nell'auto Questo secondo elemento è confermato da alcuni paracadutisti (Veliere e Leonetti) che non erano nel gruppo, ma su un camion di lato alla via, essendo trasportati come ammalati. L'altro è il sergente maggiore Nicola Menno, che ha già ammesso di avere sparato col mitra, sebbene a ter ra, e poi il paracadutista Ono. rio Btsegna, attendente di Alvino, che sparò anche lui (il che concorda con la lettera del generale Lungherhausen) Fu dal fuoco di questi tre che nacque l'episodio più tra gico della rivolta, nella mar eia dei quattrocènto verso il mare, per imbarcarsi con f « camerati germanici ». Il fat to che, dichiarandosi tutti so lidali, molti di questi giovani rischiano di trascorrere gran parte della loro vita in un penitenziario militare, li sta inducendo a parlare, chia rire, precisare, offrendo finalmente alla giustizia un qua dro sempre più chiaro. E non vi è, inoltre, quasi nessuna traccia dell'esaltazione che li indusse alla rivolta. Alcuni oggi comprendono e pentiti, smarriti, quasi si confessano, In questa udienza, impiegata in interrogatorio dell'Alvino, del Cancellieri e del caporalmaggiore Renzo Boffl, il lato paradossale è stato offerto dal caso del tenente Ignazio Caruso. Egli, che poi a fl ne settembre raggiunse in aereo l'Italia, ha rivelato di essere stato partigiano. Il Presidente, generale Broccoli, gli ha chiesto dove, e un senso di perplessità si è diffuso nell'aula quando egli ha spiegato che lo fu « ad Acerra», che è un comune vicino a Napoli (quello dove, secondo la tradizione, nacque Pulcinella) e dove le truppe alleate, che entrarono' in Napoli il 1» ottobre 1943, arrivarono pochi giorni dopo. Ma la perplessità è del tutto sparita avendo l'imputato esibito il brevetto numero 1046. rilasciato il 1° febbraio 1947 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, brevetto che lo qualifica « comandante di distaccamento partigiano» eh? in quel di Acerra operò il 2 e 3 ottobre. Poi gli alleati arrivarono anche la. c. gf. Il capitano Alvino (Telefoto)

Luoghi citati: Acerra, Italia, Napoli